Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

domenica 24 aprile 2016

Camminare lungo le rive

Il nuovo disco dei Mau Mau, in uscita il 6 maggio, s'intitola "8000 km", una lunghezza che è quella delle rive italiane, quelle rive urbane che sono il nostro più grande bene comune. Rive marine, lacustri e fluviali accomunate dalla magia dell'incontro tra acque, terre ed arie, che ogni giorno si rinnova. Un incanto antico e popolare, un abbaglio seducente e fecondo. Offerto gratuitamente dalle rive dei mari, dei laghi e dei fiumi, come quelle della confluenza del Mincio nel Po, fermate nel controluce della copertina del disco. Senza dimenticare che è proprio sulle rive che, da sempre, uomini e civiltà s'incontrano.

Invito quindi ad ascoltare Mais l'anteprima del disco, per poi incominciare o continuare a camminare lungo le coste della Penisola. Un gesto semplice, piacevole e poetico, ma anche politico. Perché camminando lungo le rive noi ne rivendichiamo la libertà d'accesso e gli infiniti piaceri.

Come ho scritto nell'ultima pagina di Thalassa, "Cammino scalzo lungo le rive del mare, ascoltando la voce delle onde, annusando l'odore del vento, guardando l'orizzonte infinito. Mi fermo a sentire il sapore salato dell'acqua. Qualche volta trovo parole utili ad aggiornare il grande racconto del Mediterraneo".


domenica 17 aprile 2016

Incontri

"Adriatico. Le stagioni del mare"
Giovedì 21 aprile 2016, alle ore 21
Coordinamento Protezione Civile Provincia di Rimini
Rimini, via Ungheria 1

Rispondendo all'invito del Coordinamento Protezione Civile Provincia di Rimini, giovedì prossimo racconterò le stagioni adriatiche, quelle dei venti e quelle  delle acque, quelle dei pesci e quelle degli uomini.
Come tutti i racconti naturali anche quelli marini hanno una cadenza stagionale. Fernand Braudel nel suo grande affresco del Mediterraneo ha scritto: "Le note innumerevoli che ci parlano della qualità e del colore del tempo possono essere classificate senza tener conto del millesimo dell'anno: soltanto i mesi importano ed è sempre, all'incirca, la stessa storia."
Ecco, proprio alcune di queste note mensili ho riportato nel mio "Un mare. Orizzonte adriatico", appunti da cui partirò anche giovedì sera per raccontare le stagioni del mare.

lunedì 11 aprile 2016

Storie di mosconi e pattini

Si parlerà anche di pattini e mosconi, nella sessione dedicata all'etnologia, al III Convegno Nazionale di Archeologia, Storia ed Etnologia Navale, promosso e organizzato dall’Istituto Italiano di Archeologia e Etnologia Navale (ISTIAEN) insieme al Museo della Marineria di Cesenatico, che lo ospiterà il 15 e 16 aprile 2016. Gli oltre 40 interventi sono stati suddivisi in tre temi riguardanti “l'archeologia navale”, “la storia navale, storia della navigazione e arte marinaresca”, “l'etnologia navale”.

Di seguito pubblico la prima parte dell'articolo uscito oggi sul Corriere Romagna.

Cosa offriva, e che cosa potrebbe offrire ancora, il moscone? Un modo semplice ed ecologico per scoprire il mare, anche partendo dalle gremite spiagge romagnole.
Fino agli anni Ottanta del Novecento, il moscone era, e potrebbe essere ancora, la più diffusa barchetta a remi della Romagna e delle spiagge italiane. Perché è economico e facile. Costa poco acquistarlo e mantenerlo, è semplice portarlo e gestirlo. Il moscone permetteva, e potrebbe  permettere ancora, la prima esperienza marinara ai bambini, regalandogli quella “gaiezza” di cui ci parlano non solo i ricordi, ma anche le cartoline degli anni Cinquanta. Sono immagini di spiagge già affollate, non solo da tende o ombrelloni, ma anche da barche a vela e da mosconi. Erano spiagge in cui l'abbronzatura non era la sola passione, ma da cui ci avventurava verso il largo, scoprendo il mare, a nuoto, a remi e a vela. Di barche ce n'erano decine, di mosconi migliaia in pochi chilometri, come dimostra, tra le tante, anche l'immagine scelta per pubblicizzare le “Spiagge di Romagna” nel 1957. Mosconi armati sulla battigia, pronti per prendere il mare alla ricerca di acque più limpide, di atmosfere più silenziose. Ancora nel 1998 c'erano solo a Rimini 56 mosconai che gestivano un centinaio di postazioni, ognuna con decine di mosconi da affittare, allora al modico prezzo di 10.000 lire all'ora, una tariffa probabilmente inferiore a quella chiesta per un'ora di gioco in una campo da tennis. Nel volgere di qualche decennio tutto è cambiato, gli unici testimoni di quest'illustre storia rimangono i rossi mosconi dei salvataggi, ancora insostituibili malgrado ricorrenti bizzarre idee di motorizzazione. I rari, sparuti mosconi di qualche romantico appassionato, sono addirittura fuorilegge, per le discutibili disposizioni dell'ordinanza balneare regionale. Un regolamento che andrebbe quanto meno pubblicamente ridiscusso, almeno nelle norme riguardanti i natanti a remi e a vela, per contrastare la montante desertificazione delle spiagge da ogni attività marinaresca. Senza dimenticare che nelle più moderne località balneari del nord Europa, al contrario, sono state rinnovate e potenziate le basi nautiche, luoghi fondamentali per promuovere la cultura del mare, di cui in questo Paese c'è un grande bisogno. Perché Rimini, alla ricerca di una rinnovata immagine di capitale delle vacanze green, non rilancia modi più raffinati ed ecologici di vivere il mare? Anche a partire proprio dal moscone, la sua storica icona. Attenzione, non musealizzandolo o, ancor peggio, facendone un feticcio da rotonda, ma incentivando il loro ritorno sulla spiaggia, riaccendendo innanzitutto nei bambini quella voglia mai sopita di avventurarsi in mare.
Fiduciosi che anche i mosconi, così come hanno saputo fare le bici in città, riconquisteranno le spiagge, continuiamo a remare e a tenerne viva la memoria attraverso il racconto. Su queste pagine abbiamo già ripercorso la sua storia o per meglio dire alcune sue storie, visto che è giusto parlare al plurale di mosconi, pattini e patinos riprendendo le parole italiane e spagnole che lo hanno nominato al suo apparire alla fine dell'Ottocento. Ma ci era sfuggito il francese podoscaphe ritratto anche da Gastone Coubert addirittura nel 1865, quindi quasi trent'anni prima della prima apparizione della parola pattino, nel vocabolario di Policarpo Petrocchi. E' vero che la barchetta dipinta in “La Femme au podoscaphe”, come il patinos spagnolo, si differenzia dal nostro moscone per il remo a pagaia ma, per uso balneare e forma dello scafo, può essere considerato un suo predecessore. Bisogna attendere il 1916 perché il pittore Moses Levy ne ritragga uno sulla spiaggia di Viareggio, o il 1928 perché un'ospite illustre, Janos Vaszary, ne immortali uno a Rimini. Saranno poi tanti i pittori romagnoli e non che sceglieranno proprio il moscone, nei suoi molteplici usi, balneari, pescherecci o addirittura teatrali, come soggetto delle loro tele, come ci ha insegnato con competenza e passione Sergio Sermasi.

giovedì 7 aprile 2016

Velabondismo


Laguna di Grado e Marano

Se, come scrive Robert Maynard Pirsig, la montagna fisica è l'allegoria di “quella spirituale che si erge tra ogni anima e la sua meta”, allo stesso modo lo è il mare fisico, anche quello quotidiano. A patto che si sia disposti a vivere, almeno per qualche ora o magari per qualche giorno, in naturale armonia con esso. Un'armonia che non ha bisogno necessariamente dei grandi orizzonti oceanici, che si può sperimentare anche nell'esperienza minimalista del velabondaggio, fatta di piccole e grandi avversità. Avversità che invita ad affrontare il maestro de “Lo Zen e dell'arte della manutenzione della motocicletta”, per non fare come la maggior parte degli uomini che “sta a guardare le montagne spirituali per tutta la vita e non ci si avventura mai, accontentandosi di ascoltare quelli che ci sono stati”. Ma, con riferimento a una vela senza motore, di cosa stiamo parlando? Di attenzione ai venti innanzitutto, con cui dobbiamo trovare un equilibrio di rotte e tempi; di fatica ai remi, con cui occasionalmente supplire alle inevitabili bizzarrie di Eolo. Se poi si aggiungono le dolorose meraviglie delle notti sotto le stelle al fianco della barca e altri piccoli inaspettati grattacapi, ecco riassunte le avversità che chiede di affrontare un mare spirituale. Un mare di cui la laguna è il naturale prodromo, fin dalla notte dei tempi. In passato nelle lagune gli antichi si prepararono al mare; oggi nelle lagune i velabondi ritrovano spazi di inimmaginabile libertà.

Così è nella più settentrionale della lagune adriatiche, quella di Grado e Marano. Innanzitutto cerchiamo di dirimere una questione geografica. Si stratta di una o di due lagune limitrofe? Sui libri e sul web vengono tenute separate da bocca e canale di Porto Buso, che stanno circa nel mezzo di un unico spazio acqueo. Nella esperienza del marinaio è però difficile disgiungerle. Davanti alla nostra prua infatti c'è un unico labirinto terracqueo, separato dal mare da un lungo cordone sabbioso di una trentina di chilometri che va da Lignano a Grado, rispettivamente a ovest e a est, interrotto da quattro bocche maggiori segnalate da briccole. L'abitato di Marano è invece a nord di Lignano, sul margine lagunare interno. I geografi estendono l'ambiente lagunare anche alle aree limitrofe, che stanno tra la foce del Tagliamento a ovest e quella dell'Isonzo a est. Aree però inesplorabili, almeno a vela.
In questa veleggiata eravamo in due su una sola deriva a spigolo di quattro metri, varata nello squero comunale di Grado, da poco rinnovato, ampio e molto funzionale. Giorni di solstizio d'estate, quando la luce la fa da padrona.
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Il reportage completo è pubblicato su Bolina di aprile 2016.