eVento. Il vento e la città
giovedì 25 ottobre ore 19,00 (ingresso gratuito)
Magazzini del Sale di Cervia (RA)
Anticipo una parte del racconto
Il vento, il più invisibile degli eventi naturali, e la città, la più visibile delle opere dell'uomo. Due elementi in rapporto sinergico o conflittuale a seconda delle circostanze, perfetta metafora dell'affascinate e inestricabile intreccio tra natura e cultura. Il vento come principio vitale di tutte le cose, fecondatore, nel mito pelasgico della creazione del mondo. La città come principio ideale della storia italiana, per Carlo Cattaneo, e più in generale di quella umana, secondo autorevoli interpretazioni archeologiche, urbanistiche e geografiche.
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Il vento è per alcuni un accidente meteorologico, per altri un piacere. Per tutti, magari inconsciamente, elemento imprescindibile del paesaggio, al contempo invisibile e potentissimo. Il vento piega gli alberi e le antenne, muove le onde e le nuvole, ribalta le cose e le consuetudini, animando la città. Il vento è l'anemos della città.
Ognuna ha un vento d'elezione: Trieste è scossa dalla Bora, Palermo dallo Scirocco, Genova dalla Tramontana, Roma dal Ponente, Rimini dal Levante. Il Libeccio piega i pini e le storie delle città tirreniche. Cambiando nome e carattere, ma non provenienza, il Garbino scuote le tamerici e le menti delle città adriatiche. A Trieste la Bora, “scricchia e turbina la città” quando disfrena la sua “rauca anima”, scrive Scipio Slataper. In Sicilia “prima che lo si avverta nell’aria, lo scirocco si è già avvitato alle tempie, alle ginocchia”, ricorda Leonardo Sciascia. “Genova di tramontana”, canta Giorgio Caproni nella sua litania per la Dominante. Il Ponentino, quello “piu' malandrino che c'hai”, è l'unico, eterno re di Roma. Eugenio Montale descrive le coste liguri dove il “Libeccio sferza da anni le vecchie mura”, mentre sulle opposte sponde Raffaello Baldini da voce a uno dei suoi deliranti personaggi in un sincopato romagnolo: “L’è garbéin, a l so, a l sint, t vu ch’a n’e’ sinta?”, “E' garbino, lo sò, lo sento, vuoi che non lo senta?”. Dal Maistrale della sua Sardegna natia al Furien della sua Romagna adottiva, Grazia Deledda ha sempre scelto luoghi ventosi, e raccontato storie di paesi del vento.
Personalmente, ogni volta che cammino lungo una strada o arrivo in una piazza non guardo i palazzi, ma sento il vento. Sento sì; perché il vento come sanno i marinai è innanzitutto una sensazione tattile, uditiva, olfattiva. Il vento prima di vederlo con gli occhi, lo sentiamo con la pelle, le orecchie, il naso. Il vento è schiaffo o carezza, frastuono o melodia, puzza o profumo; sempre foriero di cambiamento, movimento, evoluzione. Rinnova arie ferme, stantie e uggiose, rende più luminoso il cielo o più fredda la pioggia, comunque sferza. Per inciso io sono un anemofilo, ho bisogno del vento, mi dà vitalità e sicurezza, mi restituisce serenità e buon umore.
Il vento riattiva sensibilità ancestrali, muove le nuvole e i pensieri, agita le acque e il sangue. Senza il vento non solo le merci ma uomini e culture non si sarebbero mosse da una riva all'altra dei mediterranei prima e degli oceani dopo. La storia è stata per millenni spinta dalla vela, che del vento è la macchina perfetta, fin dalla notte dei tempi e, forse, tornerà ad esserlo.
Alternando allo stesso modo dolcezza e violenza, il vento spazza le acque e le terre.
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Il vento ci libera dall'aria inquinata e dall'aria condizionata, due facce della stessa medaglia, dello stesso vivere in libertà condizionata. Nelle piazze delle città e nella testa degli uomini, vanno costruite meridiane per conoscere il sole, sui tetti delle case e sui pensieri delle persone, vanno montati segnaventi per capire il vento.
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Il reading avverrà in occasione dell'inaugurazione della mostra “Milano Marittima 100. Le architetture e la città”, allestita sempre presso i Magazzini del Sale di Cervia (RA), a cura di Valentina Orioli con Emanuele Dari, e rimarrà
aperta fino all'11 novembre, tutti i giorni dalle 9,30 alle 12,30 e dalle 15
alle 18.