Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

domenica 23 dicembre 2012

Anemofilia


In questi giorni di festa uscite per guardare il cielo e, se possibile, il mare, ma soprattutto, dovunque voi siate, per sentire il vento. E' bellissimo, libero e gratuito, vivifica la carne e i pensieri.
Buon vento.


Uomo libero, amerai sempre il mare! scrive Charles Baudelaire.
Ma per amarlo dovrai conoscere e innamorarti anche del vento, insegna l'esperienza. Se il mare è lo spazio della libertà, il vento è il suo respiro. Libertà e gratuità, la seconda caratteristica che accomuna questi elementi. Grandiosi, a volte dolcissimi, altre brutali, sempre affascinanti. Il mare e il vento sono da millenni complici dell'irrequietezza dell'uomo, parafrasando Joseph Conrad. Il Mare e il Vento, due indomiti fratelli che l'uomo ha potuto avvicinare solo grazie alla benevolenza di una loro altrettanto libera e gratuita sorella, la Vela.
Nere quelle di Teseo, bianche quelle di Odisseo, Giasone ed Enea, purpuree quelle di Cleopatra e Antonio. Fatte di lino, canapa, cotone e dacron, di forme quadre, latine, auriche, al terzo, bermudiane. Diverse per colori, materiali e tagli, ma anche per necessità, ambizioni e sogni; tutte accomunate dalla forza motrice. Vento, vjetar, wind, ווינט, erë, الرياح, rüzgar, viento, vent, nelle lingue mediterranee di oggi, ánemos per gli antichi greci. Ánemos, che riempie la vela e l'anima. Non a caso in passato la bonaccia era una disgrazia, spesso peggiore della burrasca.
Otto quelli principali, altrettanti i secondari, sedici le quarte. Insieme compongono il più prezioso dei fiori per il navigante, quella rosa dei venti a trentadue petali che da secoli sta al centro delle mappe, delle bussole, dei giorni di ogni Ismaele. Se direzione, verso e intensità descrivono i venti a ogni latitudine, solo in Mediterraneo hanno anche nomi propri. Troppo lunga e articolata è la loro storia per non assurgere all'Olimpo, fin dall'antichità. Figli di un signore caro agli dei immortali, custode capace di arrestarli o eccitarli, secondo il racconto odissiaco. Ed è proprio nel più antico dei libri di viaggio che viene descritta la prima rosa, semplice, quadripetala, composta da Euro, Noto, Zefiro e Borea. Per noi sono Levante, Ostro, Ponente e Tramontana, a cui si interpongono Scirocco, Libeccio, Maestrale e Grecale. Attenzione, disposti nell'ordine caro agli antichi, cioè a partire da est, dall'inizio del giorno e di tutte le cose.
I venti hanno effetti, odori, colori, rumori, addirittura sapori particolari e inconfondibili a seconda dei luoghi. Spingendo le nostre piccole vele, allo stesso modo di quelle umili o gloriose del passato, rinnovano una storia antica. I venti scrivono; segni labili sulla superficie del mare, indelebili nel profondo del ricordo, individuale e collettivo.

ps
Vi anticipo che assieme al musicista Marco Fagotti sto lavorando a un audiodocumentario dedicato al vento, intitolato "Il vento scrive", che dovrebbe andare in onda su Radio Tre. Non mancherò di informarvi.



lunedì 26 novembre 2012

Mostre


Oggi, lunedì 26 novembre 2012, nell'inserto Aria di Mare del Corriere Romagna trovate la presentazione della mostra di Luigi Divari, "Pesci, barche e uomini di questo mare", che inaugurerà domenica 2 dicembre alle ore 16, al Museo della Marineria di Cesenatico (FC).
Ecco un'anticipazione.



Pesci molti, barche alcune, uomini pochi. Ecco la formula alchemica che rende attraente e suggestivo il lavoro pittorico di Luigi Divari. Ma questa non è solo una scelta stilistica, perché riflette più in generale la sua visione della Laguna di Venezia. Silenziosa, come i molti pesci che la abitano, alcune barche che l'attraversano, i pochi uomini che la conoscono. Uno sguardo che ha poi ampliato su quell'Adriatico che dei mediterranei è il più “lagunare” o per usare una definizione storica è il Golfo di Venezia.
Bel pésse , barche a remi o a vela, uomini antichi. Tre soggetti che su queste carte si materializzano proprio grazie all'acqua, per tutti elemento essenziale alla vita. Acque salmastre prima e salate poi. Acque di laguna, che del mare è il grembo, dove crescono i suoi pesci e dove sono stati allevati per millenni i suoi uomini e le sue barche.
Se è relativamente semplice descrivere l'orizzonte o, per meglio dire, il fondale d'immagini di Luigi Divari, non è invece facile preparare un unico parangale di parole capace di catturare le tante suggestioni che evocano singolarmente le sue tavole. Certo è che solo un pittore con una straordinaria passione per la pesca e la navigazione, e le cento storie che ogni pesce, ogni uomo e ogni barca porta con sé, poteva realizzare una così dettagliata scena peschereccia. Questi acquarelli restituiscono la freschezza di una grande pescheria, la forza di un selezionato equipaggio, l'eleganza di una storica compagnia navale.
...
Ma questa mostra ci parla anche dell'oggi, invitandoci a prendere una lenza, un remo o una scotta in mano, per riscoprire i piaceri della pesca, della navigazione e, perché no, della cucina. Questi pesci e queste barche rivelano il fascino di pescherie e squeri, le branchie di tutte le città costiere che vogliono mantenere vivo il rapporto con l'acqua, dolce, salmastra o salata che sia.
...
Il mare, come tutte le passioni, richiede tempo, pazienza e, qualche volta, fatica. Luigi Divari lo sà perché naviga e pesca da una vita e i suoi acquarelli, i suoi libri, i suoi racconti lo testimoniano. Ha mani abili e capaci di tenere in mano il pennello e la penna, come la lenza e il remo.



venerdì 9 novembre 2012

Il nostro mare quotidiano


Oggi ho ascoltato Franco Arminio, poeta e scrittore, tra i più stimati e illuminanti del momento.
Un incontro insieme malinconico, divertente e interessante, com'è la vita ci ha ricordato Arminio, soprattutto se vissuta nei paesi.
Anch'io come lui credo che oggi il racconto dei luoghi possa nascere solo se affetti "dall'infiammazione delle residenza". Per cercare di ritrovare la pace lui si sposta da un paese all'altro. Io, a seconda delle stagioni, cammino lungo le rive o nuoto, remo e veleggio nelle acque che bagnano i nostri paesi. Entrambi amiamo respirare l'aria feriale, quella quotidiana.

Di seguito pubblico l'articolo che ho dedicato al suo prezioso lavoro di paesologo, pubblicato nei giorni scorsi sul Corriere Romagna. Per l'occasione ho scelto un titolo che declina quello del suo ultimo libro al nostro mare quotidiano.

Acquasangue

Grazie alla prometeica sensibilità del Teatro Valdoca, è arrivato finalmente anche in Romagna Franco Arminio. Il paesologo, come preferisce definirsi, ha portato nel pascoliano dolce paese (che fu) le sue idee, la sua voce, la sua curiosità errante.
Ma chi è Franco Arminio? e, soprattutto, cos'è la paesologia?
Chi è Franco Arminio? e, soprattutto, cos'è la paesologia?
Rispondendo alla seconda domanda, inevitabilmente si chiarisce anche la figura del padre di questa “scienza arresa”, un felice, necessario, intreccio tra etnologia e poesia. Un'arte narrativa e interpretativa acuta, originale, a volte dolorosa, sempre pungente. Attenzione, la paesologia non ha niente a che fare, anzi è antitetica, con la paesanologia, cioè con la diffusa, pericolosa e controproducente smania di elevare il proprio campanile, di imbellettare i luoghi artificiosamente e, nella migliore delle ipotesi, di ammantarli di finto antico. La paesologia è una “scienza a tempo”, quella di questo tempo incerto, in cui una “modernità incivile” ha spazzato via troppo velocemente una civiltà contadina che aveva plasmato nei secoli i paesi. Non che il passato fosse idilliaco, anzi, ma almeno le pietre e i volti erano conosciuti, la terra e la carne meno straziata. Il problema, secondo Arminio, non è tanto che i paesi si stiano spopolando, ma che la città, nell'accezione peggiore, li abbia raggiunti, guastandoli.
Il suo non è un grido nostalgico ma un canto malinconico che da trent'anni si alza dalle macerie di un Sud dilaniato da terremoti, anche umani, forse i più devastanti.
Franco Arminio partendo e tornando ostinatamente alla sua Bisaccia, dove è nato e vive, ha esplorato e continua a farlo, per cerchi concentrici l'Irpinia, la Campania, il Mezzogiorno, l'Italia. A riguardo il paesologo non tradisce una delle poche regole della sua disciplina: andare nei paesi per tornare in fretta al proprio.
Il suo orizzonte geografico negli anni si è allargato, mentre immutata è rimasta la ricerca dei paesi, quelli che alzano la “bandiera bianca”, quelli sconfitti dalla modernità, quelli insignificanti per i tour operator. L'Italia che ama è quella “disunita”, una paese spaiato “che somiglia a un calzino rotto appeso a un ramo in un giorno di vento”. Una dichiarazione d'amore anche per il vento che, insieme alla neve, è il tratto meteorologico che più appassiona Arminio. Forse perché se la neve regala ai paesi un rigore, “uno stile che i luoghi caldi hanno perduto”, il vento riesce ancora a scompigliare, movimentare, vitalizzare, anche luoghi anonimi. Franco Arminio è un anemofilo, un innamorato del vento, per cui l'erranza meditativa è l'unica possibile forma di viaggio. Rivelazione esteriore e interiore, sguardo attento, paziente, qualche volta arrabbiato, spesso spaesato. Quello di un uomo che ha dismesso “l'arroganza di chi pensa di essere il padrone della Terra”, che si sente “come un cane bastonato”.
Può questo metodo essere sperimentato in Romagna? e se sì dove?
Di certo nei cento paesi appenninici, ancora fortunatamente lontani dal circo turistico “sanmarinesizzante”, ma crediamo anche nei paesi costieri “riminesizzati”. Se immaginiamo che Arminio e i suoi allievi si muoveranno tra ruderi e calanchi, vagando per quell'Appennino che è la colonna dorsale italiana “che sta perdendo poco a poco la sua linfa”, speriamo, anzi ci permettiamo di invitare i paesologi ad esplorare e descrivere i guasti di una bulimia edilizia che ha riminesizzato le coste. E questo non è solo un problema urbanistico, ma è una forma di “autismo corale”, di straniamento individuale riguardante i tanti che non abitano ma risiedono a Misano Adriatico, Miramare, Bellariva, Marebello, Rivazzurra, San Giuliano, Rivabella, Viserba, Viserbella, Torre Pedrera, Igea Marina, Bellaria, San Mauro Mare, Gatteo Mare, Valverde, Pinarella, Milano Marittima, Lido di Savio, Lido di Classe, e gli altri Lidi ravennati e ferraresi; insomma tutti quei paesi che compongono l'iper-paese costiero romagnolo. Un iper che restituisce i caratteri dimensionali e commerciali di una infinita riva urbana che neanche la più geniale archistar riuscirebbe a risanare, che nessun progetto di arredo urbano saprebbe riqualificare. Per abitare, nell'accezione piena e piacevole, la riva urbana è necessario innanzitutto uno sforzo emotivo, un lungo e faticoso percorso di autoanalisi, prima psicologica e poi urbanistica, in cui la paesologia può aiutare. Una paesologia correttamente declinata a questi luoghi che, oltre al cielo, hanno il mare, un'enorme “foresta blu” che continua a regalare qualità al vivere, malgrado tutto.

Franco Arminio, 2012. Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia. Mondadori, Milano; pp 360 € 18.

martedì 6 novembre 2012

Biblioteca del mare e di costa



"Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


John Mack, che per trent'anni è stato direttore del Museo dell'Uomo al British Museum, propone in “Storia del mare” (Odoya, Bologna; pp 304, € 18), pubblicato nel 2011 e appena tradotto da Odoya, casa editrice indipendente con sede a Bologna, un documentato compendio su un ambiente che non è mai stato amico dell'uomo, ma al più complice della sua irrequietezza, riprendendo le parole di Joseph Conrad, il più grande scrittore-marinaio del Novecento.
John Mack ha avviato la sua ricerca partendo da due domande, una riguardante il Madagascar e l'altra l'Anglia. Due luoghi agli antipodi che hanno obbligato l'autore a navigare in tutti i mari e gli oceani, alla ricerca di similitudini e differenze. Perciò il primo capitolo s'intitola “Mari diversi?”, a cui ne seguono due dedicati a concezione, navigazione a arti nautiche. Il libro, ben illustrato in un sobrio e suggestivo bianco e nero, prende poi in esame la spiaggia “un luogo ambiguo, uno spazio intermedio ... né completamente terrestre né tuttavia marittimo, dotato di un effetto metaforico”. In conclusione Mack si sofferma sul vocabolario del mare e sull'immaginario che l'uomo ha cercato di trasferire a terra, costruendo anche edifici e chiese a forma di nave. Parola quest'ultima che in inglese significa proprio navata e, scopriamo sul vocabolario, mozzo. Nave, neiv, un'unica parola che riconosce implicitamente la grandezza dell'ultimo di bordo. Un'appendice dedicata alla letteratura italiana del mare integra e completa questo racconto delle “genti d'acqua salata”, anche le più umili, quelle che hanno navigato e continuano a navigare in Mediterraneo.

Questa breve recensione è stata pubblicata, insieme a un più ampio articolo dedicato ai musei del mare della Romagna, sul Corriere Romagna del 5 novembre 2012 e può essere letto anche online

venerdì 19 ottobre 2012

Anemofilia




eVento. Il vento e la città

reading sonoro di Fabio Fiori e Marco Fagotti
giovedì 25 ottobre ore 19,00 (ingresso gratuito)
Magazzini del Sale di Cervia (RA)



Anticipo una parte del racconto

Il vento, il più invisibile degli eventi naturali, e la città, la più visibile delle opere dell'uomo. Due elementi in rapporto sinergico o conflittuale a seconda delle circostanze, perfetta metafora dell'affascinate e inestricabile intreccio tra natura e cultura. Il vento come principio vitale di tutte le cose, fecondatore, nel mito pelasgico della creazione del mondo. La città come principio ideale della storia italiana, per Carlo Cattaneo, e più in generale di quella umana, secondo autorevoli interpretazioni archeologiche, urbanistiche e geografiche.
...
Il vento è per alcuni un accidente meteorologico, per altri un piacere. Per tutti, magari inconsciamente, elemento imprescindibile del paesaggio, al contempo invisibile e potentissimo. Il vento piega gli alberi e le antenne, muove le onde e le nuvole, ribalta le cose e le consuetudini, animando la città. Il vento è l'anemos della città.
Ognuna ha un vento d'elezione: Trieste è scossa dalla Bora, Palermo dallo Scirocco, Genova dalla Tramontana, Roma dal Ponente, Rimini dal Levante. Il Libeccio piega i pini e le storie delle città tirreniche. Cambiando nome e carattere, ma non provenienza, il Garbino scuote le tamerici e le menti delle città adriatiche. A Trieste la Bora, “scricchia e turbina la città” quando disfrena la sua  “rauca anima”, scrive Scipio Slataper. In Sicilia “prima che lo si avverta nell’aria, lo scirocco si è già avvitato alle tempie, alle ginocchia”, ricorda Leonardo Sciascia. “Genova di tramontana”, canta Giorgio Caproni nella sua litania per la Dominante. Il Ponentino, quello “piu' malandrino che c'hai”, è l'unico, eterno re di Roma. Eugenio Montale descrive le coste liguri dove il “Libeccio sferza da anni le vecchie mura”, mentre sulle opposte sponde Raffaello Baldini da voce a uno dei suoi deliranti personaggi in un sincopato romagnolo:  “Lè garbéin, a l so, a l sint, t vu cha nesinta?”, “E' garbino, lo sò, lo sento, vuoi che non lo senta?”. Dal Maistrale della sua Sardegna natia al Furien della sua Romagna adottiva, Grazia Deledda ha sempre scelto luoghi ventosi, e raccontato storie di paesi del vento.
Personalmente, ogni volta che cammino lungo una strada o arrivo in una piazza non guardo i palazzi, ma sento il vento. Sento sì; perché il vento come sanno i marinai è innanzitutto una sensazione tattile, uditiva, olfattiva. Il vento prima di vederlo con gli occhi, lo sentiamo con la pelle, le orecchie, il naso. Il vento è schiaffo o carezza, frastuono o melodia, puzza o profumo; sempre foriero di cambiamento, movimento, evoluzione. Rinnova arie ferme, stantie e uggiose, rende più luminoso il cielo o più fredda la pioggia, comunque sferza. Per inciso io sono un anemofilo, ho bisogno del vento, mi dà vitalità e sicurezza, mi restituisce serenità e buon umore.
Il vento riattiva sensibilità ancestrali, muove le nuvole e i pensieri, agita le acque e il sangue. Senza il vento non solo le merci ma uomini e culture non si sarebbero mosse da una riva all'altra dei mediterranei prima e degli oceani dopo. La storia è stata per millenni spinta dalla vela, che del vento è la macchina perfetta, fin dalla notte dei tempi e, forse, tornerà ad esserlo.
Alternando allo stesso modo dolcezza e violenza, il vento spazza le acque e le terre.
...
Il vento ci libera dall'aria inquinata e dall'aria condizionata, due facce della stessa medaglia, dello stesso vivere in libertà condizionata. Nelle piazze delle città e nella testa degli uomini, vanno costruite meridiane per conoscere il sole, sui tetti delle case e sui pensieri delle persone, vanno montati segnaventi per capire il vento.
...

Il reading avverrà in occasione dell'inaugurazione della mostra Milano Marittima 100. Le architetture e la città, allestita sempre presso i Magazzini del Sale di Cervia (RA), a cura di Valentina Orioli con Emanuele Dari, e rimarrà aperta fino all'11 novembre, tutti i giorni dalle 9,30 alle 12,30 e dalle 15 alle 18.

venerdì 5 ottobre 2012

Insulomania


SAN PIETRO (Arcipelago del Sulcis)

“Il Mediterraneo è un immenso archivio e un profondo sepolcro”, ci ricorda Predrag Matvejevic, Omero balcanico di maestosa cultura. In quest'immenso archivio possiamo cercare non solo le storie di arcipelaghi geografici, ma ancor più suggestive tracce di arcipelaghi linguistici. E' il caso dell'arcipelago Tabarchino che riunisce, attraverso la lingua e la storia di una comunità genovese, le isole di Sant'Antioco e San Pietro in Sardegna, l'isla de Nueva Tabarca vicino Alicante in Spagna e l'isololotto di Tabarka, prospicente l'omonima città in Tunisia. Quattro isole geograficamente lontane, accomunate dalla lingua tabarchina e legate alle visissitudini di una comunità di pescatori originaria di Pegli, che nei secoli fece vela in massa tra le varie isole, a seconda dei venti del tempo. Il primo spostamento dalle coste liguri a quelle magrebine avvenne nel 1540, a seguito di un accordo tra la famiglia nobile dei Lomellini e il bey di Tunisi. Lì i pescatori di Pegli sfruttarono i vicini e profiqui banchi di corallo fino al 1738, quando un nutrito gruppo si trasferì nell'arcipelago del Sulcis. Qualche anno dopo la piccolissima isola, poco più di uno scoglio vicino alla terraferma, venne invasa dai saraceni e gli abitanti uccisi o fatti schiavi.

...

L'articolo completo è pubblicato sul numero di ottobre 2012 di BOLINA

mercoledì 26 settembre 2012

Biblioteca di mare e di costa


"Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad



“C'è un rapporto molto particolare fra gli uomini e i cetacei. L'essere umano prova infatti verso delfini e balene una vasta gamma di sentimenti”, spesso antitetici. Da questa prima considerazione prende le mosse il nuovo lavoro di Marco Affronte, “Jack il delfino e altre storie di mare”, appena pubblicato (De Vecchi-Giunti, Firenze; pp 256, € 11,90).
Senza remore, e mai parola sembra essere più calzante, diciamo subito che una certa distanza di vedute ci separa dall'autore. Diverso è il modo di guardare a questi animali, come, più in generale, differente è la concezione del rapporto uomo-natura e soprattutto in passato differente era il giudizio sui delfinari, da qualche anno al centro di un acceso dibattito, popolare e scientifico. Diciamo subito quindi che ci sembra eccessiva l'enfasi posta sui pericoli connessi con “lo strano, esagerato, inusuale rapporto fra esseri umani e cetacei”. Un rapporto che, volenti o nolenti, riflette la continua evoluzione culturale dell'uomo, nello specifico nelle sue relazioni con il mondo animale. Leggendo il libro infatti non si può non pensare al plurimillenario legame tra uomini e animali: da lavoro, da macello, da guardia, da compagnia. Quanto difficili o contraddittori, feroci o amorevoli, saranno state e sono ancora le relazioni con cavalli, asini, buoi, mucche, maiali, galline, cani, gatti, canarini e mille altre specie, per altro diverse nelle varie parti del mondo? Ed è forse questa mancata riflessione di contesto un limite di questo libro.
Ciò non toglie che indubbiamente la ricerca portata avanti da Affronte in questi anni permette di riflettere su alcune evidenti storture nelle relazioni tra uomini e cetacei. Undici storie, da quella vicina nel tempo e nello spazio di Andrea, il tursiope che giocava con bagnati e sub di fronte a Rimini nelle estati del 2008 e 2009,  fino ad altre ben più lontane in tutti i sensi. Come la leggenda di Pelorus Jack un grampo che diede spettacolo per diversi anni, agli inizi del Novecento, nelle acque neozelandesi o l'odissea di Free Willy, un'orca che dopo essere stata una star cinematografica venne  portata da una parte all'altra del Globo, con un enorme dispendio di mezzi e denari. Le incredibili vicende di quest'orca “da storia della nascita di un simbolo diventa cronaca di un delirio”, che vede l'uomo all'opera prima nell'addestramento del grande cetaceo, poi nel de-addestramento per un idealizzato suo ritorno alla natura.
Sempre adriatica è la storia di Filippo tursiope che dal 1997 al 2004 è vissuto nel Golfo di Manfredonia. Una vicenda conclusasi tragicamente con la morte del delfino a causa di un ordigno artigianale utilizzato illegalmente, in modo delinquenziale, per la pesca. Ma la storia di Filippo, come quelle recenti di tanti altri cetacei in ogni angolo della Terra, è esemplificativa anche della potenza, spesso mortale, dei media, che trasformano questi animali in veri e propri fenomeni da baraccone, con tutte le conseguenze del caso.
Questo di Affronte è un libro molto anglosassone nell’approccio globale alla problematica ma capace anche di riflettere la smisurata, encomiabile, passione di un naturalista che, pur vivendo tutte le difficoltà che da anni attraversa la ricerca in Italia, continua a lavorare e contestualmente a raccontare al grande pubblico le straordinarie storie dei cetacei.

L'articolo completo è stato pubblicato lunedì 24 settembre sul Corriere Romagna e può essere letto
http://www.corriereromagna.it/aria-di-mare/2012-09-24/uomini-e-delfini-la-storia-infinita

lunedì 3 settembre 2012

Incontri


Lerici Legge il Mare - 2012

I venti del Mediterraneo

Incontro con Fabio Fiori autore di Anemos (Mursia).
Introduce Vasco Bardi, Circolo Velico Erix.
Sabato 8 settembre 2012,
ore 12.00 Piazza Garibaldi
ore 14.30 a bordo della goletta Lady Lauren
Lerici (SP)

Ogni volta che issiamo una vela, entriamo a far parte di un mondo antico. Rinnovando un rituale di comunione con il vento, entriamo nell’ánemos del Mediterraneo.
I venti sono testimoni della storia millenaria di civiltà e culture che hanno attraversato il Mare Nostrum. Nei loro nomi e nella loro origine sono racchiusi racconti e leggende che, da sempre, hanno stimolato la letteratura e le arti. Se la Tramontana, gelido vento del nord, e l'Ostro, torrida aria del sud, sembrano aver cancellato l'originario significato delle parole, i loro fratelli, Levante e Ponente, rivelano inequivocabilmente la loro provenienza. Libeccio e Scirocco raccontano invece storie arabe, mentre Maestrale ricorda la grandezza delle città maestre, Venezia e Roma. Insieme compongono il più venerato fiore del marinaio.
Per i greci il vento era ánemos, parola insieme potente, evocativa, inafferrabile, misteriosa e spirituale.
Come in un diario di bordo, in cui le date hanno lasciato il posto agli otto petali della rosa dei venti, ho appuntato le mie esperienze intrecciatesi con i miti e le storie, di ieri e di oggi. Brezze leggere o raffiche violente mi hanno portato su alcune delle infinite rotte mediterranee, tracciate dai figli di Eolo. O, più semplicemente, è la lunga dichiarazione d’amore di un anemofilo, che ha imparato ad ascoltare, annusare e respirare i venti in diversi luoghi e stagioni, camminando lungo le rive o navigando a vela.

martedì 28 agosto 2012

Incontri


Trieste- MARESTATE 2012

RESPIRO ADRIATICO: un mare intimo e selvaggio




incontro con Fabio Fiori
Venerdì 31 agosto 2012, ore 21
Museo del Mare di Trieste
via Campo Marzio, 5
Riprendendo alcuni temi che mi sono cari, parlerò del nostro mare quotidiano: di Adriatico, del suo respiro,del nostro respiro. Del pneuma, che per i greci era l'indispensabile soffio vitale.

Respiro adriatico, quello del mare, quello di chi vive lungo le rive. Il nostro respiro quotidiano. Nostro e non mio, aggettivo inutile in mare, qualche volta pericoloso. Perché, fin dal primo imbarco su scafi piccoli o grandi, su vele adriatiche o navi oceaniche, si scopre che il rapporto con il mare non è, e non sarà mai, individuale. Quindi anche il più personale dei racconti sul mare si intitolerà sempre “Il nostro mare”. Nostro perché il mare non lo scopriamo mai da soli, non lo vediamo, ascoltiamo, annusiamo, gustiamo, tocchiamo individualmente. Lo sentiamo anche con occhi, orecchie, naso, bocca e mani degli altri, di chi ci ha preceduto. L'esperienza del mare è insieme scoperta e riscoperta, come ci ha insegnato Predrag Matvejević, l'Omero balcanico che come noi ha visto l'Adriatico prima di ogni altro mare. Mare dell'intimità lo ha definito, un'insenatura di quel Mediterraneo che è da sempre mare della vicinanza. Adriatico selvaggio era per Gabriele D'Annunzio e Umberto Saba.
L'Adriatico è di certo un mare difficile, da navigare come ben sanno i marinai dalla notte dei tempi, da apprezzare, almeno lungo la costa occidentale. Questa era un tempo una riva importuosa, pericolosissima con i venti di Bora. Questa è oggi una lunga riva urbana, che sconta le difficoltà di uno sviluppo tumultuoso, di una novecentesca frana di uomini, speranze e sacrifici, ma anche di speculatori, egoismi e sacrifici, altrui. Questo Adriatico è comunque il nostro mare quotidiano e forse proprio perché difficile, ancora più affascinate. E' di certo uno degli splendidi mediterranei che circonda l'Italia, capaci di offrirci ogni giorno i piaceri di una lunga passeggiata in riva, di una nuotata primaverile o estiva, di una remata o di una veleggiata in ogni stagione. Il nostro mare quotidiano è fonte di ricchezza economica da millenni e deve ritornare ad essere opportunità di benessere, da non confondersi con ben-avere. L'Adriatico è un bene comune e solo se pensato, gestito e vissuto come tale può continuare ad arricchire, nell'accezione più ampia, le genti che popolano le rive. Un mare che riassume in sé tutti i problemi del Mediterraneo diceva Fernand Braudel, e tutte le opportunità possiamo tranquillamente aggiungere noi. Occasione di incontro occasionale, nei giorni di una vacanza, o di convivenza duratura, negli anni di una vita. L'adriaticità, l'appartenenza adriatica, oggi più che mai, non è un dato anagrafico, non serve la carta d'identità per certificarla, ma il quotidiano lavoro, la fatica e le gioie che insieme trasformano uno spazio in un luogo.
Solo nella piena consapevolezza della molteplicità adriatica, geografica, storica e culturale, sarà più facile, e forse anche piacevole, vivere e lavorare lungo le rive, insieme urbane, come hanno scelto i padri, e selvagge, come sempre riesce ad esserlo il mare.

mercoledì 22 agosto 2012

Biblioteca di mare e di costa

“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare” Joseph Conrad


Roger Deakin, giornalista e scrittore inglese nato nel 1943 a Watford, non è nuovo a viaggi avventurosi, spesso in luoghi geograficamente vicinissimi ma lontanissimi da un punto di vista esperienziale. Nel 1996 parte da casa nel Suffolk, regione costiera a nordest di Londra, tuffandosi nel fossato che attraversa il suo terreno. Vuole seguire la pioggia, “nel suo errare attraverso la nostra terra per raggiungere il mare”. E poi di lì compie un inusuale periplo della grande isola a nuoto. Sarà l'occasione per accedere a quella parte del nostro mondo che, “come l'oscurità, la nebbia, i boschi e l'alta montagna, conserva ancora una buona parte del suo mistero”. Ma al di là dell'avventura e dei piaceri, con l'autore condividiamo l'idea che il nuoto in ambiente naturale sia oggi una pratica sovversiva che ci permette di “riprendere coscienza di quel che è antico e selvatico ... di uscire dal sentiero battuto e liberarci della versione ufficiale delle cose”. Lui nelle acque inglesi come noi in quelle mediterranee, ogni giorno siamo chiamati a difendere i nostri diritti di liberi nuotatori. Diritti di accesso e di qualità delle acque, diritti civili ed ecologici. Quello di Roger Deakin è anche un viaggio storico e letterario, una riscoperta dei luoghi, delle idee, delle partiche care a Loudon Waiwright III, John Donne, William Cobbett, George Orwell, Georges Borrow, Henry David Thoreau e tanti altri, noti o sconosciuti, accomunati dalla fascinazione per le acque. Nelle sue lunghe nuotate l'autore incontra uomini, piante e animali, abitatori di un eden invisibile nelle frettolose pratiche del quotidiano e negli altrettanto accellerati tempi delle vacanze. Deakin condivide ostinatamente le acque con salmoni, anguille, rane e naiadi, immergendosi ovunque, dove possibile nudo o con una muta, in fiumi, laghi, torrenti, fossati, canali, ruscelli, acquedotti, stagni, pozze e in quel mare che tutto accoglie e circonda, luogo primordiale dove la vita è nata e si rigenera. “Natando virtus” è scritto sulle terme di Ennistone, città fantastica di Iris Murdoch, “Natando virtus” dovremmo scrivere sulle rive delle nostre città d'acqua.
Roger Deakin, 2011. Diario d'acqua. Viaggio a nuoto attraverso la Gran Bretagna. EDT, Torino; pp 394, € 20,00.



venerdì 10 agosto 2012

Incontri


Lunedì 13 agosto, alle ore 8.10 circa, appuntamento radiofonico per parlare del nuovo libro
"Anemos. I venti del Mediterraneo".
RAI Isoradio
"Articolo da viaggio magazine", condotto da Alessandra D'Asaro
Buon ascolto

lunedì 6 agosto 2012

La vela è ...


Prosegue l'appuntamento settimanale con "La vela è ...", nell'inserto di oggi Aria di Mare del Corriere Romagna. Oggi è la volta di "conoscenza".

Conoscenza
La vela è conoscenza, del mondo e di se stessi. “Conosci te stesso”, era scritto all'ingresso del tempio dell'Oracolo di Delfi, nell'antica Grecia. Lo stesso motto ci sussurra ogni giorno la barca, soprattutto quella piccola, soprattutto quando la si porta in solitario. Miglia dopo miglia, giorno dopo giorno, a terra e a mare, conosciamo insieme la barca e noi stessi. I suoi/nostri difetti e pregi, le sue/nostre fragilità e potenzialità. Solo al cospetto del mare il marinaio conosce la barca e al contempo la barca conosce il marinaio. Saranno le onde e i venti a sancirne armonia o conflitto, unione o divorzio.Ogni giorno issando una vela amplieremo i nostri orizzonti. Consapevoli del fatto che, soprattutto oggi, la lunghezza del viaggio non la si misura solo quantitativamente, in termini di chilometri o miglia percorse. Al contrario è spesso molto più emozionante un viaggio a piedi, misurato sulla base della fatica fatta per raggiungere la meta, o una navigazione a vela, valutata considerando le abilità marinaresche per approdare a destinazione. Il viaggio è anche difficoltà, incertezza, inaspettato, scoperta, meraviglia, sofferenza, incanto e mille altre variabili che amplificano le emozioni. Una difficile bolina, un incerto approdo, un'inaspettata brezza, la scoperta di una caletta, la meraviglia di un delfino, la sofferenza di un vento contrario, l'incanto di un alba, daranno al nostro seppur breve viaggio un fascino antico. Bastano due ore passate in mare per scoprire le difficoltà di una corrente o di un frangente, le gioie di una planata o di una manovra. Ognuna di queste situazioni è una prova per la nostra barca e le nostre abilità. È nella quotidiana immersione nella natura e in noi stessi che la rotta si allunga, che l'esperienza diventa significativa, che la conoscenza di sostanzia.

venerdì 3 agosto 2012

Il nostro mare quotidiano

Sarebbe più giusto titolare questo post "Il nostro fiume quotidiano", perché è di un grande fiume che stiamo parlando: il Po.
Come forse qualcuno avrà già letto domenica scorsa sulle pagine di La Repubblica, ho accompagnato, nel tratto centrale, Paolo Rumiz, Alessandro Scillitani e Valentina Scaglia nel loro avventuroso viaggio fluviale. Il diario di quella discesa, anche metaforica attraverso la più importante vena acquea italiana, è pubblicato ogni giorno su La Repubblica. Con grande maestria narrativa Paolo Rumiz racconta settecento (per due) chilometri di
riviera, "la più selvaggia, la più solitaria, la
più libera della Penisola", vista per una volta dall'acqua.
Un reportage che è anche un disperato grido di dolore per un'Italia che "ha abdicato alle sue acque, non le frequenta, non le naviga, non le conosce più, le fa degradare e se le lascia portar via". Dolci, salmastre o salate, le acque sono un bene comune di cui ci dobbiamo riappropriare, innanzitutto frequentandole quotidianamente. Vanno presidiate, riscoprendo antichi piaceri. Camminate e pedalate lungo le rive, nuotate, remate e veleggiate nelle acque che bagnano il nostro Paese. Sarà il miglior modo per rivendicare beni comuni inalienabili.

lunedì 30 luglio 2012

La vela è ...



Prosegue l'appuntamento settimanale con "La vela è ...", nell'inserto Aria di Mare del Corriere Romagna. Oggi è la volta di "sobrietà", parola che racchiude in sé antiche qualità e rivoluzionarie idee.






Sobrietà

La vela è sobrietà, perché a bordo moderazione e misura sono doti che insegna il mare. Soprattutto su una piccola barca, il miglior modo per sperimentare l'immutato fascino di sostantivi oggi desueti, quali sobrietà e frugalità, assieme ad altri spesso ridondanti perché vuoti, quali sostenibilità e serenità. Tutto questo non significa immaginare e dedicarsi a una pratica di sacrifico ascetico, ma svincolarsi dalle catene del quotidiano, almeno per un giorno. Magari per un mese o un anno, per riscoprire l'eterna saggezza epicurea che invita alla rinuncia del superfluo, perché ciò che serve lo si può trovare facilmente, l'inutile è difficile.
Ciò che veramente serve, in questo caso, è una piccola vela, un mare e un vento propizio. Con una certa facilità ancora oggi ci si può imbarcare come semplici marinai. Oppure se si vuole essere completamente liberi e magari solitari, basterà una vecchia, minuscola deriva. Quattro metri di barca, sette metri quadrati di tela, un remo che non guasta mai, è tutto quello che serve per solitarie veleggiate verso infiniti orizzonti o deserte spiagge fortunatamente ancora non raggiungibili via terra. Ricco non è chi ha un super-yacht, con dieci uomini d'equipaggio, con cui lascia l'ormeggio abituale solo d'agosto per raggiungere affollatissime banchine di grido. Ricco è chi, al contrario, può armare sulla spiaggia di fronte casa la sua barchetta tutti i pomeriggi, per andare da solo o in compagnia di un figlio, di un amore o di un amico, a godersi il tramonto nel silenzio del mare. Certi che i colori, gli odori e i rumori dei crepuscoli d'autunno, d'inverno e di primavera sono altrettanto affascinanti di quelli d'estate.
La felicità è farsi portare al largo da un venticello che riesce appena a screziare la superficie del mare, sufficiente a muovere la nostra piccola, sobria, vela verso un grande, magnifico, orizzonte di libertà.

sabato 14 luglio 2012

Insulomania


CAPRI
L'insulomane ha una predilezione particolare per la nesografia, la scienza che si occupa dello studio delle isole, che i greci chiamavano nesos. La nesografia però è scomparsa dai vocabolari.Un piccolo ma emblematico e preoccupante segnale di disattenzione a un patrimonio insulare consumato, spesso cannibalizzato, esclusivamente dal turismo. Nell'Ottocento invece i dizionari precisavano che “Per lo immenso numero delle isole sparse su la superficie delle acque si rende necessario lo studio di questa parte della geografia, il quale ha occupato le menti dei più famosi geologi in indagare la loro origine e formazione”. Le isole italiane storicamente più legate alla Grecia sono quelle campane, sia le isole Circee, settentrionali, che le isole Partenopee, meridionali. Parlando di questa ingolfatura mediterranea, Raffaele La Capria ha scritto: “E' il mare di Odisseo, il mare divino più greco del greco mare. ... Amo le caverne e le grotte che la natura ha scavato in queste rocce”.
Le isole Partenopee a loro volta si dividono in due gruppi, quelle che chiudono il golfo di Napoli a nord, cioè Ischia e Procida, e a sud Capri. Lasciando la parola a un nesografo ottocentesco, Francesco Costantino Marmocchi, scopriamo che “Il sasso di Capri non è prodotto del fuoco, come sono le isolette Partenopee ... è roccia calcarea, cavernosa, spezzata, sconvolta in strani modi pei sollevamenti e le commozioni che soffrì, ma intatta dai vulcani”.
...

L'articolo completo è pubblicato sul numero di luglio/agosto 2012 di BOLINA

lunedì 9 luglio 2012

La vela è ...


Oggi, lunedì 9 luglio 2012, nell'inserto Aria di Mare del Corriere Romagna trovate la seconda puntata di "la Vela è ...”, dedicata a una passione, ecologica e libertaria. Un modo insieme antico e rivoluzionario per navigare con pochi denari e tanto entusiasmo, in armonia con la natura. Su questi temi ho appena pubblicato “Vela libre. Idee e storie per veleggiare in libertà”, nella collana Ecoalfabeto di Stampa Alternativa.


Libertà
La vela è libertà, di viaggio e pensiero. Vela e libertà non possono essere disgiunti, perché: il vento è gratuito, il mare è libero, la vela è ecologica. Mentre il primo potremmo ancora definirlo un concetto primitivo e sul secondo avremo occasione di tornarci, in questa temperie consumista va innanzitutto fornito qualche chiarimento sull'ultimo. La libertà dei mari è stata a lungo messa in discussione, per motivi militari e commerciali, spesso coincidenti. È una storia antica che ha visto protagoniste le grandi potenze marittime del passato, dalla Venezia medievale all'Inghilterra moderna. Se testi e argomentazioni dei giuristi del passato sono lontane per tempi e tematiche da questa nostra riflessione, la contrapposizione tra prospettive libertarie e privatistiche del mare rimane comunque attualissima e riguarda tutti. O almeno quelli che pretendono che il mare sia considerato, tutelato e vissuto come un bene comune. Gratuità e libertà di affaccio, cammino e nuoto. Gratuità e libertà di navigazione e ormeggio. Perché, va ricordato, che le acque e le coste sono demaniali, quindi destinate all'uso di tutti i cittadini. Al contrario da diversi decenni assistiamo ad una indiscriminata privatizzazione delle rive, in virtù di indebite alienazioni o altrettanto discriminatorie concessioni o di recentissimi diritti di superficie. La libertà del mare è un dono che va difeso e, al tempo stesso, goduto tutti i giorni. Le due cose hanno strettissima attinenza con le pratiche del camminare, del nuotare, del navigare. Azioni che hanno oggi anche una valenza politica. Perché camminiamo in riva per manifestare il diritto all'accesso, nuotiamo nelle acque costiere per pretendere qualità ambientale, navighiamo lungocosta o al largo per controllare il buon uso di una risorsa comune. Attività che consentono di vivere appieno il nostro mare quotidiano.

giovedì 5 luglio 2012

Incontri


Venerdì 6 luglio 2012 alle 22:30
al Museo della Marineria di Cesenatico
nell'ambito di una serata dedicata ai documentari sul mare verrà proiettato il cortometraggio “Reti. La pesca in autunno”, di cui ho scritto il soggetto nel 2004, per la regia di Daniele Segre. E' il racconto della giornata di pesca di una barca di Cesenatico, uno spaccato della vita di bordo di Maurizio, Kaled e Diego, pescatori di oggi e insieme testimoni di una tradizione antica.

venerdì 29 giugno 2012

La vela è ...


Lunedì 2 luglio 2012, nell'inserto Aria di Mare del Corriere Romagna s'avvia una mia rubrica settimanale intitolata “La vela è ...”, dedicata a una passione, ecologica e libertaria. Un modo insieme antico e rivoluzionario per navigare con pochi denari e tanto entusiasmo, in armonia con la natura. Su questi temi ho appena pubblicato “Vela libre. Idee e storie per veleggiare in libertà”, nella collana Ecoalfabeto di Stampa Alternativa.


Passione
La vela è passione, un insieme di interesse, predilezione, sentimento, amore e trasporto. Ma è anche passione nel senso di ossessione, preoccupazione, dolore e tormento. Provare per credere, issare per appassionarsi. Una passione che non richiede né di essere dei superuomini, né di essere milionari. Tanto che la vela permette il confronto, anche sportivo, tra uomini e donne, vecchi e bambini. Ma permette anche entusiasmanti esperienze, economicamente poco dispendiose se non addiritura gratuite, volendosi imbarcare come marinai semplici. Per altro il modo migliore per godere appieno della libertà del viaggio. In mare l'abilità vale più della prestanza fisica, la conoscenza è più utile della forza. Addirittura c'è chi fa della vela una pratica terapeutica, chi ancora prende il mare per affrontare una malattia o la vecchiaia, chi sperimenta modi di vivere alternativi. Un'attività sportiva e culturale che meglio di altre si presta per stimolare interessi e curiosità, per creare relazioni e superare difficoltà di diverso tipo. In mare i problemi sono affrontabili attraverso una solidale partecipazione dell'equipaggio. Tutti a bordo, dal comandante al mozzo, devono fare la loro parte, perché la buona riuscita della navigazione dipende da chi traccia la rotta, da chi sta al timone, da chi regola le vele, da chi prepara un caffè caldo. Anche su una piccolissima barca, impegnata in una breve veleggiata lungocosta, ognuno deve avere il suo ruolo ed essere consapevole delle sue responsabilità. Per portare a termine il viaggio ognuno è tenuto ad impegnarsi al massimo, dimostrando volontà e comune passione. Passione per la navigazione, la scoperta, il lavoro, a terra e in mare; per le mille, sempre nuove, emozioni che regalano i venti e le onde. Passione capace di durare una vita, di rendere insonni, di costruire o, non nascondiamolo, selezionare amicizie e amori.

lunedì 18 giugno 2012

Incontri



Presentazione di "Anemos. I venti del Mediterraneo"
Interverrà Vittorio D'Augusta, artista e uomo delle due rive adriatiche.

Mercoledì 20 giugno 2012, ore 18
Libreria Feltrinelli di Rimini
Largo Giulio Cesare 4

venerdì 15 giugno 2012

Incontri

Oggi venerdì 15 giugno, alle ore 14, appuntamento radiofonico per parlare del nuovo libro
"Anemos. I venti del Mediterraneo".
Radio Popolare
Jalla! Jalla!
Buon ascolto

giovedì 14 giugno 2012

Novità


Sono arrivati in questi giorni in libreria i miei due nuovi libri, un'inaspettata concomitanza editoriale, spero foriera di venti favorevoli. Due libri diversi per contenuti e forma, accomunati da quell'idea di gratuità del mare che caratterizza questo progetto.





Scheda "Anemos. I venti del Mediterraneo"


Scheda "Vela libre. Idee e storie per veleggiare in libertà"

sabato 9 giugno 2012

Incontri



HISTORICA EVENT: TUTTO IN UN ATTIMO, TUTTO IN UNA NOTTE!
sabato 16 giugno 2012 ore 19.30
Piazza Matteotti, 5
Sant'Elpidio a Mare (FM)
Scienza e natura
ne parleranno Fabio Fiori e Marco Affronte (naturalista e blogger http://www.storiedimare.net/)



Anticipo l'avvio del mio intervento
Pesci e pescatori
Una storia adriatica

L'antichissima ascendenza di ittico dalla parola greca ichthŷs e la potente forza anagrammatica, che nella simbologia cristiana delle origini lega il vocabolo greco al nome di Iesus Christos Theu Yios Soter, Gesù Cristo figlio di Dio, eleva il lemma ittico a paradigma del lessico peschereccio. Perciò la descrizione dell'aggettivo ittico è molto di più di una semplice questione di zoologia o di economia, di una minuziosa elencazione faunistica o patrimoniale. Lungo e di difficile stesura è ogni elenco di specie ittiche, anche in relazione alla naturale evoluzione tipica di ogni popolamento e in modo particolare di quelli dell'Adriatico, suscettibile di continue variazioni ambientali. E' comunque opportuno ricordare che nelle sue acque vivono pesci e crostacei tipici del settentrione e del meridione, autoctoni e alloctoni. Nel centro-nord si pesca da sempre la saraghina, una saporita varietà di sardina tipica di acque fredde, il rinomato scampo anche in acque non molto profonde, la passera, un gustoso pesce piatto che vive tra la costa e le lagune. Questi spazi vengono poi invasi in estate, e negli ultimi anni per ben più lunghi periodi, dai grandi pelagici mediterranei: tonno rosso, pesce spada, alalunga, alletterato, tombarello, palamita, serra e ricciola. Pesci d'incredibili dimensioni, inusuali per le acque e le reti adriatiche; risorse economiche e gastronomiche, che rinnovano la cucina, ridisegnano le geografie alimentari, evolvono i gusti e le tradizioni culinarie. Quella adriatica è una biodiversità ittica che ha alimentato genti e culture, che è stata ed è oggetto di appetiti gastronomici, culturali e scientifici. Sul versante gastronomico, l'interesse ittico è ancora più antico e tuttora attualissimo; è il portato di un grande risorsa naturale e di una lunga storia culturale. Tralasciando le specie più conosciute e, per il momento, le relative arti piscatorie, bisogna ricordare alcune delle eccellenze alimentari di “lunga durata”. Moleche venete, anguille comacchiesi, sardine istriane e dalmate, omni nud e ulézni romagnole, tartufi marchigiani, bianchetti pugliesi, sono solo un assaggio della variegata e gustosa fauna ittica adriatica. Pesci, crostacei, molluschi, ascidie, che compongono un patrimonio unico e differenziato, una ricchezza con una precisa geografia naturale e culturale, in continua evoluzione.

mercoledì 23 maggio 2012

Il nostro mare quotidiano

“IO E IL MARE”
Il Mediterraneo, come luogo di vita e di confronto, via primaria di comunicazione e di scambio di culture e civiltà tra i popoli, . Il mare con le sue regole determina comportamenti condivisi e di per sé diventa un ambito di condivisione e contaminazione di storie diverse.

GIOVEDI' 24 MAGGIO ore 20,30
Piazza Marsala Ravenna
Interverranno Pietro Caricato, Pasquale De Gregorio, Stefano Raspadori, Fabio Fiori; condurrà Danilo Morini.

L'iniziativa è promossa da OPERA “Le vie dell'acqua”, un appuntamento annuale dedicato al lavoro e alla cultura del lavoro organizzato dalla Cgil di Ravenna con il sostegno della Cgil Emilia Romagna e la Cgil nazionale e con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e del Comune e della Provincia di Ravenna.


Io è un pronome inutile in mare, qualche volta pericoloso. Allora, fin dal primo imbarco su scafi piccoli o grandi, su mosconi romagnoli, piccole vele o navi oceaniche, si copre che il rapporto con il mare non è, e non sarà mai, individuale. Quindi anche il più personale dei racconti sul mare si intitolerà sempre “Noi e il mare”. Noi perché il mare non lo scopriamo mai da soli, non lo vediamo, ascoltiamo, annusiamo, gustiamo, tocchiamo solo con i nostri sensi. Lo sentiamo anche con occhi, orecchie, naso, bocca e mani degli altri, di chi ci ha preceduto. L'eperienza del mare è insieme scoperta e riscoperta, come ci ha insegnato Predrag Matvejević, l'Omero balcanico che come noi ha visto l'Adriatico prima di ogni altro mare. Mare dell'intimità lo ha definito, un'insenatura di quel Mediterraneo che è da sempre mare della vicinanza. Adriatico selvaggio era per Gabriele D'Annunzio e Umberto Saba. L'Adriatico è di certo un mare difficile, da navigare come ben sanno i marinai dalla notte dei tempi, da apprezzare, almeno lungo la costa occidentale. Questa era un tempo una riva importuosa, pericolosissima con i venti da Greco, o Furién come si diceva con parola chiarissima. Questa è oggi una lunga riva urbana, che sconta le difficoltà di uno sviluppo tumultuoso, di una novecentesca frana di uomini, speranze e sacrifci, ma anche di speculatori, egoismi e sacrifici, altrui. Questo Adriatico è comunque il nostro mare quotidiano e forse proprio perché difficile, ancora più affascinate.
...
L'Adriatico è un bene comune e solo se pensato, gestito e vissuto come tale può continuare ad arricchire, nell'accezione più ampia, le genti che popolano le rive. Un mare che riassume in sè tutti i problemi del Mediterraneo diceva Fernand Braudel, e tutte le opportunità possiamo tranquillamente aggiungere noi. Occasione di incontro occasionale, nei giorni di una vacanza, o di convivenza duratura, negli anni di una vita. L'adriaticità, l'appartenenza adriatica, oggi più che mai, non è un dato anagrafico, non serve la carta d'identità per certificarla, ma il quotidiano lavoro, la fatica e le gioie che insieme trasformano uno spazio in un luogo. Solo condividendo un piatto di pesce con i pescatori magrebini a bordo si capisce concretamente cos'è la koiné mediterranea, l'inestricabile, qualche volta difficile, sempre interessantissimo, intreccio di culture che caratterizza da secoli questo mare. E' molto più gustoso un cou-cous fatto con canocchie, mazole e poveracce freschissime, che uno spiedino romagnolo con gamberetti dell'Indiano e calamari del Pacifico. Così come è molto più emozionante il racconto di una notte di pesca in Adriatico, di un ragazzo di Madia, che la cronaca di una motoscafata a Vallugola, di un ragazzo di Rimini. Per apprezzare l'Adriatico è necessario saper cogliere il fascino delle sfumature del grigio e del verde, quelle degli ossidi del rame, dell'alluminio, del ferro e del bronzo. Bisogna saper cogliere l'incanto delle atmosfere sospese della bonaccia o quelle violente della burrasca.
...
Solo nella piena consapevolezza di questa molteplicità sarà più facile, e forse anche piacevole, vivere e lavorare lungo le rive adriatiche, insieme urbane, come hanno scelto i padri, e selvagge, come sempre riesce ad esserlo il mare.


L'articolo completo è oggi, 23 maggio 2012, in edicola sul Corriere Romagna

domenica 20 maggio 2012

Incontri


“IO E IL MARE”
GIOVEDI' 24 MAGGIO h20,30 Piazza Marsala Ravenna


Dialogo tra Cino Ricci e Fabio Fiori. Introduce Danilo Morini. Cino Ricci (già skipper di Azzurra nel 1983 e oggi velista e cronista di fama e di esperienza internazionale, che ha reso “popolare” la vela e la sfida con il vento e il mare) e Fabio Fiori (ricercatore e insegnante, si occupa di paesaggio, ecologia e cultura del mare, collaborando anche con quotidiani e riviste) si incontrano e si confrontano intorno al tema del mare, e nello specifico del Mediterraneo, come luogo di vita e di confronto, via primaria di comunicazione e di scambio di culture e civiltà tra i popoli, . Il mare con le sue regole determina comportamenti condivisi e di per sé diventa un ambito di condivisione e contaminazione di storie diverse.
OPERA “Le vie dell'acqua” è un appuntamento annuale dedicato al lavoro e alla cultura del lavoro organizzato dalla Cgil di Ravenna con il sostegno della Cgil Emilia Romagna e la Cgil nazionale e con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e del Comune e della Provincia di Ravenna.

venerdì 4 maggio 2012

Insulomania


FERDINANDEA
“Visto un fuoco in lontananza in mezzo al mare”. Non può che cominciare da questa indimenticabile nota sul diario di bordo del capitano C.H. Swinburne della marina inglese, la narrazione dell'isola di Graham, poi Ferdinandea. L'insulomane la classifica tra le isole effimere, che durano un sol giorno, geologicamente parlando. Data di emersione e di scomparsa, scopritore e originale posizione geografica non sono certe, come si conviene per un “tremendo programma”, che agitò le acque e le vicende siciliane dell'estate e dell'autunno 1831. Alcune fonti riportano che sorse inaspettatamente dal mare il 7 luglio e scomparve, granello a granello, l'8 dicembre. Una vita brevissima, quella di una farfalla di sabbia nera, sbozzolata dalle profondità cristalline del Canale di Sicilia per pochi mesi. Sufficienti comunque a scatenare una vera e propria battaglia di rivendicazione territoriale da parte di Inghilterra, Francia e Regno delle Due Sicilie. La bandiera inglese venne piantata dal capitano Jenhouse che la battezzò isola di Graham, mentre i vicini abitanti siciliani protestarono con il Re, proponendo il nome di isola di Corrao, dal nome di un loro capitano. In settembre arrivò una spedizione francese, con tanto di geologi e pittori al seguito, che issò il vessillo nazionale ribattezzando la piccola terra, isola Julia. L'interesse internazionale spinse infine Ferdinando II ad inviare una sua corvetta comandata da Giovanni Corrao, che portò lo stendardo dei Borboni e rinominò per la quarta volta l'isola, chiamandola Ferdinandea. Di questo grandioso spettacolo naturale, Sciacca fu la platea più vicina e frequentata, uno degli affacci da cui ancora oggi si ammira una delle più struggenti vedute mediterranee. Ma di che isola si trattava? quanto era estesa e alta? quali caratteristiche geografiche aveva? Immagini pittoriche, diari di bordo e relazioni scientifiche, restituirono informazioni puntuali e, insieme, alimentarono leggende popolari. Innanzitutto l'isola fa parte di un vero e proprio arcipelago sottomarino, mappato da oceanografi e geologi e conosciuto fin dall'antichità per pericolosità e pescosità. I portolani parlano di banchi, sporgenze del fondo sottomarino, che possono diventare infide in caso di burrasca anche per navi di medio tonnellaggio. Luoghi invisibili in superficie se non per occhi attenti al mulinare delle correnti, particolarmente bizzose in quei paraggi. Solo i nomi di questi banchi accendono la fantasia del marinaio: Avventura, il più esteso, Graham, fondamenta dell'omonima isola e poi Terribile, Anfitrite, Galatea, Tetide, Nerita, Pantelleria, Talbot, Scherchi, Silvia, Locusta, Medina, a cui si aggiungono lo scoglio Keit e le secche Hecate e Biddlecombe. ... L'articolo completo è pubblicato sul numero di maggio 2012 di BOLINA

mercoledì 11 aprile 2012

Il nostro mare quotidiano











Anemos o dei venti adriatici

Un racconto di Fabio Fiori
Introduce Marilena Giammarco
Lunedì 16 aprile 2012, ore 17.30
Facoltà di Lingue e Letterature Straniere
Università G.D'Annunzio di Chieti e Pescara
V.le Pindaro ,42 -Pescara

Vento, vjetar per i croati, parola con origine comune in molte lingue indoeuropee. Per tutti i marinai è il respiro del mare, che porta nel cielo le nuvole e sull'acqua le navi. Più tecnicamente il vento è “quella corrente di aria atmosferica, che trapassa da luogo a luogo sopra alcuno dei trentadue rombi dell'orizzonte”. Due righe stracariche di significati meteorologici e insieme storici, di fatti di natura e cultura. Ma prima di inseguire il vento, certo dell'impossibilità non solo di raggiungerlo ma anche di descriverlo in maniera sufficiente, voglio ricordare le parole di Nicolò Tommaseo, che ha respirato a pieni polmoni aria e cultura delle due sponde. Il dalmata nel suo dizionario ci ricorda che “perché il vento sia buono, basta a buon navigante che non sia contrario”. Una verità in apparenza banale, ma che credo meriti di essere ricordata nell'età dei motori, fatta di supponenza innaturale. E di quanto il vento determinasse fortune o disgrazie del marinaio ne è testimone l'augurale “buon vento”, sopravvissuto nel linguaggio comune al definitivo tramonto novecentesco dell'età della vela.
...
Consci di non poterli rinchiudere in un omerico otre, lasciando quindi a Eolo la divina facoltà, i marinai hanno pensato quantomeno di legarli a un fiore molto ricco di petali: la rosa dei venti. Trentadue per la precisione, ognuno dei quali occupa poco più di undici gradi. Otto sono i venti principali, altrettanti quelli secondari, sedici le quarte. Qui di seguito, a differenza che nelle altre pagine, utilizzerò il maiuscolo, che restituisce la prassi dei portolani e l'ossequio dei marinai. I nomi dei venti principali in italiano ci dicono di punti geografici inequivocabili, Levante, Ostro e Ponente, ma raccontano anche di un tempo in cui l'isola di Malta, posta al centro del Mediterraneo, era anche il fulcro del mondo marittimo. Posizionando la rosa dei venti sull'isola maltese si capiscono i riferimenti geografici: il Greco da nordest, lo Scirocco da sudest, il Libeccio da sudovest, il Maestrale da Roma città maestra a nordovest, e la Tramontana dai monti a nord. Lascio a ben più dettagliate rappresentazioni i nomi e il fascino dei comprimari, che però va ricordato in alcuni luoghi superano per forza e fama gli attori principali. Basti pensare alla Bora da nord-nordest, regina indiscussa dell'Adriatico che scende dalle alte montagne che lo chiudono da Trieste a Dulcigno. Della Bora, la scura e la chiara, da secoli parlano non solo i marinai, ma anche portolani e isolari, giornali e libri; un profluvio di parole che testimonia la sua forza, insieme bella e terribile. O ancora del Garbino da sud-sudovest, insieme torrido e pazzo, un vento rafficato lungo la costa occidentale, umorale anche nei ben noti effetti sul carattere degli uomini.
...
Di debole forza è la brezza, che increspa appena la superficie del mare, ma è sufficiente a muovere un veliero. E oggi, forse come un tempo, proprio con le brezze tese l'andare a vela è piacevolissimo, un insuperabile stato di armonia con gli elementi marini. In queste condizioni il vento riempie le vele e se di bolina sbanda appena la barca, che nella quiete del mare s'abbrivia e incomincia a percorrere miglia. Lungo le coste adriatiche le brezze sono un fenomeno più frequente nei mesi primaverili ed estivi, quando con tempo buono le differenze termiche tra la terra e il mare innescano appunto questi venti leggeri. A occidente sono di terra nelle notti stellate, di mare dei giorni assolati; meno regolari per intensità e direzione lungo la frastagliata costa orientale.
Come spesso accade al marinaio, mi accorgo anch'io che il vento, più di ogni altro lemma, è capace di portarmi lontano, allungando oltre misura questa che voleva essere una breve rotta.

“Vento o del fascino di un'energia invisibile” è un lemma di “Abbecedario Adriatico. Natura e cultura delle due sponde” (Diabasis, 2008)

martedì 3 aprile 2012

Biblioteca di mare e di costa



“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


Il viaggio è necessità, scoperta, piacere, curiosità, è un mettersi sulla via, terrestre o acquea da millenni, aerea da un secolo a questa parte. “Noi siamo i nostri cammini, non i nostri luoghi”, insegna E.J. Leed. Noi viaggiando lasciamo tracce non solo sulla Terra, ma anche in noi stessi. Il nostro immaginario è in continuo movimento, le nostre stesse radici sono mobili, con buona pace di ogni furore identitario. Paradossalmente solo viaggiando si riscoprono le proprie origini, solo negli occhi degli altri scopriamo noi stessi. Non a caso, che piaccia o meno, il discorso identitario si è rianimato nell'ultimo ventennio, quello della globalizzazione. Viaggio e identità sono le parole che forse, insieme a merci e denaro, possono meglio riassumere le pulsioni di questi ultimi anni. Soffermandoci sulle prime due, le cronache ci parlano quotidianamente di due soli tipi di viaggio, quelli dei migranti e quelli dei turisti, e di due soli tipi di identità, quella extra-comunitaria e quella comunitaria. Rigide dualità di impianto terragno, mentre il mare, e nello specifico l'Adriatico, insegnano a guardare e magari apprezzare la molteplicità, dei viaggi e delle identità.
Ai viaggi adriatici, e di conseguenza implicitamente alle identità, è dedicato l'ultimo libro di Marilena Giammarco, Il «verbo del mare». L'Adriatico nella letteratura II. Scrittori e viaggiatori (Palomar, Bari; pp 382, € 35). Un lavoro che preosegue e completa quello avviato qualche anno fa, dedicato ai miti, alle geografie, ai topoi marinareschi del periglioso Adriatico.
In questo secondo volume l'attenzione si rivolge ai nuovi viaggi adriatici, quelli che descrivono o ri-creano le coste, le acque, le genti, le storie e, non ultimo, l'immaginario di questo mare. Nuovi, perché si fanno partire idealmente dal XVIII secolo e, più precisamente, da quello di Alberto Fortis, uno dei fondatori moderni della geografia, il cui Viaggio in Dalmazia, pubblicato a Venezia nel 1774 divenne un bestseller europeo, tradotto in tedesco, francese e inglese.
Contemporanee e di altrettanto grande valore sono le Lettere campestri dell'abate riminese Aurelio de' Giorgi Bertola, interessantissime “per attestare la visione settecentesca del nostro mare”, riprendendo le parole della curatrice. Bertola nei suoi scritti, prima di Giacomo Leopardi, restituisce una “percezone estetico-simbolica di un'identità adriatica proiettata ... verso l'infinito”. Importantissimo, sempre per ricostruire la visione settecentesca dell'Adriatico, è il lavoro di un altro riminese illustre Giovanni Bianchi, meglio noto come Janus Planco. Medico, filosofo, malacologo, attivissimo promotore culturale che rilancerà anche la gloriosa Accademia dei Lincei. C'è poi l'Adriatico dei romantici e quello poetico di Giacomo Leopardi, Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli e Marino Moretti. Quest'ultimo particolarmente attento al mare anche nella sua opera in prosa, a cominciare dai romanzi L'Andreana e La vedova Fiorvanti, entrambi ambientati a Cesenatico. Al viaggio adriatico dedica pagine importanti Gabriele D'Annunzio. Nel 1887 pubblicò una prosa intitolata I Progetti, in cui tracciava la rotta del suo cutter “Don Juan”, dal famigliare porto di Ortona a Venezia e di lì a Trieste, Zara, Sebenico, Ragusa e Cattaro, “golfo sovrammirabile, dove l'aria è così soave che quasi pare opera d'un'incantagione e dove le acque hanno la purezza dei diamanti più puri!”. Ma il romanzo adriatico di D'Annunzio per eccellenza è Trionfo della Morte, dove lo sfondo naturale e ideale è un mare che “avendo perduto ogni materialità e ogni moto, si confondeva con i vapori vaghi delle lontananze: pallidissimo, senza respiro”. Il viaggio non si interrompe certo nell'ultimo secolo, anzi ricchissima è la produzione letteraria degli “Scrittori adriatici tra secondo e terzo millennio”, riprendendo il titolo di uno degli ultimi paragrafi del libro. Letterati in cammino, come gli abruzzesi, di frontiera, come triestini e giuliani, d'oltremare, come slavi e albanesi. Per finire Giammarco propone i “nuovi orizzonti adriatici”, di cui Giacomo Scotti può essere ritenuto un illuminato pioniere, capace di costruire ponti tra le due sponde o tra isole della stessa riva. Altrettanto importante è stato il lavoro di Sergio Anselmi, economista marchigiano capace anche di scrivere appassionanti storie minime di grande impatto emotivo, e di Raffaele Nigro, giornalista e scrittore per cui la scoperta dell'Adriatico sarà “destinata a incidere profondamente” la sua opera.
Marilena Giammarco, associando puntiglio filologico e concreta passione, costruisce un'intensa narrazione dell'Adriatico, riuscendo a comporre un luminoso mosaico fatto di tessere multicolori. Magari lontane, per tempi e modi, ma che opportunamente assemblate restituiscono un'unica immagine di questo profondo golfo mediterraneo.
“In fondo all'Adriatico selvaggio / si apriva il porto della mia infanzia. Navi / verso lontano partivano ... / Era un piccolo porto, era una porta / aperta ai sogni”, canta Umberto Saba1, una porta acquea che ogni giorno ognuno di noi può attraversare mettendo la prua verso il largo, cercando quella libertà che solo il mare può regalare.

venerdì 23 marzo 2012

Il nostro mare quotidiano



Da anni Salvatore Settis si batte strenuamente per la difesa del paesaggio. Una battaglia in cui la dimensione culturale si intreccia con quella civile; una battaglia durissima, ad armi impari, perché spesso lui, come tanti altri, oppongono la penna alla benna. In Italia e in tanti altri paesi mediterranei, una visione estetica di lungo respiro non sembra capace di sostituirsi a una visione economica di breve durata. Qualche giorno fa Salvatore Settis sulle pagine di La Repubblica ha spiegato molto bene che la difesa del paesaggio non è più, o non è solo, una questione estetica ma, prima di tutto, etica. E' arrivato il tempo in cui dobbiamo “partire da una definizione operativa di paesaggio, passando dal paesaggio "estetico" (da guardare) al paesaggio "etico" (da vivere)”. Un paesaggio, terrestre e marino, da vivere quotidianamente, da fruire piacevolmente. Penso che il nostro sguardo e il nostro impegno dovrebbe innanzitutto concentrarsi sulle distorsioni e disfunzioni ambientali dei paesaggi urbani e, occupandoci di coste, delle rive urbane, quelle che perimetrano la maggior parte della Penisola. Credo sia inutile fantasticare pinete, dune e lagune, là dove oggi troviamo strade, parcheggi e costruito. Dobbiamo invece batterci perché anche questi ultimi possono e devono essere riqualificati, partendo da un imprescindibile valore di libertà. Libertà di accesso al mare, libertà di movimento lungo le rive e le acque. Acque limpide dove immergersi, remare o veleggiare, per riscoprire gli infiniti e gratuiti piaceri del mare, dall'Adriatico allo Ionio, dal Ligure al Tirreno. Difendere oggi il mare, come ogni altro paesaggio, è un dovere etico, un dovere individuale e collettivo, necessario per ritrovare un piacere da condividere. Andiamo in riva al mare a leggere ad alta voce l'appello per un paesaggio etico di Salvatore Settis.