Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

giovedì 17 dicembre 2015

Biblioteca di mare e di costa


L'isola di Montecristo descritta da Marco Albino Ferrari, le vele latine di Giovanni Panella, un'altra avventura subacquea di Enzo Maiorca e storie di pirati di Gabriel Khun. Sono questi i temi e gli autori delle quattro recensioni che trovate su L'Indice dei Libri del Mese di dicembre.

Buon vento e buona lettura a tutti, a cominciare da una anticipazione della recensione di "La vita all'ombra del Jolly Roger. I pirati dell'epoca d'oro tra leggenda e realtà"(pp. 288, €  16,00. Elèuthera, Milano, 2015

Questo nuovo lavoro sulla pirateria, che a detta dello stesso autore è anche una moda, cerca innanzitutto di andare oltre l'antagonismo sorto tra due antitetiche interpretazioni politiche del fenomeno. Da una parte c'è chi insiste sulla dimensione banditesca, dall'altra chi ritiene che molti di essi avevano idee libertarie e che quindi misero in pratica una loro visione di democrazia e uguaglianza, riprendendo le parole di Markus Rediker. Gabriel Khun, austriaco di nascita e svedese di adozione, cerca di comparare le due teorie, anche se fin dall'introduzione dichiara che un compito del libro è quello di “rendere politicamente significativa, nel contesto contemporaneo, la fascinazione radicale per la pirateria e suggerire come il Jolly Roger possa sventolare dai balconi e alle manifestazioni senza essere soltanto una ritualità simbolica”.
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Mentre sugli aspetti sociologici e politici gli esperti si dividono, tutti concordano nel ritenere il pirata un nomade,   un nemico della civiltà d'origine e soprattutto della nazione. Non a caso la “confraternita, il commonwealth o la confederazione pirata dell'epoca d'oro trovava la più esaltante espressione nella sua minacciosa bandiera nera: il Jolly Roger”. Nelle diverse varianti, era ed è un simbolo universale che, malgrado sia stato cannibalizzato dal consumismo, viene ancora oggi utilizzato nelle più disparate battaglie politiche e civili. Ma attenzione! Come avverte Khun nelle ultime pagine “i radicali di oggi possono dunque continuare a sventolare con orgoglio il Jolly Roger: tutto quello che devono fare è guadagnarsi il diritto di farlo”.


domenica 22 novembre 2015

Velabondismo

Corsica settentrionale

Di velisti ne esistono di diversi tipi; c'è il regatante, il crocierista e tanti altri, ognuno con le sue qualità e inevitabilmente i suoi tic. Ma cosa distingue un velabondo dagli altri? Le dimensioni della barca o il tempo a disposizione o il rapporto con gli elementi naturali? Probabilmente un mix di tutti questi elementi che, per semplicità, possiamo riassumere così: il velabondo è un eco-minimalista. Quindi, andando a vela e non disdegnando il remo, ha come primo canone l'accettazione delle condizioni imposte dal vento e dal mare. Non c'è quindi una precisa rotta, cadenzata da prestabilite tappe giornaliere, a prescindere dai voleri di Eolo e Nettuno. Il velabondo parte con una vaga ipotesi di viaggio, mutevole di ora in ora, di giorno in giorno, così come lo sono le arie e le correnti. Questo non significa praticare un ostinato primitivismo, dove a bordo non trovano posto telefono, tablet o gps, oppure dove il motore è assolutamente bandito, ma rifiuta di cadenzare il viaggio per soste su marina, magari prenotati in anticipo, trasformando un periodo di sognato vagabondaggio a vela in un frenetico, ansiogeno trasferimento a motore.

Quindi se deriva e tenda vi sembrano un modus navigandi troppo stoico, allora provate a imbarcarvi su un piccolo cabinato, sicuramente più epicureo. Noi lo abbiamo fatto d'estate, in tre, con un Dufour T6, piccolo ma solido e versatile, come per altro abbiamo avuto modo di verificare anche in questo periplo della Corsica settentrionale. A prua, oltre all'autovirante, avevamo un genoa per arie leggere e uno spinnaker; un fuoribordo, quattro tempi, da 5 cavalli per le manovre portuali e le prolungate bonacce. Siamo partiti da Bastia, il porto d'arrivo dei traghetti dall'Italia e capoluogo dell'Haute-Corse o Corsica Suprana, nella lingua corsa. Il bilinguismo è il primo e fortissimo segnale della duplice cultura di quest'isola, da sempre fieramente autonoma dalle sovranità continentali, genovese in passato, francese dalla seconda metà del Settecento. La Calista dei greci, così chiamata secondo Erodoto per la sua bellezza, malgrado gli aspri contrasti con la Francia, ha per paradosso dato i natali al più noto dei suoi generali, fattosi imperatore: Napoleone Bonaparte, nato ad Ajaccio.
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Il reportage completo è pubblicato sul numero di novembre 2015 del mensile Bolina.

giovedì 12 novembre 2015

Geografie

"Itinerari letterari" è una pagina dedicata ai viaggi de "L'Indice dei Libri del Mese". Fa parte di uno spazio più ampio intitolato "Geografie", in cui vengono proposte riflessioni sulle lingue e sulle contaminazioni. Tra gli itinerari troverete anche la mia recensione dell'ultimo libro di Bjorn Larsson, tutto dedicato agli autori che hanno raccontato il mare e la sua "crudele meraviglia". Ci sono i viaggi in Italia di Simon Weil, le lettere dalla Siria di Freya Stark, le impressioni sul Lagos di Teju Cole, il pellegrinaggio da Londra a Istanbul di Patrick Leigh Fermor e tante altre recensioni di libri che descrivono il mondo, visto sempre con occhi critici e attenti.

L'immagine che accompagna questo post, ripresa dal sito de L'Indice, è un dettaglio di un quadro del pittore francese Joseph Henri Baptiste Lebasque.

venerdì 6 novembre 2015

Venerdì di magro

Chiuso l’EXPO, la pesca comunque continua! come la nostra passione per i piatti di pesce!  
Perciò noi continuiamo a raccontare le storie di pesci e pescatori. Convinti che i prodotti alimentari italiani di qualità, e il pesce è indubbiamente uno di questi, meritino grande attenzione, non solo in termini economici, ma anche culturali.  
Riprendendo il nostro primo post nel febbraio scorso, dove citavamo Paolo Conte, visto che noi “Siamo mangiatori di pesce, Ne facimmo na passione”, continuiamo “Spassiunatamente” questi “Venerdì di magro”.

“La pesca del riccio di mare ( Paracentrotus lividus) per la stagione 2015/2016 è consentita dal 1 novembre 2015 al 10 aprile 2016”, si legge sul recente decreto della Regione Sardegna. Una norma che sancisce per iscritto la comunque consueta stagionalità di una pesca locale di grandissimo valore. Esiste anche una normativa nazionale ma, come è giusto che sia, la gestione di questa specie è un classico esempio di come alcune attività di pesca debbano essere normate solo a livello locale. In una realtà articolata come quella mediterranea, fatta di particolarità ecologiche ed economiche, una corretta gestione può essere fatta solo a livello locale, sulla base di conoscenze puntuali.

Va comunque ricordato che la pesca, che rimane uno dei pochi mestieri di semplice raccolta, ha anche in Mediterraneo una tradizione normativa plurisecolare. Basterà qui ricordare che già XII secolo a Venezia venne istituita la “Giustizia Nuova” che si occupava anche dei calendari e degli strumenti della pesca o per andare a tempi post-unitari che è del 1877 la Legge che “regola la pesca nelle acque del demanio pubblico e del mare territoriale”. E’ quindi antica e sentita la necessità di normare le attività di pesca, in una logica di gestione sostenibile, diciamo noi oggi. E quindi che pesca, e successivo banchetto, sia! Anche del riccio di mare.

Il riccio lo si pesca in apnea per diletto a mano, con maschera e pinne, o professionalmente con le bombole. C’è poi la pesca tradizionale che in Sardegna si fa con lo specchio e la cannuga, cioè un’apposita asta. La leggenda vuole che ci siano ricci femmina, di colore violetto, e ricci maschi, neri. I primi sarebbero quelli buoni, gli altri no. In realtà si tratta di due specie diverse, entrambe buone da mangiare, con la differenza che il riccio femmina, cioè il Paracentrotus lividus, ha le gonadi più grandi. Queste “uova” sono la parte edule. Il loro sapore è molto intenso e lo si gusta appieno se mangiate crude. Per chi voglia invece condire la pasta è meglio non passarle in padella, ma basta il calore della pasta stessa a stemperarne il sapore, aggiungendo poi un filo d’olio ed eventualmente il prezzemolo o l’erba aglina per essere più originali. Se poi volete per forza metterci anche l’aglio, allora aggiungete anche questo da crudo.

Sul blog de La Stampa, troverete tanti altri pesci!

lunedì 2 novembre 2015

Biblioteca di mare e di costa

C'è anche un romagnolo, Tommaso Garzoni scrittore e canonico per l'ordine che nel Cinquecento reggeva la basilica di Santa Maria in Porto a Ravenna, nella intrigante e, per certi aspetti misteriosa, storia della bussola. Perché nel 1583 fu tra i primi a descrivere minuziosamente il “bussolo con la calamita”. Quel bussolo che conteneva e contiene anche la rosa dei venti, a quattro, otto, sedici o trentadue petali. “Gli sedici venti principali, del soffio del quale deve intendersi benissimo il nocchiere”, scriveva Garzoni. Anche oggi il marinaio, piccola o grande che sia la barca, deve avere una certa dimestichezza con i venti, almeno per direzione e intensità. Se poi ne conosce anche le caratteristiche, in relazione alla geografia dei luoghi su cui spirano, sarà certo un bene. Per chi poi ne volesse sapere qualcosa di più, sul versante mitologico e storico, ci sono diversi libri a cui si è andato ad aggiungere recentemente quello di Enrico Gurioli, giornalista e appassionato di mare, intitolato “Il piccolo libro dei venti”. Gurioli ha raccolto miti e storie legate a un elemento meteorologico di grande importanza “che si sente, si ascolta”, ma non si vede, se non nei suoi effetti. Più precisamente l'autore ha raccontato i venti del Mediterraneo, gli unici con un nome proprio, aggiungiamo noi. Il libro, corredato da immagini tematiche, è diviso in tre parti. Nella prima l'attenzione si focalizza sulla rosa dei venti, nella seconda sulle stagioni, nella terza sulle geografie. Nella prima parte ci sono pagine dedicate a una rara reliquia anemoscopica, cioè utile a indicare i venti, conservata a Pesaro, al Museo Oliveriano. E' chiamato Anemoscopio di Boscovich, dal nome di un illustre riminese acquisito. Fu infatti l'astronomo gesuita Ruggero Boscovich, nato a Ragusa, che alla metà del Settecento misurò l'arco di meridiano tra Roma e Rimini, a interpretare il significato di quel disco di pietra d'età romana, dove si leggono i nomi dei venti. Infine non potevano mancare numerose pagine dedicate al più noto dei venti adriatici, la Bora, che continua imperterrita a scompaginare anche le giornate dei velisti, come hanno potuto verificare ancora una volta qualche settimana fa a Trieste in occasione dell'ultima edizione della Barcolana. Perché, nonostante le previsioni siano sempre più precise, l'umore della Bora non è ancora del tutto prevedibile.

Enrico Gurioli, 2015. Il piccolo libro dei venti. Pendragon, Bologna, pp 128, € 11,00.

Pubblicata oggi, lunedì 2 novembre 2015, sul Corriere Romagna.

venerdì 30 ottobre 2015

Notizie

Martedì 3 Novembre 2015, alle ore 18:30,
alla storica Libreria "Il Mare" (Roma - Via del Vantaggio, 19),
Bjorn Larsson incontrerà i lettori.
Sarà un'occasione anche per festeggiare i 40 anni di una libreria che è diventata un punto di riferimento per la cultura del mare in Italia.

Oltre alle iniziative che regolarmente vengono promosse, il loro lavoro è documentato anche dal blog, sempre molto ricco di informazioni, che vi invito a frequentare.

Buon vento!



lunedì 19 ottobre 2015

Storie di mosconi e pattini

Grazie alle immagini dell'Istituto Luce, oggi disponibili anche su YouTube, abbiamo un'ulteriore testimonianza visiva della diffusione di mosconi e pattini in Italia, nella prima metà del Novecento. Una barca semplice, economica e divertente con cui i bagnati di allora, da non confondere con gli spiaggianti di oggi, facevano le prime esperienze di tuffo, di nuoto e di voga. Evviva il moscone! quello di ieri e quello di domani.

Di seguito ho selezionato alcune di queste brevi, festose!, testimonianze.


Pattini sul Tirreno
https://www.youtube.com/watch?v=UguYOczXNeU

https://www.youtube.com/watch?v=UguYOczXNeU

Mosconi sull'Adriatico



lunedì 12 ottobre 2015

Il nostro mare quotidiano

Chi meglio di Riccardo "Dino" Brizzi ha raccontato il nostro mare quotidiano? Quello di ieri, quando la vela era un lavoro e sulla spiaggia c'erano le dune, ma per noi la sua testimonianza è stata importante anche per capire dove mettere la prua oggi.
Sul Corriere Romagna di oggi c'è un mio ricordo di Brizzi, l'omaggio a un maestro. Di seguito trovate la prima parte, mentre il disegno che accompagna questo post è tratto dal suo libro "Quando si navigava con i trabaccoli" (Panozzo Editore, 1999).

Riccardo “Dino” Brizzi se n'è andato nei giorni scorsi. Lo vedo allontanarsi dal porto, da quello di Riccione che tanto ha amato quando era bambino, con una bava da terra, al timone d'un barchèt “in fuga s'al vele fura corne”, riprendendo una delle tante belle espressioni che ha raccolto nella sua lunga vita e ci ha lasciato in preziosi scritti. Brizzi era nato nel 1920 a San Giovanni di Persiceto ma, come ci ricorda in “Quando si navigava con i trabaccoli”, fin da bambino veniva al mare in Romagna. E così ci piace ricordalo, quando in treno con la famiglia andava a Riccione. “Dopo Cesena eravamo tutti in piedi nel corridoio per vedere il mare. La mamma ha detto che il mare si vede dopo Santarcangelo. E' comparso, difatti, fra gli alberi e si sono viste anche le barche che sembravano correre come il treno”. Ecco le barche! quelle a vela naturalmente, la sua grande passione, con cui ha navigato e che ha fotografato, disegnato, studiato, costruito per tutta la vita. “Una vita ormai lunga, trascorsa in una diversa professione [quella del neurochirurgo] che non mi ha mai distolto dall'interesse del mare”, scriveva nel 2002,  in un altro bel libro “Vele al terzo. Attrezzatura, manovre, gente, battelli e vele dal Tavollo al Rubicone”, fortemente voluto da Maria Luisa Stoppioni e pubblicato dal Museo della Regina di Cattolica.

mercoledì 7 ottobre 2015

Il nostro mare quotidiano

Sul numero di ottobre di Bolina troverete una mia lunga intervista a Bjorn Larsson, marinaio e scrittore. Ed è proprio in questa doppia veste che Larsson racconta il suo lungo e appassionante rapporto con il mare, con il suo, con il nostro mare quotidiano. L'intervista riprende e approfondisce alcuni temi trattati da Larsson nel suo ultimo libro "Raccontare il mare", di cui potete leggere anche sul blog una mia recensione.

venerdì 2 ottobre 2015

Biblioteca di mare e di costa

Ci sono libri che, come le barche, non temono il tempo che passa. Anzi! sembrano acquistare sempre maggior fascino, anno dopo anno, lustro dopo lustro. Così è per "I canti del mare nella tradizione popolare italiana", pubblicato da Mursia nel 1980. Un volume ricchissimo di testi di canzoni, attentamente commentate dai due autori A.Virgilio Savona e Michele L. Straniero, etnomusicologi che nell'introduzione evidenziano subito come "il mare è l'elemento mitico nel quale con più evidenza si raccoglie la metafora della nostra memoria collettiva". Una raccolta divisa per regioni, che non poteva che cominciare con la Liguria e il Veneto; un doveroso omaggio alle due più illustri Repubbliche Marinare. E proprio dalla tradizione ligure trascrivo questo breve, straordinario, scioglilingua marinaro che tutti noi dovremmo recitare quando passeggiamo sui moli: "Ao moeo noeo / gh'è noeue na-e noeue, / a ciù noeua de noeue na-e noeue / a n'oeu annà" (Al molo nuovo / ci sono nove navi nuove, / la più nuova delle nove navi nuove / non vuole andare).

mercoledì 30 settembre 2015

Venerdì di magro

Un pesce per l'EXPO: mazzancolla

Se è lungo l’elenco di gamberi tropicali sconsigliati da Slow Food nella campagna di sensibilizzazione “No grazie, non nel mio piatto”, almeno uno, quello mediterraneo che si chiama mazzancola (Penaeus kerathurus), ci sentiamo di consigliarvelo. Soprattutto in queste settimane che lo si pesca più abbondantemente e quindi costa molto meno. Con 10-15 euro possiamo acquistarne un chilo di media grandezza (10-15 cm di lunghezza), ottimi da cucinare in padella, in bianco o in rosso. Come tutti i gamberi ha un accrescimento molto rapido e solo pochi esemplari superano i due anni di vita. Si tratta quindi di una specie a ciclo vitale breve che, se pescata con metodi non impattanti per l’ambiente, deve rimanere centrale nelle attività di pesca. Tra l’altro la sua abbondanza dipende dalla qualità degli ambienti costieri perché è stanziale, si riproduce alla fine dell’inverno in acque costiere, mentre poi in primavera le larve migrano nelle lagune dove si accrescono rapidamente per tornare al mare in autunno e andare a svernare a profondità comprese tra -50 e  -100 metri. Oggi la si pesca con reti a strascico e, soprattutto nel Tirreno con nasse e reti fisse. Queste due ultime tecniche sono sicuramente meno impattanti e in futuro andrebbero incentivate, magari anche con mirate campagne di informazione al consumatore. Fermo restando che anche la pesca a strascico ha una sua antica tradizione e, se svolta in tempi, modi e aree adeguate, può essere considerata assolutamente sostenibile.
Quindi, almeno in questi giorni d’autunno, provate a mangiare qualche mazzancolla fresca; scoprirete l’insuperabile sapore di un crostaceo mediterraneo. Senza dimenticare che quando si mangia bene si può anche mangiare meno, e con 2 etti di mazzancolle sarete sicuramente soddisfatti.


Sul blog de La Stampa, troverete tanti altri pesci!

giovedì 24 settembre 2015

Storie di mosconi e pattini


















Ecco un frammento di una affascinante scena marina, con tanto di moscone e capanno del mosconaio, dipinta da Giulio Turci (Santarcangelo di Romagna 1917-1978) alla metà del Novecento.

E' una delle cinque immagini pubblicate lunedì scorso sul Corriere Romagna nelle pagine culturali, frutto del lavoro di ricerca iconografica fatta da S.S. nella sua rubrica "Artisti della Memoria", in cui testimonia che "Il moscone rappresenta una delle icone della riviera romagnola che si ritrova con grande frequenza dell'opera di tanti artisti". Potete leggere l'articolo completo anche online.

SE AVETE FOTOGRAFIE, CARTOLINE, NOTIZIE INVIATELE A maregratis@gmail.com oppure a lettere@corriereromagna.it

martedì 15 settembre 2015

Notizie

Anche quest'anno, dal 18 al 20 settembre, torna "Lerici legge il mare", l'unico festival letterario interamente dedicato al mare e in particolare al nostro amato Mediterraneo. Quest'anno il tema è "I miti del mare". Una tre giorni di presentazioni, reading e incontri, a terra, nella piccola e suggestiva Piazza Garibaldi e in mare, a bordo del Leudo Zigoela e della Goletta Oloferne. Un'occasione quindi da non perdere anche per veleggiare nelle acque di uno dei più bei golfi mediterranei.

Qui trovate il programma dettagliato di questa 7^ edizione.

giovedì 10 settembre 2015

Venerdì di magro

Un pesce per l'EXPO: tracina o pesce ragno

Fino a qualche anno fa il pesce ragno, chiamato anche tracina, era il terrore dei bagnati. Poi improvvisamente e senza una precisa spiegazione è quasi scomparso. Sicuramente hanno influito le diffusissime opere di difesa, le scogliere frangiflutti, che se certamente proteggono la costa dall’erosione hanno però aumentato la fangosità dei fondi. Perciò la tracina, dal greco traknos cioè pungente, che vive sotto la sabbia ha visto ridursi notevolmente il suo habitat.
Di pesci ragni ne esistono tre specie e quello di riva, chiamato non a caso scientificamente Trachinus vipera, è quello più piccolo, ma anche il più pericoloso. La sua puntura è molto dolorosa e per chi avesse avuto la fortuna di non provarla, può immaginarla due o tre volte più forte di quella delle vespe. Il veleno è contenuto in ghiandole che stanno alla base delle prime spine dorsali, riconoscibili per una macchia nera. La tossina è termolabile, cioè si disattiva con il calore, e quindi l’unico rimedio possibile è l’immersione del piede o della parte colpita in acqua calda.

Se il bagnante le teme, il gourmet le apprezza, soprattutto le più grandi e saporite che si pescano al largo. Ha carni molto toste che sono l’ideale per le zuppe e quindi imprescindibili nei brodetti adriatici o nei caciucchi tirrenici, tutti nelle loro infinite variabili. Questi due piatti, queste due parole, sono emblematici delle storie pescherecce e gastronomiche delle due coste italiane, un tempo molto più lontane di quanto non lo siano oggi. L’Appennino è infatti stato per millenni uno spartiacque non solo geografico ma anche economico e culturale, un confine tra due mondi marinareschi, tra quei due mari che i latini chiamavano Superum e Inferum, con riferimento diremmo noi oggi all’orientale e all’occidentale.

Ogni volta che preparate o mangiate un brodetto o un caciucco non fate mancare o chiedete anche una tracina, un pesce povero ma di grande sapore.

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martedì 1 settembre 2015

Biblioteca di mare e di costa

E' appena arrivato in edicola L'Indice dei Libri del Mese di settembre, in cui troverete la mia recensione all'ultimo libro di Björn Larsson "Raccontare il mare". Anticipo di seguito la prima parte.

“La più stupefacente meraviglia del mare è la sua insondabile crudeltà”. In questi giorni, in questi anni, di cronache mediterranee di naufragi, per Raccontare il mare non si può che cominciare da questa frase di Joseph Conrad, inevitabilmente il primo autore scelto da Björn Larsson per la sua antologia marinaresca, “discretamente eclettica e impressionista, un po' a immagine del mare stesso, imprevedibile e mutevole”. Un libro che si compone di prefazioni edite e inedite, che spazia geograficamente e storicamente, dagli oceani di Conrad e Joshua Slocum, al Mediterraneo di Francesco Biamonti e Guy De Maupassant, al Mare del Nord di Ersikine Chileders e Harry Martison.

mercoledì 26 agosto 2015

Storie di mosconi e pattini

Di seguito pubblico una parte dell'articolo uscito lunedì scorso, 24 agosto 2015, sul Corriere Romagna, dedicato al moscone o pattino, che dir si voglia.

In Romagna, quando ancora c'erano i bagnanti e non gli spiaggianti, come negli ultimi decenni, in riva c'erano migliaia di mosconi! Quando ancora l'acqua e non la sabbia era la principale attrattiva, in mare c'erano migliaia di mosconi!
Perché il moscone oltre che una sana remata, offre la possibilità di andare a pescare, di trovare intimità, pace, silenzio e soprattutto acque limpide e profonde.  Il moscone è la barca ideale per imparare le principali arti marinaresche: remo, tuffo e nuoto. Qui che non ci sono isole e nemmeno scogli, il moscone è l'unica riva circondata dall'acqua, quella da cui staccarsi non camminando ma nuotando, quella in cui l'incontro con il mare è completo, avvolgente, profondo.
Il moscone è stato per un secolo non solo una semplice e bellissima barchetta balneare, ma una vera e propria icona. Nella prima metà del Novecento era un “mito d'oggi”, parafrasando Roland Barthes. Poi malauguratamente vennero i pedalò (anche se a dire il vero anche la storia di questo natante è molto antica!) e purtroppo negli ultimi anni, complice anche una assurda normativa che vieta l'ormeggio e il rimessaggio, entrambi sono quasi scomparsi. Come è quasi estinta la figura del mosconaio, che insieme al salvataggio e al bagnino, componeva la triade di combattenti balneari o più prosaicamente dei vitelloni.
Ma siamo fiduciosi che il moscone, come tutti i miti, non sia scomparso definitivamente, si è nascosto ai più. Solo pochi adepti ne mantengono viva la forma, la pratica, l'amore, addirittura la devozione. Perché questo rito non rimanga appannaggio di pochi, vediamo di raccontarne brevemente la storia, anche perché questo piccolo catamarano a remi è, al pari della bicicletta con cui condivide l'origine ottocentesca e la fortuna novecentesca, un mezzo ecologico e divertente, che permette una libertà marinaresca alla portata di tutti.
Innanzitutto va chiarita la diatriba linguistica italiana, che potrebbe sottenderne anche la paternità. Moscone o pattino? E' bene precisare che sono sinonimi e hanno una precisa geografia. Infatti al pari di brodetto e caciucco, entrambe zuppe di pesce, moscone è tipicamente adriatica, mentre pattino è ligure-tirrenica. Nei vocabolari, fino a prova contraria, la parola più antica è pattino, che appare per la prima volta nel 1891. E' Policarpo Petrocchi che la inserisce nel suo "Novo dizionario universale della lingua italiana", dove si legge: "PATTINO, s.m. T. mar. Due travi con un panchettino sopra che serve per andarci come in barchetta (P.)".
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SE AVETE FOTOGRAFIE, CARTOLINE, NOTIZIE INVIATELE A maregratis@gmail.com

mercoledì 19 agosto 2015

Venerdì di magro



Italia, paese di santi, poeti e soprattutto pescatori

Se in tanti dubitano che gli italiani siano stati, almeno nel Novecento, un popolo di navigatori, nessuno può negare che siamo invece dei pescatori. E lo siamo ancora, considerando che si contano 30.000 pescatori professionali a cui si aggiungono un milione di sportivi in mare e molti di più nelle acque interne. Del resto non potrebbe essere altrimenti per una penisola immersa nel Mediterraneo. La pesca è sempre stata e continua ad essere un’attività fondamentale, sia in termini economici che culturali. Malgrado le tumultuose trasformazioni socio-economiche dell’ultimo mezzo secolo e le altrettanto significative criticità ambientali, in Italia i pescherecci sono 13.000 e sbarcano ogni anno 200.000 tonnellate di pesci, molluschi e crostacei. Tutti di prima qualità! E', e sarà sempre di più, proprio la qualità, in termini di freschezza e valore nutrizionale, l’aspetto fondamentale della produzione. I pesci mediterranei sono piccoli (per inciso molti non crescono di più), se paragonati a quelli oceanici, ma ottimi per caratteristiche organolettiche e soprattutto perché spesso si possono consumare in giornata, grazie a una capillare distribuzione della flotta lungo gli ottomila chilometri di costa e un'altrettanto diffusa rete di piccole pescherie, che sono i veri presidi della tipicità ittica italiana. L’eccellenza del prodotto trova poi nella fantasia gastronomica locale mille variabili, tutte ricchissime di sapori e di storie.
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Fishing has always been and continues to be a fundamental activity in both economic and cultural terms. The excellence of the fish find also a thousand variables, all rich in flavor and stories, in the fantasy of the local gastronomy. In Italy each fishing village has its typicality, his dish able to tell a story of the sea. Stories whose protagonist is a fish and inevitably an environment that must be protected.

L'articolo completo è stato pubblicato su Puglia e Mare di marzo 2015, scaricabile gratuitamente.

martedì 11 agosto 2015

Venerdì di magro

Un pesce per l'EXPO: suro

E’ il più povero dei carangidi, la grande famiglia di pesci pelagici predatori, che comprende ricciole e lecce. Ma non per questo è meno buono. Più piccolo di taglia, lo si trova infatti in pescheria dai 150 ai 500 grammi, e quindi è un po’ più difficile da preparare. La pulizia si complica anche perché ha anche una lunga fila di robuste squame che vanno dalla testa alla coda, e richiede quindi di essere spellato. Un’operazione non facile, che però permette di avere quattro filetti di carne di grande sapore, a pochissima spesa. Deciderete poi voi se farli arrosto, lessi, in umido o crudi. 

I suri li pescano principalmente le volanti insieme al pesce azzurro, anche se quelli presi con l’amo sono decisamente molto più buoni, perché le carni rimangono più toste. Le volanti sono due barche che trainano un’unica rete, distaccata dal fondo. E’ una tecnica introdotta in Mediterraneo negli anni Sessanta del Novecento, che ha in alcune zone ha soppiantato la pesca con la lampara e le reti d’imbrocco. Si tratta di una evoluzione della pesca alle arringhe fatta nei mari del nord, possibile grazie alle evoluzioni recenti, quali potenze dei motori, fibre sintetiche ed ecoscandagli. Quest’ultimo strumento permette infatti di individuare i banchi e di conseguenza fare delle cale mirate, di 30-40 minuti. Dopo la folle esplosione degli anni Settanta-Ottanta, in cui si pescavano migliaia di tonnellate all’anno per fare farine di pesce, oggi anche questa attività si è molto ridimensionata e in Italia operano circa 140 barche, quasi tutte in Adriatico centro-settentrionale. Pescano acciughe, sarde, spratti, cefali e tante altre specie che non vivono sul fondo, tra cui i nostri buonissimi ed economici, suri, che chiedono solo un po’ di tempo e di abilità per essere preparati. 

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venerdì 31 luglio 2015

Venerdì di magro

Un pesce per l'EXPO: sogliola

Il “fermo pesca”, è ormai un classico delle estati gastronomiche italiane. Sono mesi in cui le pescherie (non quelle iper, sempre uguali a se stesse, ma quelle micro, mutevoli come le stagioni) offrono molto di meno e i prezzi sono mediamente più alti. Il fermo stato introdotto alla fine degli anni ’80 del Novecento e quest’anno durerà una quarantina di giorni. Il primo stop alla pesca a strascico, in tutte le sue forme e riguardante quindi sia il pesce bianco che quello azzurro, è scattato il 26 luglio, da Rimini a Trieste. Nelle settimane successive partirà nel resto dell’Adriatico e poi in settembre nel Tirreno e nel Ligure. Bisogna però ricordare che il pesce fresco lo si troverà comunque, perché si continuerà a pescare con reti fisse, nasse, ami e con le reti da circuizione, cioè con tutti quegli “ordigni”, utilizzando una suggestiva parola ottocentesca, meno impattanti e più selettivi. Tra questi le reti d’imbrocco, cioè quelle fatte oggi di filo di nailon trasparente, calate al tramonto e salpate all’alba, molto utilizzate in Adriatico per la pesca della sogliola. Pesce nobile per eccellenza, ricercato innanzitutto dalle mamme, perché leggendario è il suo sapore e la sua digeribilità. Pellegrino Artusi, nel suo libro più famoso, riporta diverse ricette e la mette anche nell’appendice dedicata alla “Cucina per gli stomachi deboli”. E’ lo stesso Artusi a ricordare che “Alla sogliola, per la bontà e delicatezza della sua carne, i Francesi danno il titolo di pernice di mare”. In effetti la sogliola, almeno quella “gentile” che i biologi chiamano Solea vulgaris, perché ne esistono in Mediterraneo altre due specie meno buone, ha carni magre, cioè con un contenuto in grassi inferiore al 3%, saporite e facilmente spinabili. Quest’ultima rimane una caratteristica innegabilmente apprezzabile per la maggior parte dei consumatori che, purtroppo sempre più numerosi, mangerebbero solo pesce senza spine. Viva le spine invece! che richiedono un ingrediente sempre più raro a tavola, come nella vita: la pazienza.

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lunedì 27 luglio 2015

Insulomania

Su La Repubblica di ieri, domenica 26 luglio 2015, Michele Mari ci racconta l'antico e indissolubile rapporto tra isola e letteratura. Lo fa a partire dalla vita romanzesca di Metthew Shiel, scrittore e sovrano della micro isola Redonda, "uno scoglio di tre chilometri quadrati", nell'Arcipelago delle Antille. Mari si sofferma poi sull'isola-gioco, sull'isola-avventura, sull'isola-madre e su quella matrigna, sull'isola-carcere. Insomma un vero e proprio excursus letterario, a partire dall'insulomania, particolarmente accesa in questi giorni d'estate. Nelle stesse pagine troverete anche un commento di Massimo Recalcati, in cui spiega la differenza tra isolamento e solitudine.

giovedì 16 luglio 2015

Il nostro mare quotidiano

Di seguito trovate un mio breve racconto scritto per il #BFF33 Bellaria Film Festival 2015 - che si svolgerà dal 24 al 26 luglio 2015.
E' ispirato alla fotografia di Cesare Ricci, autore dell’immagine scelta per il #BFF33.

Incù vi guardo, solitari e distratti sulla cima del molo.
La magnificenza non sempre basta per destare attenzione. Soprattutto,  quella placida dei giorni d'estate. Stupisce il sole all'alba, evoca la  vela all'orizzonte, incanta la luna a levante. Ma è solo nel mio riflesso che si compie la loro struggete bellezza.
Oggi vi ascolto, solitari e silenziosi sulla cima del molo.
 La musica non sempre basta per suscitare ammirazione. Soprattutto, quella  lenta dei giorni d'estate. Ammalia lo stridio di una sterna, narra lo sciabordio di una prua, rapisce la melodia di un vento. Ma è solo nella mia  eco che si amplifica la loro struggente bellezza.

Vorrei vedere le vostre schiene, per cercare di capire chi siete, per  immaginare le vostre storie. Non gli occhi che possono tradire, non le mani  che non sanno mentire. Le schiene, che sono pietre scolpite dalla fatica,  tavole modellate dalle consuetudini.
Siete operai che sognano le onde nei  turni di notte? impiegati che sognano le brezze nelle pause pranzo?  contadini che sognano le acque nei giorni a cottimo? Siete venuti  stringendovi su una lambretta? tenendovi per mano in un vagone?  scambiandovi sguardi su una seicento? Perché avete scelto una banchina deserta e  non una spiaggia affollata? Forse non siete distratti da una tribolazione  feriale? al contrario, siete concentrati in una preghiera festiva?
Solo la vostra schiena potrebbe rispondere, raccontando le vostre vite, le vostre vacanze, i vostri sogni.

Il Mare quel giorno non vide le loro schiene, non ricevette risposta,  perché non si girarono per tornare.

Si racconta  che aspettarono immobili la sera, quando si imbarcarono su una nave impavesata  di luci. Misero poi la prua verso il largo, mentre a  poppa si stendeva una scia evanescente di bagliori e di note. Solo loro sul  ponte danzavano al ritmo di una musica d'oriente. Era una ballata che parlava di isole lontane, di porti felici, di amori d'oltremare.

martedì 23 giugno 2015

Insulomania

Isole, isole, isole, ... di gente comune, di guerrieri antichi, di eroi risorgimentali.
Buon vento!

CAPRERA

Se Odisseo è il più noto degli insulomani dell'antichità, quello che seppe elevare l'agognata Itaca a simbolo di tutte le isole, reali e fantastiche, Garibaldi è l'insulomane più conosciuto, per altri motivi,  del Risorgimento italiano. Dell'“Eroe dei due mondi” tanto si è scritto sulle sue battaglie rivoluzionarie d'America e d'Europa. Meno nota è la vicenda marinaresca e ancor meno la sua insulomania, che lo portò a rifugiarsi a Caprera, la sua Itaca.
L'isola sarda, dove morì nel 1882, fu il rifugio finale dell'ultimo corsaro, nel significato originario del termine. Infatti Garibaldi, sfuggito alla condanna a morte pronunciata da una corte del Regno Sabaudo, per aver partecipato al moto insurrezionale del 1834, si imbarcò a Marsiglia come comandante in seconda di un brigantino diretto in Brasile. Lì, con tanto di lettera di corsa della neonata Repubblica del Rio Grande del Sud, divenne corsaro. “Lanciato sull'Oceano con dodici compagni a bordo di una garopera, si sfidava un impero,e si facea sventolare per primi, in quelle meridionali coste, una bandiera di emancipazione! La bandiera repubblicana del Rio-Grande!”, come racconta lui stesso. Seguì il ritorno nel Vecchio Continente e le alterne vicende risorgimentali, fino all'esilio, in più occasioni interrotto, nel 1862 a Caprera.
L'isola, in cui il Generale aveva già vissuto per brevi periodi e dove aveva acquistato nel 1856 un'ampia tenuta, si presentava “incolta, quasi deserta, … ingombra di massi granitici e pressochè sconosciuta, essendone perfino dimenticato il segno e il nome nella maggior parte delle carte e dei dizionari geografici”. Così la descrive Eugenio Canevazzi nel 1866
...

L'articolo completo è pubblicato sul mensile BOLINA di giugno 2015

venerdì 12 giugno 2015

Biblioteca di mare e di costa

In collaborazione con il festival “Mare di libri”, il Club Nautico di Rimini, organizza venerdì 12 giugno 2015, alle ore 21, presso la sua sede in Piazzale Boscovich 12, un incontro pubblico a ingresso gratuito con Björn Larsson.

Di seguito trovate la prima parte dell'articolo pubblicato oggi, 12 giugno 2015,  sul Corriere Romagna

Anche noi, marinai mediterranei contemporanei, abbiamo navigato su rotte oceaniche insieme a pirati; inumani, spietati, disperati, libertari, comunque affascinanti. Lo abbiamo fatto da bambini leggendo e sognando con “L'isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson, per poi ritrovare anni dopo alcuni straordinari personaggi ne “La vera storia del pirata Long John Silver” di Björn Larsson. Ma se Stevenson rimarrà per sempre un fantasma al pari dei suoi vecchi e giovani filibustieri, Larsson potremmo invece incontrarlo venerdì prossimo a Rimini, per ascoltare il suo vivissimo racconto del mare. E proprio “Raccontare il mare” (Iperborea, pp. 190; € 15,50) è il titolo del suo ultimo libro. Quello di Larsson con il mare non è solo un rapporto letterario, ma un'esperienza di vita maturata a bordo delle sue barche a vela, con cui ha navigato e naviga, dalle isole scandinave al Golfo di Biscaglia. Ma a proposito del rapporto con l'elemento nettunio, Larsson ama ricordare che “del mare mi importa di più nella mia vita personale che come autore”, anche se lo stesso riconosce che “per molti sono e resto uno scrittore di vagabondaggi in mare, di veleggiate e di pirateria”.
In questo nuovo lavoro l'autore ha raccolto prefazioni edite e inedite di alcuni dei più grandi libri di mare, scritti da Joseph Conrad e Joshua Slocum, da Francesco Biamonti e Alvaro Mutis. Ne è venuto fuori secondo l'autore stesso “un opera discretamente eclettica e impressionista, un po' a immagine del mare stesso, imprevedibile e mutevole, e della navigazione a vela, per lo meno quella che non ha mete prestabilite, né rotte chiaramente fissate che non siano quelle di vivere nel presente e di godere l'attimo”. Un libro quindi perfetto per noi velabondi, cioè vagabondi a vela che abbiamo un unico punto fermo: “barca minima, rotta massima”. Che poi alcune considerazioni di Larson sulla letteratura del mare le si condivida o meno, diventa secondario. Perché prima di ogni altra cosa leggendo queste pagine si prova innanzitutto il piacere di ascoltare la voce di un marinaio venuto dal nord, che ha conosciuto le avventure di altri marinai passati e presenti, in quel modo tutto particolare e intensissimo che solo i libri riescono a fare.

martedì 9 giugno 2015

Biblioteca di mare e di costa

Leonardo GuzzoLe radici del mare, pp. 204, € 18, Italic Pequod, Ancona 2015
Anche in Italia abbiamo autori che si sono cimentati nei racconti di mare, un genere doppiamente difficile. Perché alla difficoltà del racconto, che in poche pagine deve insieme rapire il lettore e soddisfarne le curiosità, s’aggiunge quella dell’ambientazione. Il mare infatti è sicuramente meno conosciuto, sia da chi scrive che da chi legge, e ha un suo vocabolario, ricco e indispensabile alla narrazione e alla fascinazione. Anche rimanendo dentro le Colonne d’Ercole il mare bisogna averlo navigato per riuscire a raccontarlo, così come ci insegnano Giovanni Comisso e Raffaello Brignetti, prendendo due esempi delle opposte sponde italiane. È perciò sicuramente ardito e degno d’attenzione il lavoro di Leonardo Guzzo, che ha un titolo molto evocativo: Le radici del mare. Si tratta di dodici racconti, per geografie, tempi e modi molto diversi, accomunati però dal mare che “è lo stesso ovunque (…) e resta sempre uguale a se stesso, miracolosamente ringiovanito dalla grazia di ogni nuovo sole”, riprendendo le parole che danno avvio a Un altro mare. In questo racconto, come nell’omonimo romanzo di Caludio Magris, si narrano le vicende di un uomo che ha attraversato l’oceano o che forse lo ha solo fantasticato. Anche altri racconti mescolano realtà e finzione, in un gioco di specchi che rimanda innanzitutto ai tanti significati metaforici del mare. Un mare in cui spesso, anche in letteratura, si rischia di perdersi inseguendo fate morgane seducenti ma impossibili da raggiungere. La nave viene allora travolta dalla burrasca e va in mille pezzi. Ciò che rimane sono frammenti, che presi singolarmente sono seducenti, ma che non permettono la conclusione del viaggio. I frammenti di Guzzo sono microstorie di pescatori di mostri marini, di ragazzi che accendono fuochi sulla spiaggia, di vogatori in catene, di faristi che hanno scelto “sperdute lontananze”, di attori dimenticati che hanno fatto del mare il loro “passatempo preferito”. Genti distanti miglia o secoli, dannate o redente, vissute o sognate, i cui volti e le cui voci naufragano.

Pubblicata L'Indice dei Libri del Mese, maggio 2015.

sabato 30 maggio 2015

Anemofilia


Venerdì 5 giugno 2015, uscirà in abbinamento con Il Sole 24 Ore, al prezzo di 8,90 euro, il mio libro "Anemos. I venti del Mediterraneo", inserito nella collana "Le storie di mare". Sarà una ristampa della edizione che trovate ancora in libreria, edita da Mursia nel 2012.

Di seguito trovate una pagina dedicata ad alcuni dei miti legati ai venti.

Per i greci, che con il mare avevano un rapporto più intimo dei latini, il vento era ánemos, parola insieme potente, evocativa, inafferrabile, misteriosa e spirituale. Tutti aggettivi associabili al respiro dell’uomo e, a maggior ragione, a quello infinito e profondo della natura. Nel mito pelasgico sull’origine della vita si racconta di Eurinome che cattura il Vento del Nord, detto anche Borea, e lo sfrega tra le mani, fino all’apparire del serpente Ofione. Questo vedendo poi la dea danzare con un ritmo sempre più selvaggio, si eccita e la stringe. Infine si accoppiano ed Eurinome si trasforma in una colomba, che vola sopra il mare, per andare a deporre l’Uovo Universale, da cui escono tutte le cose.
Nei secoli successivi il vento fecondatore per eccellenza sarà Zefiro, il re dell’ovest, cantato nel Rinascimento da Angelo Poliziano e dipinto magistralmente da Sandro Botticelli. Nella Nascita di Venere, Zefiro vola sul mare, trattenuto nel suo impeto dall’abbraccio di Aura. È il soffio del vento a mettere in movimento la scena, trasportando in aria le rose e in acqua la conchiglia, su cui sta la dea. Di aure e venti che la spingono verso terra, parla Giorgio Vasari. I suoi lunghi capelli e quelli della ninfa che l’attende sulla spiaggia, così come il mantello e le vesti, prendono vita sempre grazie al respiro del vento che riporta ogni anno la primavera.
Zefiro salva miracolosamente anche Psiche, una splendida mortale. La sua bellezza aveva allarmato e ingelosito Venere, che ne avrebbe voluto la rovina. È il tiepido vento a sollevare delicatamente Psiche, evitando una fatale caduta da un precipizio. Però, non sarà sufficiente neanche l’aiuto del vento a modificare il tormentato destino della debole Psiche,  seducente come un soffio celestiale.



venerdì 29 maggio 2015

Il nostro mare quotidiano

Domani, sabato 30 maggio 2015 si festeggiano i dieci anni dell'inaugurazione della sezione a terra del Museo della Marineria di Cesenatico.

A partire da questa bella occasione, lunedì scorso 25 maggio 2015 sul Corriere Romagna è uscito un mio articolo dedicato alla relazione tra l'istituzione e la cultura del mare, che trovate di seguito.

I festeggiamenti per i dieci anni della sezione a terra del Museo della Marineria di Cesenatico sono anche l'occasione per fare il punto sulla diffusione della cultura del mare in Italia e più specificatamente lungo le rive adriatiche. Per farlo credo che il modo migliore sia innanzitutto rileggere “La marineria romagnola, l'uomo, l'ambiente”, il volume che raccoglie gli atti del convegno tenuto proprio a Cesenatico nel  1977. In tanti vi parteciparono, quelli che possiamo considerare come i nostri maestri, perché a diverso titolo indagarono, promossero e battagliarono perché non venissero disperse per sempre le nostre origini e si riallacciassero i legami con il nostro passato marinaresco, riprendendo le parole con cui Giorgio Calisesi apriva il volume. Così come attualissimo è l'invito rivolto ai partecipanti da Bruno Ballerin, allora Presidente dell'Azienda di Soggiorno di Cesenatico: “nei momenti di crisi e di recessione economica la cultura non deve essere mai sacrificata alle necessità materiali di aumenti di produzione e consumismo”.

Se passeggiando lungo il porto leonardesco sono sotto gli occhi di tutti gli straordinari risultati di quell'investimento, culturale, politico ed economico, che ha permesso d'avere oggi la più importante collezione di barche storiche presente in Europa, una sezione a terra ricchissima e un'attività espositiva e didattica di prim'ordine, meno ovvi ma altrettanto importanti sono i risultati immateriali. Parlo della ritrovata appartenenza a una multietnica e variegata comunità di marinai romagnoli. Genti ed esperienze molto diverse che hanno però come denominatore comune un orizzonte adriatico di straordinaria bellezza e vitalità, una storia adriatica di  fascino antico e luminoso. Tralasciando per una volta le attività balneari, che comunque sempre di più in futuro dovranno saper mettere in valore anche la cultura del mare, penso ai pescatori che calano le reti per raccogliere il più genuino dei cibi, a chi il pesce lo vende e lo cucina, ai mitilicoltori che allevano quell' “oro nero” che non inquina e va ad arricchire i mercati ittici, ai ricercatori in ambito scientifico e umanistico che lavorano in mare e per il mare, alle maestranze dei cantieri nautici, ai marittimi del traffico mercantile e a quelli del diporto, a cui si aggiungono tutti quelli che fanno esperienza del mare andando a remi o a vela, nuotando  o pescando, semplicemente per piacere. Per tutti, consciamente o inconsciamente, il Museo della Marineria di Cesenatico è insieme motivo d'orgoglio e di stimolo, un porto sicuro da cui mollare gli ormeggi per rotte diverse, per poi fare ritorno certi che fatiche ed esperienze saranno messe in valore. Se la cultura del mare è un patrimonio fondamentale per chi vive lungo le rive, un museo come quello di Cesenatico è  “una scuola, per una diverso modo di fare storia (storia della società, del lavoro) e va usato come vivaio di cultura e di esperimenti”, per concludere con gli auspici di un altro maestro, Lucio Gambi.


PS. L'immagine scelta per questo post è tratta dalla copertina della rivista "Le Vie d'Italia", del TCI, del giugno 1949. La scelta vuole essere un'omaggio al prezioso lavoro svolto dal Touring anche sulla cultura del mare.

giovedì 28 maggio 2015

Notizie

Sabato 30 maggio 2015 - ore 19,00
Teatro Rosaspina - Montescudo (RN)

Prova aperta di: “Le parole del mare”
Il racconto degli effetti devastanti dell’inquinamento da plastica nel mare, ma è anche un grido, una domanda. Il mare ci interroga,e attende una risposta.
"Le parole del mare" - Spettacolo/Performance a cura di Reparto Prototipi.

Tratto da “Come è profondo il mare” di Nicolò Carnimeo. Edizioni Chiarelettere.
Con Aldo Saporetti, Orietta Villa e Simona Matteini. Regia ed ideazione Paola Doghieri.

Di seguito trovate la mia recensione al libro, pubblicata sul Corriere Romagna di lunedì 25 maggio 2015

“Così stanno bruciando il mare, così stanno uccidendo il mare, così stanno umiliando il mare, così stanno piegando il mare”, ammoniva cantando Lucio Dalla nel 1977. Un allarme che ha probabilmente solo una pecca, perché sarebbe più giusto usare la prima persona plurale, cioè stiamo inquinando il mare. E lo facciamo purtroppo in mille modi diversi, come ci ricorda in un documentato reportage Nicolò Carnimeo, prendendo a prestito proprio il titolo della canzone di Dalla “Come è profondo il mare” (2014, Chiarelettere; pp. 172, € 13,60). Se i titoli di copertina appaiono un po' troppo allarmistici, “Dal nostro inviato nella più grande discarica del Pianeta” e “La plastica, il mercurio, il tritolo e il pesce che mangiamo”, il contenuto è invece documentato e insieme appassionato. Il libro partendo dall'eclatante caso dell'isola di plastica che da anni, aumentando di volume, va alla deriva nell'Oceano Pacifico, ci informa sugli stessi problemi che affliggono il Mediterraneo. Paradossalmente sono proprio le spiagge più selvagge quelle più inquinate dalle plastiche. “Tra le coste del Mediterraneo, il paesaggio dell'Africa del Nord è quello più sfigurato, perché spesso non esiste gestione dei rifiuti e fiumi di plastica finiscono sulle spiagge e lungo il litorale”, scrive Carnimeo che a bordo di Halifax ha seguito un gruppo di oceanografi impegnati in un monitoraggio mirato a stimare l'inquinamento da microplastiche. Queste sono oggi probabilmente le più pericolose anche per la salute dell'uomo e sono al centro di numerose ricerche. Si tratta di frammenti di piccolissima dimensione che possono più facilmente entrare nelle catene alimentari, veicolando anche altri inquinanti. Nella seconda parte del reportage Carnimeo indaga su altri due temibili intrusi: mercurio e tritolo. Il racconto della “febbre da mercurio”  parte dal tragico episodio dello spiaggiamento di sette capodogli avvenuto nel dicembre 2009 sul Gargano, perché una delle concause della morte “è stata l'alta concentrazione di mercurio metilico”. E purtroppo anche quella del tritolo è una storia adriatica, che s'avvia a Bari nel 1943 e prosegue negli anni successivi quando il mare diventa una discarica di ordigni tossici.
Quello di Carnimeo è quindi un libro necessario, per tutti quelli che amano il mare e ogni giorno si battono per difenderlo e per viverlo. Certi che i problemi sono tanti e complessi, ma l'orizzonte è grande e capace di rinnovarsi, con il nostro aiuto quotidiano fatto di consumi moderati e consapevoli, di politiche attente e sostenibili. E' innanzitutto l'Adriatico a chiedercelo!

sabato 23 maggio 2015

Incontri

Giovedì 28 maggio 2015, alle ore 21
presso la Biblioteca Comunale di Santarcangelo di Romagna (RN)
Lidia Ioli presenterà una lettura scenica di "Come è profondo il mare" il libro di Nicolò Carnimeo (Chiarelettere, 2014).

Io introdurrò la serata, con particolare riguardo ai tanti problemi ambientali del mare, ma anche alla sua inesauribile bellezza.



giovedì 21 maggio 2015

Notizie

L'Unione Italiana Vela Solidale organizza a Rimini "Mare Libera", una tre giorni dedicata alla vela e alla solidarietà. Da venerdì 22 maggio a domenica 24 maggio si potrà conoscere il mare attraverso la vela, che è anche una grande opportunità per promuovere l'inclusione. Programma "Mare Libera 2015"

Ai temi della manifestazione si lega la domanda con cui apro il mio Vela libre:

Per andare a vela è necessario essere dei superuomini?
No, assolutamente, tanto che la vela permette il confronto, anche sportivo, tra uomini e donne, vecchi e bambini. In mare l'abilità vale più della prestanza fisica, la conoscenza è più utile della forza. Addirittura c'è chi fa della vela una pratica terapeutica, chi ancora prende il mare per affrontare una malattia o la vecchiaia. Molteplici sono i progetti di recupero da problemi psichici e fisici legati alla vela. Un'attività sportiva e culturale che meglio di altre si presta per stimolare interessi e curiosità, per creare relazioni e superare difficoltà di diverso tipo. In mare i problemi sono affrontabili attraverso una solidale partecipazione dell'equipaggio. Tutti a bordo, dal comandante al mozzo, devono fare la loro parte, perché la buona riuscita della navigazione dipende da chi traccia la rotta, da chi sta al timone, da chi regola le vele, da chi prepara un caffè caldo. Anche su una piccolissima barca, impegnata in una breve veleggiata lungocosta, ognuno deve avere il suo ruolo ed essere consapevole delle sue responsabilità. A bordo non sono necessari superuomini individualisti, anzi sono pericolosi quando le condizioni diventano impegnative; sono invece utili i marinai che hanno ben chiara un'antica regola: “Una mano per sé e una per la barca”. Non a caso la parola equipaggio, che deriva dal francese équiper ossia fornire del necessario, rimanda a equo, equità, equilibrio, cioè all'origine latina, āequus, uguale. Si è parte di un equipaggio quando si riconosce l'uguaglianza di tutti, nella diversità dei ruoli.
Anni fa sull'Isola di Lussino in Croazia ho avuto la fortuna di conoscere un tedesco paraplegico che trascorreva tutte le estati da solo, navigando con la sua barca a vela di otto metri tra le isole istriane, dalmate e greche. Negli anni il marinaio e la barca erano diventati un perfetto e coordinato organismo marino. L'acqua aveva ridato a quell'uomo la leggerezza, il vento gli aveva restituito la forza. Sul mare era riuscito a superare tante difficoltà motorie e a realizzare, in modo ecologico, la sua passione per il viaggio, in completa autonomia e libertà di movimento.
Epica rimane l'esperienza di Francis Chichester che nel 1966, a sessantacinque anni, decise di mettersi in mare con il Gipsy Moth IV, una barca a vela di sedici metri, per circumnavigare il Globo in solitario senza alcun scalo. Raggiungerà i mari australiani in centosette giorni, per ritornare al porto inglese di partenza in altri centodiciannove giorni, ricevendo una meritata, entusiastica accoglienza. Molto clamore fece allora l'età avanzata del protagonista, perché l'avventura venne vista anche come una sfida alla vecchiaia. Ma fu lo stesso Chichester a liquidare questa stortura, scrivendo che era assolutamente consapevole di avere a disposizione un tempo misurato. Non voleva contrastare l'invecchiamento, ma pretendeva da se stesso il miglior rendimento, per poter vivere appieno, con soddisfazione.
Visto che la maggior parte di noi non ha certo questo tipo di velleità oceaniche e che la vela è innanzitutto un esercizio fisico e mentale nei mari di casa, fino a diventare una pratica zen, si può subito concludere dicendo che tutti, dai sei ai cento anni possono veleggiare anche da soli. Bisogna scegliere la barca giusta e la rotta adeguata alle proprie possibilità, mai dimenticando che, per quanto atletici, esperti e preparati, il mare rimane per tutti infinitamente più potente. È Joseph Conrad, grande marinaio prima che altrettanto grande scrittore, a ricordare che il mare non è mai stato amico dell'uomo. Qualche volta è complice delle nostre irrequietezze o ambizioni. Il mare è stato, e sarà sempre, un dio severo, capace di dispensare inusitate gioie e terribili pene. Forse parte della fascinosa attrazione del mare sta proprio in questa ambivalente complicità, perché ci sono giorni in cui navigare è esperienza dolcissima, altri in cui è prova severa. Per noi, che sul mare non lavoriamo, le prime dovrebbero essere le occasioni più frequenti, quelle offerte da un Mediterraneo che è da millenni culla del mestiere del navigare, riprendendo le parole di Conrad.
Quindi, per navigare a vela in sicurezza e con piacere, alla forza è da preferirsi l'abilità, all'audacia la prudenza, all'esuberanza la pazienza. Con gli anni e le miglia a queste tre qualità s'intreccerà l'esperienza, dandoci la più robusta delle cime di sicurezza, preziosa quanto l'indispensabile life-line di bordo. Una vela manovrata con abilità, prudenza e pazienza, porterà lontano, oltre qualsiasi nostro immaginato orizzonte, geografico ed emozionale.

Tratto da "Vela libre. Idee e storie per veleggiare in libertà" Stampa Alternativa, 2012



martedì 19 maggio 2015

Venerdì di magro

Un pesce per l'EXPO: razza

Le razze qualche anno fa erano praticamente scomparse. Poi improvvisamente e inaspettatamente si sono ricominciate a pescare, in grande abbondanza. Incredibilmente sono da qualche mese uno dei pesci più economici; con 7-8 euro al chilo si mangia veramente bene! Semplicemente lessa o in umido con pomodori, olive nere e capperi, o alla romana con pasta e broccoli, la razza è un ottimo piatto.

La sua benedetta ricomparsa è forse il primo segnale positivo della drastica riduzione della pesca a strascico?

... continua sul blog de La Stampa, dove troverete anche tanti altri pesci!

mercoledì 13 maggio 2015

Biblioteca di mare e di costa

E' appena uscito l'ultimo numero della rivista L'INDICE DEI LIBRI DEL MESE (Maggio 2015), in cui troverete quattro schede dedicate ad altrettanti libri di mare da poco pubblicati:

Luchino dal Verme
PARTIAMO. IL GRANDE VIAGGIO DELLA REGIA CORVETTA VETTOR PISANI
pp. 168, €  13
Edizione Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 2014

Leonardo Guzzo
LE RADICI DEL MARE
pp. 204, €  18
Italic Pequod, Ancona 2015

Andrea Iacopini
IL MARE DEGLI UOMINI. STORIE DALLA MINITRANSAT
pp. 172, €  12
Mursia, Milano 2015

Mario Dentone
IL SIGNORE DELLE BURRASCHE
pp. 355, €  17
Mursia, Milano 2014

Buona lettura e buon vento.

venerdì 8 maggio 2015

Storie di mare

Sul mensile Bolina di maggio troverete il racconto della storia della Rimini-Corfù-Rimini, che non è stata solo una manifestazione sportiva, ma una straordinaria occasione per promuovere la cultura del mare a Rimini e più in generale in Italia. Di seguito anticipo la prima parte.
Infine voglio ricordare che quest'anno, grazie all'entusiasmo di tanti soci del Circolo Velico Riminese, la regata ripartirà il 5 luglio 2015 (troverete tutte le informazioni anche sulla pagina Facebook) e quindi si scriverà un nuovo capitolo di questa grande avventura. Buon vento!

Che cosa è una regata? Se ci si limita al vocabolario, è una “gara di velocità tra imbarcazioni”. Ma può essere anche tanto altro e innumerevoli casi lo dimostrano. Fin troppo semplice è citare l'America's Cup e la Volvo Ocean Race che sono diventati eventi commerciali planetari, meno scontato è ricordare che la Giraglia o il Fastnet hanno fatto conoscere al grande pubblico scogli remoti, che la Golden Globe Race divenne una favola che aveva come protagonista Bernard Moitessier o che la Vende Globe e la Mini Transat rimangono innanzitutto avventure marinaresche. Ma una regata può anche diventare l'occasione per promuovere la cultura del mare in città dove non è così diffusa. Rimanendo in Italia, emblematico è il caso della Barcolana e, molto più in piccolo come dimensione e durata nel tempo ma altrettanto importante, è quello della Rimini-Corfù-Rimini.
Va infatti precisato che benché Rimini sia da oltre un secolo una delle capitali balneari europee, storicamente il suo punto di forza è il connubio spiaggia e sole, non certo mare e vento. Anzi del mare molti riminesi quasi si vergognano, perché le acque sono spesso torbide, malgrado questo non sia indice di inquinamento. Una vergogna amplificata dalle vicende dell'eutrofizzazione e delle mucillagini, che raggiunsero l'apice negli anni Ottanta del Novecento, quando si avviò la felice esperienza della regata d'altura. Probabilmente anche da questa necessità di restituire un'altra immagine del mare le amministrazioni, e la città tutta, in quegli anni abbracciarono e sostennero l'ambiziosa idea del Circolo Velico Riminese che organizzò nel 1984 la prima edizione della Rimini-Corfù-Rimini, “la più lunga regata velica d'Italia” riprendendo le parole della promozione di quegli anni. Comunque sia la manifestazione oltre a richiamare barche ed equipaggi da tutto l'Adriatico, e non solo, è stata anche una straordinaria occasione per trovare imbarco per centinaia di ragazzi che poterono saggiare la loro passione, che scoprirono veramente cos'è il mare, nella sua duplice dimensione di enorme fatica e incredibile emozione. A riprova di ciò bastano i nomi di Simone Bianchetti e Max Sirena, all'epoca neanche ventenni, che battendo rotte diverse si imposero poi su campi di regata internazionali, seppur diversissimi. Tanti altri, pur non facendo della vela un mestiere, hanno però fatto tesoro di quell'esperienza, maturando una cultura del mare che ha un indispensabile bisogno della dimensione materiale.

La prima edizione partì il 27 maggio 1984, con 24 barche impegnate in una rotta di mille miglia. Da Rimini bisognava discendere tutto il “bizzarro” Adriatico, attraversare il Canale d'Otranto, doppiare l'isolotto di Peristerai, posto a pochi chilometri dalla costa nordorientale dell'isola di Corfù, per ritornare a Rimini. Va ricordato che allora esisteva ancora la Jugoslavia e l'Albania era sotto la ferrea dittatura di Hoxha. Un contesto quindi non solo tecnologico, ma anche geopolitico completamente diverso da oggi. 
...


Continua sulle pagine di carta o elettroniche di Bolina di Maggio 2015.

lunedì 27 aprile 2015

Notizie

Finalmente un importante quotidiano dedica la giusta attenzione ai libri di mare!

E' Il Sole 24 Ore con la collana "Le Storie di Mare", 24 libri che spaziano dalle biografie, alle crociere, alle regate, alle avventure. E' per me motivo di soddisfazione partecipare a questa rotta letteraria con il mio "Anemos. I venti del Mediterraneo" (in edicola il 5 giugno 2015), sulla scia dei racconti di grandi marinai e maestri, quali Moitessier, Slocum e Dumas.

Il primo volume, in edicola da venerdì 24 aprile con Il Sole 24 Ore, è “Odiavo i Velisti”, la storia di Cino Ricci, scritto a quattro mani con Fabio Pozzo. Il libro, fresco vincitore del "Premio Carlo Marincovich", è una biografia salata del velista romagnolo che ha fatto la storia della vela italiana del Novecento, anche con l'avventura di Azzurra, la prima barca italiana che ha partecipato alla Coppa America.



giovedì 23 aprile 2015

Notizie

E' arrivato al 6° anno il Premio Carlo Marincovich per la letteratura di mare, che ricorda il prezioso lavoro e la grande passione del giornalista di Repubblica. Un premio che si distingue per specificità e originalità dei riconoscimenti. Ai vincitori viene infatti consegnato un "cimelio marinaresco" d'eccezione. Ieri sono stati resi noti i vincitori dell'edizione 2014, a cui vanno i miei complimenti.

Sezione libri "cultura del mare saggi"
1° classificato -"Odiavo i Velisti" di Cino Ricci e Fabio Pozzo,  Longanesi - 2° classificato ex equo -"Oh Capitano!"  Francesco Durante, Marsilio -
2° classificato ex equo -"Adriatico per sempre" di Franco Masiero, Mare di carta.

Sezione libri "cultura del mare narrativa"
1° classificato - "Le isole lontane" di Sergio Albeggiani, Mursia. 2° classificato ex equo
"La musica del mare" di Roberto Soldatini, Nutrimenti Editore. 2° classificato ex equo
"Piccolo taccuino dell'Adriatico" di Paolo Ganz, Mare di carta Editore.

Sezione libri "cultura del mare junior"
1° classificato - "Il mio amico Nanuk" di Brando Quilici, Sperlin & Kupfer.

Premio Speciale alla "solidarietà e il rispetto del mare"
"Come è profondo il mare" di Niccolò Carnimeo, Chiarelettere.

Sezione articoli "cultura del mare storia"
1° classificato  "Memorie del Porto" di Giovanni Panella, pubblicato su Nautica.

Sezione articoli "cultura del mare navigazione"
1° classificato - "13 grandi velisti scomparsi in mare" di Giacomo Giulietti  -  on line Sailing & Travel Magazine.

Molti di questi libri li ho letti e recensiti, così come molti degli autori sono amici che stimo. Libri e autori, nonché gli editori che continuano ad investire in cultura, malgrado le mille difficoltà economiche del momento, testimoniano la rinnovata vitalità della letteratura che ha innanzitutto il nostro amato Mediterraneo come protagonista.