Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

lunedì 26 novembre 2012

Mostre


Oggi, lunedì 26 novembre 2012, nell'inserto Aria di Mare del Corriere Romagna trovate la presentazione della mostra di Luigi Divari, "Pesci, barche e uomini di questo mare", che inaugurerà domenica 2 dicembre alle ore 16, al Museo della Marineria di Cesenatico (FC).
Ecco un'anticipazione.



Pesci molti, barche alcune, uomini pochi. Ecco la formula alchemica che rende attraente e suggestivo il lavoro pittorico di Luigi Divari. Ma questa non è solo una scelta stilistica, perché riflette più in generale la sua visione della Laguna di Venezia. Silenziosa, come i molti pesci che la abitano, alcune barche che l'attraversano, i pochi uomini che la conoscono. Uno sguardo che ha poi ampliato su quell'Adriatico che dei mediterranei è il più “lagunare” o per usare una definizione storica è il Golfo di Venezia.
Bel pésse , barche a remi o a vela, uomini antichi. Tre soggetti che su queste carte si materializzano proprio grazie all'acqua, per tutti elemento essenziale alla vita. Acque salmastre prima e salate poi. Acque di laguna, che del mare è il grembo, dove crescono i suoi pesci e dove sono stati allevati per millenni i suoi uomini e le sue barche.
Se è relativamente semplice descrivere l'orizzonte o, per meglio dire, il fondale d'immagini di Luigi Divari, non è invece facile preparare un unico parangale di parole capace di catturare le tante suggestioni che evocano singolarmente le sue tavole. Certo è che solo un pittore con una straordinaria passione per la pesca e la navigazione, e le cento storie che ogni pesce, ogni uomo e ogni barca porta con sé, poteva realizzare una così dettagliata scena peschereccia. Questi acquarelli restituiscono la freschezza di una grande pescheria, la forza di un selezionato equipaggio, l'eleganza di una storica compagnia navale.
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Ma questa mostra ci parla anche dell'oggi, invitandoci a prendere una lenza, un remo o una scotta in mano, per riscoprire i piaceri della pesca, della navigazione e, perché no, della cucina. Questi pesci e queste barche rivelano il fascino di pescherie e squeri, le branchie di tutte le città costiere che vogliono mantenere vivo il rapporto con l'acqua, dolce, salmastra o salata che sia.
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Il mare, come tutte le passioni, richiede tempo, pazienza e, qualche volta, fatica. Luigi Divari lo sà perché naviga e pesca da una vita e i suoi acquarelli, i suoi libri, i suoi racconti lo testimoniano. Ha mani abili e capaci di tenere in mano il pennello e la penna, come la lenza e il remo.



venerdì 9 novembre 2012

Il nostro mare quotidiano


Oggi ho ascoltato Franco Arminio, poeta e scrittore, tra i più stimati e illuminanti del momento.
Un incontro insieme malinconico, divertente e interessante, com'è la vita ci ha ricordato Arminio, soprattutto se vissuta nei paesi.
Anch'io come lui credo che oggi il racconto dei luoghi possa nascere solo se affetti "dall'infiammazione delle residenza". Per cercare di ritrovare la pace lui si sposta da un paese all'altro. Io, a seconda delle stagioni, cammino lungo le rive o nuoto, remo e veleggio nelle acque che bagnano i nostri paesi. Entrambi amiamo respirare l'aria feriale, quella quotidiana.

Di seguito pubblico l'articolo che ho dedicato al suo prezioso lavoro di paesologo, pubblicato nei giorni scorsi sul Corriere Romagna. Per l'occasione ho scelto un titolo che declina quello del suo ultimo libro al nostro mare quotidiano.

Acquasangue

Grazie alla prometeica sensibilità del Teatro Valdoca, è arrivato finalmente anche in Romagna Franco Arminio. Il paesologo, come preferisce definirsi, ha portato nel pascoliano dolce paese (che fu) le sue idee, la sua voce, la sua curiosità errante.
Ma chi è Franco Arminio? e, soprattutto, cos'è la paesologia?
Chi è Franco Arminio? e, soprattutto, cos'è la paesologia?
Rispondendo alla seconda domanda, inevitabilmente si chiarisce anche la figura del padre di questa “scienza arresa”, un felice, necessario, intreccio tra etnologia e poesia. Un'arte narrativa e interpretativa acuta, originale, a volte dolorosa, sempre pungente. Attenzione, la paesologia non ha niente a che fare, anzi è antitetica, con la paesanologia, cioè con la diffusa, pericolosa e controproducente smania di elevare il proprio campanile, di imbellettare i luoghi artificiosamente e, nella migliore delle ipotesi, di ammantarli di finto antico. La paesologia è una “scienza a tempo”, quella di questo tempo incerto, in cui una “modernità incivile” ha spazzato via troppo velocemente una civiltà contadina che aveva plasmato nei secoli i paesi. Non che il passato fosse idilliaco, anzi, ma almeno le pietre e i volti erano conosciuti, la terra e la carne meno straziata. Il problema, secondo Arminio, non è tanto che i paesi si stiano spopolando, ma che la città, nell'accezione peggiore, li abbia raggiunti, guastandoli.
Il suo non è un grido nostalgico ma un canto malinconico che da trent'anni si alza dalle macerie di un Sud dilaniato da terremoti, anche umani, forse i più devastanti.
Franco Arminio partendo e tornando ostinatamente alla sua Bisaccia, dove è nato e vive, ha esplorato e continua a farlo, per cerchi concentrici l'Irpinia, la Campania, il Mezzogiorno, l'Italia. A riguardo il paesologo non tradisce una delle poche regole della sua disciplina: andare nei paesi per tornare in fretta al proprio.
Il suo orizzonte geografico negli anni si è allargato, mentre immutata è rimasta la ricerca dei paesi, quelli che alzano la “bandiera bianca”, quelli sconfitti dalla modernità, quelli insignificanti per i tour operator. L'Italia che ama è quella “disunita”, una paese spaiato “che somiglia a un calzino rotto appeso a un ramo in un giorno di vento”. Una dichiarazione d'amore anche per il vento che, insieme alla neve, è il tratto meteorologico che più appassiona Arminio. Forse perché se la neve regala ai paesi un rigore, “uno stile che i luoghi caldi hanno perduto”, il vento riesce ancora a scompigliare, movimentare, vitalizzare, anche luoghi anonimi. Franco Arminio è un anemofilo, un innamorato del vento, per cui l'erranza meditativa è l'unica possibile forma di viaggio. Rivelazione esteriore e interiore, sguardo attento, paziente, qualche volta arrabbiato, spesso spaesato. Quello di un uomo che ha dismesso “l'arroganza di chi pensa di essere il padrone della Terra”, che si sente “come un cane bastonato”.
Può questo metodo essere sperimentato in Romagna? e se sì dove?
Di certo nei cento paesi appenninici, ancora fortunatamente lontani dal circo turistico “sanmarinesizzante”, ma crediamo anche nei paesi costieri “riminesizzati”. Se immaginiamo che Arminio e i suoi allievi si muoveranno tra ruderi e calanchi, vagando per quell'Appennino che è la colonna dorsale italiana “che sta perdendo poco a poco la sua linfa”, speriamo, anzi ci permettiamo di invitare i paesologi ad esplorare e descrivere i guasti di una bulimia edilizia che ha riminesizzato le coste. E questo non è solo un problema urbanistico, ma è una forma di “autismo corale”, di straniamento individuale riguardante i tanti che non abitano ma risiedono a Misano Adriatico, Miramare, Bellariva, Marebello, Rivazzurra, San Giuliano, Rivabella, Viserba, Viserbella, Torre Pedrera, Igea Marina, Bellaria, San Mauro Mare, Gatteo Mare, Valverde, Pinarella, Milano Marittima, Lido di Savio, Lido di Classe, e gli altri Lidi ravennati e ferraresi; insomma tutti quei paesi che compongono l'iper-paese costiero romagnolo. Un iper che restituisce i caratteri dimensionali e commerciali di una infinita riva urbana che neanche la più geniale archistar riuscirebbe a risanare, che nessun progetto di arredo urbano saprebbe riqualificare. Per abitare, nell'accezione piena e piacevole, la riva urbana è necessario innanzitutto uno sforzo emotivo, un lungo e faticoso percorso di autoanalisi, prima psicologica e poi urbanistica, in cui la paesologia può aiutare. Una paesologia correttamente declinata a questi luoghi che, oltre al cielo, hanno il mare, un'enorme “foresta blu” che continua a regalare qualità al vivere, malgrado tutto.

Franco Arminio, 2012. Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia. Mondadori, Milano; pp 360 € 18.

martedì 6 novembre 2012

Biblioteca del mare e di costa



"Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


John Mack, che per trent'anni è stato direttore del Museo dell'Uomo al British Museum, propone in “Storia del mare” (Odoya, Bologna; pp 304, € 18), pubblicato nel 2011 e appena tradotto da Odoya, casa editrice indipendente con sede a Bologna, un documentato compendio su un ambiente che non è mai stato amico dell'uomo, ma al più complice della sua irrequietezza, riprendendo le parole di Joseph Conrad, il più grande scrittore-marinaio del Novecento.
John Mack ha avviato la sua ricerca partendo da due domande, una riguardante il Madagascar e l'altra l'Anglia. Due luoghi agli antipodi che hanno obbligato l'autore a navigare in tutti i mari e gli oceani, alla ricerca di similitudini e differenze. Perciò il primo capitolo s'intitola “Mari diversi?”, a cui ne seguono due dedicati a concezione, navigazione a arti nautiche. Il libro, ben illustrato in un sobrio e suggestivo bianco e nero, prende poi in esame la spiaggia “un luogo ambiguo, uno spazio intermedio ... né completamente terrestre né tuttavia marittimo, dotato di un effetto metaforico”. In conclusione Mack si sofferma sul vocabolario del mare e sull'immaginario che l'uomo ha cercato di trasferire a terra, costruendo anche edifici e chiese a forma di nave. Parola quest'ultima che in inglese significa proprio navata e, scopriamo sul vocabolario, mozzo. Nave, neiv, un'unica parola che riconosce implicitamente la grandezza dell'ultimo di bordo. Un'appendice dedicata alla letteratura italiana del mare integra e completa questo racconto delle “genti d'acqua salata”, anche le più umili, quelle che hanno navigato e continuano a navigare in Mediterraneo.

Questa breve recensione è stata pubblicata, insieme a un più ampio articolo dedicato ai musei del mare della Romagna, sul Corriere Romagna del 5 novembre 2012 e può essere letto anche online