Di seguito trovate proprio un frammento del racconto relativo all'epico abbandono dalla prima regata in solitario intorno al mondo la Golden Globe Race, partita nell'agosto del 1968. Un abbandono che sarà per Moitessier una seconda partenza, per un altro mezzo giro del mondo e per un'esperienza ancora più lunga.
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Il francese, che aveva già una grande esperienza di navigazione
oceanica e godeva di una certa notorietà, anche grazie a due suoi fortunati
libri, aveva deciso di abbandonare il 1 marzo 1969. Aveva già doppiato Capo
Horn, stava risalendo l'Oceano Atlantico ed era in testa alla regata con un
grande vantaggio.
Abbandonò! rinunciando alla vittoria, alla fama e ai premi.
“Ho rimesso la prua verso il Pacifico. La notte scorsa è stata penosa;
mi sentivo male, veramente, all'idea di rientrare in Europa. Ero fiaccato
fisicamente da Capo Horn e la forza d'animo era scesa per la stessa china,
quando avevo deciso di abbandonare.”
… e poi più avanti scrive...
“Il fatto di voler raggiungere Thaiti senza scalo è rischioso. Ma il
rischio sarebbe molto maggiore verso nord. Più mi avvicinerò, peggio starò. Se
non reggo … verso il Pacifico, ci sarà sempre un'isola, da qualche parte” .
Invece ci riuscì e quell'approdo fece scalpore, non solo in Inghilterra
e in Francia, nazioni da sempre particolarmente attente alle vicende marinaresche,
ma anche in Italia.
“A Tahiti dopo 300 giorni di navigazione solitaria” titola il Corriere
della Sera del 23
giugno 1969.
“Il “francese solitario” è arrivato a Thaiti”, si legge negli stessi
giorni su La Stampa.
Di Moitessier i quotidiani si erano già occupati nel marzo precedente,
riportando la notizia del suo abbandono, anche con titoli allarmistici.
“La moglie del navigatore teme
che sia impazzito”, si legge sul Corriere della Sera del 21 marzo 1969.
Un titolo che comunque rispecchia l'inquietudine di Francoise, anche in
relazione al fatto che il marito aveva rinunciato ad imbarcare la radio offerta
gratuitamente dal Sunday Times.
Preferiva lanciare messaggi in tubetti d'alluminio con la sua fedele
fionda , sui ponti delle navi che incontrava.
In quello più noto, comunicava al Sunday Times la sua decisione:
“Continuo senza scalo verso le isole del Pacifico perché in mare sono
felice e forse anche per salvarmi l'anima”
Francoise poteva immaginare
questi pensieri, avendo condiviso con Bernard, qualche anno prima, una
altrettanto lunghissima navigazione attraverso due oceani, doppiando Capo Horn,
senza scali intermedi, su cui torneremo più avanti. Perciò Francoise conosceva
bene anche il Bernard marinaio e la sua irresistibile attrazione per la
bellezza dei Mari del Sud e per il misticismo dei tre grandi Capi .
Comunque sia, nel 1969, lo “yogin di Capo Horn”, come lo chiamava
l'amico velista Alain Colas , ritroverà
a Thaiti tutti i problemi, i conflitti, le contraddizioni dell'Europa a cui non
aveva voluto fare ritorno.
Problemi a cui dedica le ultime pagine del suo terzo libro “La lunga
rotta”, quando sveste i panni del marinaio per mettere quelli dello scalzacane,
dell'hippy, del vagabondo, dell'ecologista che, riprendendo le parole di John
Steinbeck, invita l'uomo a farsi carico delle sue responsabilità verso la
Natura .
Moitessier il solitario, Moitessier il sognatore, Moitessier l'eterno
ragazzo del maggio francese.
A Thaiti combatte le stesse battaglie ambientali degli Amici della
Terra di Parigi.
Per non idealizzare troppo l'uomo, ci vengono in aiuto le parole della
moglie Francoise che durante la lunga rotta era rimasta a casa con i tre figli.
Bernard “aveva il tempo di immergersi in altri mondi, più “poetici”,
nelle nuvole delle sue erbe … evidentemente, dopo aver vissuto tra il cielo e
il mare per 303 giorni, in una solitudine e un'immensità assolute, lo si poteva
capire: non era riuscito a tornare con i piedi per terra ...”
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