“Mi chiamavano Gandhi o canocchia” raccontava Federico Fellini, parlando della sua magrezza giovanile. Canochia è anche uno dei personaggi de Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni, un “giovine che vende zucca arrostita” e che immaginiamo non fosse particolarmente in carne. Perché il nomignolo canochia in tutto il Golfo di Venezia è “detto per ingiuria ad uomo, allampato, lanternuto, smunto, secchissimo”, si legge su un vocabolario veneto dell’Ottocento. E lo stesso ci ricorda come questo “piccolo granchio marino a coda lunga articolata”, con chele che ricordano quelle della mantide da cui deriva anche il suo nome scientifico Squilla mantis, è buonissimo e “di molto uso per la poveraglia”, ossia la povera gente. Bisogna precisare che è gustoso soprattutto nei mesi invernali, quando preparandosi alla riproduzione è particolarmente carnoso. Le canocchie sono comuni lungo tutta la riva adriatica, come ricorda anche Artusi, che le chiama cicale, avvertendo il lettore che non si tratta delle “cicale che vivono su per gli alberi … ma di quel crostaceo sempre gustoso a mangiarsi; ma migliore assai quando in certi mesi dell'anno, dalla metà di febbraio all'aprile, è più poluto del solito”. Avverte poi che per mangiarle in umido non deve dispiacervi di “adoperare le unghie, d'insudiciarvi le dita e di bucarvi fors'anche le labbra”.
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