Corsica settentrionale
Di velisti ne esistono di diversi tipi; c'è il regatante, il crocierista e tanti altri, ognuno con le sue qualità e inevitabilmente i suoi tic. Ma cosa distingue un velabondo dagli altri? Le dimensioni della barca o il tempo a disposizione o il rapporto con gli elementi naturali? Probabilmente un mix di tutti questi elementi che, per semplicità, possiamo riassumere così: il velabondo è un eco-minimalista. Quindi, andando a vela e non disdegnando il remo, ha come primo canone l'accettazione delle condizioni imposte dal vento e dal mare. Non c'è quindi una precisa rotta, cadenzata da prestabilite tappe giornaliere, a prescindere dai voleri di Eolo e Nettuno. Il velabondo parte con una vaga ipotesi di viaggio, mutevole di ora in ora, di giorno in giorno, così come lo sono le arie e le correnti. Questo non significa praticare un ostinato primitivismo, dove a bordo non trovano posto telefono, tablet o gps, oppure dove il motore è assolutamente bandito, ma rifiuta di cadenzare il viaggio per soste su marina, magari prenotati in anticipo, trasformando un periodo di sognato vagabondaggio a vela in un frenetico, ansiogeno trasferimento a motore.
Di velisti ne esistono di diversi tipi; c'è il regatante, il crocierista e tanti altri, ognuno con le sue qualità e inevitabilmente i suoi tic. Ma cosa distingue un velabondo dagli altri? Le dimensioni della barca o il tempo a disposizione o il rapporto con gli elementi naturali? Probabilmente un mix di tutti questi elementi che, per semplicità, possiamo riassumere così: il velabondo è un eco-minimalista. Quindi, andando a vela e non disdegnando il remo, ha come primo canone l'accettazione delle condizioni imposte dal vento e dal mare. Non c'è quindi una precisa rotta, cadenzata da prestabilite tappe giornaliere, a prescindere dai voleri di Eolo e Nettuno. Il velabondo parte con una vaga ipotesi di viaggio, mutevole di ora in ora, di giorno in giorno, così come lo sono le arie e le correnti. Questo non significa praticare un ostinato primitivismo, dove a bordo non trovano posto telefono, tablet o gps, oppure dove il motore è assolutamente bandito, ma rifiuta di cadenzare il viaggio per soste su marina, magari prenotati in anticipo, trasformando un periodo di sognato vagabondaggio a vela in un frenetico, ansiogeno trasferimento a motore.
Quindi se deriva e tenda vi sembrano un modus navigandi troppo stoico, allora provate a imbarcarvi su un piccolo cabinato, sicuramente più epicureo. Noi lo abbiamo fatto d'estate, in tre, con un Dufour T6, piccolo ma solido e versatile, come per altro abbiamo avuto modo di verificare anche in questo periplo della Corsica settentrionale. A prua, oltre all'autovirante, avevamo un genoa per arie leggere e uno spinnaker; un fuoribordo, quattro tempi, da 5 cavalli per le manovre portuali e le prolungate bonacce. Siamo partiti da Bastia, il porto d'arrivo dei traghetti dall'Italia e capoluogo dell'Haute-Corse o Corsica Suprana, nella lingua corsa. Il bilinguismo è il primo e fortissimo segnale della duplice cultura di quest'isola, da sempre fieramente autonoma dalle sovranità continentali, genovese in passato, francese dalla seconda metà del Settecento. La Calista dei greci, così chiamata secondo Erodoto per la sua bellezza, malgrado gli aspri contrasti con la Francia, ha per paradosso dato i natali al più noto dei suoi generali, fattosi imperatore: Napoleone Bonaparte, nato ad Ajaccio.
Il reportage completo è pubblicato sul numero di novembre 2015 del mensile Bolina.