Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

lunedì 8 febbraio 2016

La vita, le barche e le idee di Rodolfo Foschi

Per tutti quelli che sognano o hanno sognato di autocostruirsi una barca, Rodolfo Foschi è un punto di riferimento. C’è chi lo ha conosciuto leggendo i suoi articoli, sulla rivista di culto “Bolina”, oppure i suoi libri, tra cui l’ultimo “Buonvento e Granvento. Istruzioni per costruirsi due barche”. C’è chi l’ha incontrato personalmente in uno dei tanti cantieri con cui collabora e chi ne ha semplicemente sentito parlare in banchina. Se solo alcuni, ormai tanti, hanno poi avuto la fortuna di commissionargli personalmente un progetto o di lavorare su uno di quelli standard, che oggi si possono acquistare anche online, tutti però hanno imparato qualcosa da lui. Rofolfo Foschi è un punto di riferimento per ogni marinaio curioso, un architetto all'antica che ama disegnare con la matita sulla carta e, se necessario, sa anche segare un corso di fasciame.
Ma, come in ogni avventura marinaresca che si rispetti, partiamo dal primo porto, quello da cui Foschi ha preso il largo e, come da sempre accade a bordo, ci si dà del tu.
Nella tua biografia si legge "riminese di nascita e fiorentino d'adozione". 
Ebbene sì, nonostante il mio parlare fiorentino, sono nato, nel 1941, in una casa davanti alla stazione ferroviaria di Rimini. Gli antenati dei miei figli avevano a che fare con la terra, vecchie storie di famiglia narravano di cento poderi nella piana di Romagna. In città ho cugini ed un mazzo di nipoti. Quando mio padre smise di trascinare la famiglia in giro per l'Italia (era un funzionario dello Stato) tornò ad invecchiare, su un poggio ad Ospedaletto. I miei figli hanno trascorso le estati della loro infanzia in quella casa, dove si riunivano parenti ed amici per piade, grigliate e sangiovese.
...
Qual'è la differenza tra chi decide di fare da sé e chi invece preferisce acquistare l'oggetto del desiderio?
Se si tratta di far realizzare da un artigiano, quella barca che esiste solo nella nostra mente, introvabile tra la noia degli oggetti industriali, si può fare. Difficilmente si risparmia denaro, ma la scelta è razionale.  Se si pensa all'autocostruzione la faccenda è diversa. Scegliere di mettersi nell'impresa per spender poco è modo certo per popolare cortili di periferia, fienili e capannoni dismessi, con relitti abbandonati all'ortica prima di toccare l'acqua. Naufragi della mente. L'autocostruttore non ha facoltà di scelta. Similmente al primo di cui si abbia memoria, non può fare  altro che ubbidire: “la voce del Signore comandò a Noè di costruire l'Arca”.
In un periodo di difficoltà economiche come questo, credi che l'autocostruzione possa essere un'alternativa all'acquisto di barche nuove o, più in generale, pensi che possa essere un modo per  riscoprire le piccole barche?
L'attuale gigantismo ha a che fare più con la spocchia della ricchezza, che con l'amore per il mare. Tornare a dimensioni ragionevoli è necessario per la sopravvivenza della specie nautica. Tuttavia non sempre l'autocostruttore pensa in piccolo. Ho accompagnato nell'avventura molti dei miei grulli alle prese con barche di quindici, venti metri. Il massimo è una nave di trentadue. Ma questa è un'altra storia.
Come lavora oggi un progettista nautico?
All'alba della nautica esisteva il progettista, ma c'era anche il committente, persona che sapeva andare in mare e nutriva un pensiero su come dovesse essere la sua barca. Tra i due nasceva un rapporto, che talvolta non è improprio definirlo d'amicizia, da cui scaturivano i disegni. Si potrebbe dire che autore del progetto fosse l'armatore e che l'architetto non facesse altro che dare coerenza tecnica alle sue idee. Poi la barca diventò oggetto seriale ed il committente non fu più quello che avrebbe navigato, ma un imprenditore attento ai costi di produzione, e tuttavia con ancora qualche passione per il mare. Era il tempo in cui il pieghevole che pubblicizzava la barca portava scritto il nome del progettista, ma bastava uno sguardo per riconoscerne la mano. Non di rado erano stampate le linee d'acqua e l'armatore possedeva ancora una preparazione sufficiente a leggerle. Capiva cosa stava comprando e l'identità del disegno aveva voce nella scelta. Infine la contemporaneità. Il committente è una Società Anonima il cui fine è massimizzare i profitti, che vengano dal far scafi o dal far mortadelle è indifferente. L'armatore compra la barca con lo stesso animo, e la stessa competenza, con cui compra l'auto. Il progettista non esiste, i disegni sgorgano dal computer, un ragazzo con qualche cognizione di informatica è sufficiente. Se mai affiora un nome, è quello dello stilista che ha ideato degli arredi, fichissimi in porto, pericolosi in navigazione.
Credo di essere l'ultimo relitto culturale che disegna barche congrue all'uso che intende farne una persona reale. Per la verità qualcosa di aggiornato aleggia anche intorno al mio tavolo. Da quando si tagliano pezzi a controllo numerico, mio figlio Andrea, marinaio, ingegnere ed eccellente strutturalista, mi affianca per queste modernità. Formidabile strumento è il computer nelle mani di chi saprebbe progettare anche senza.
Per concludere, come è nata l'idea del Granvento, un cabinato di sei metri e mezzo?
Ad un certo punto del cammino, i figli fatti adulti, hanno messo su la loro vita ed il bel Roan, la mia barca precedente, è rimasto solo. Troppo grande per un vecchio, troppo carico di voci, di volti che non ci sono più. Ora vive altre storie con un amico che lo tiene come vanno tenute le barche. Per qualche anno, appagato dalle navigazioni sull'oceano del mio tavolo, non ho pensato realmente ad una nuova barca, ma il vizio di lasciar correre il lapis dietro alle nuvole non passa: in ogni foglio bianco c'è una meraviglia nascosta che aspetta di essere disegnata. In uno di questi fogli era il Granvento. Poi sono diventato nonno e ho sentito l'urgenza di insegnare il vento ai bambini. Così, con l'aiuto dell'amico Alfredo, ho ritirato fuori la cassetta degli attrezzi e ho ricominciato a tagliare, bucare, cucire e resinare. Oggi anche quell'idea bordeggia, in felice compagnia dei marinai di domani.

L'intervista completa la trovate oggi sul Corriere Romagna.