Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

lunedì 11 aprile 2016

Storie di mosconi e pattini

Si parlerà anche di pattini e mosconi, nella sessione dedicata all'etnologia, al III Convegno Nazionale di Archeologia, Storia ed Etnologia Navale, promosso e organizzato dall’Istituto Italiano di Archeologia e Etnologia Navale (ISTIAEN) insieme al Museo della Marineria di Cesenatico, che lo ospiterà il 15 e 16 aprile 2016. Gli oltre 40 interventi sono stati suddivisi in tre temi riguardanti “l'archeologia navale”, “la storia navale, storia della navigazione e arte marinaresca”, “l'etnologia navale”.

Di seguito pubblico la prima parte dell'articolo uscito oggi sul Corriere Romagna.

Cosa offriva, e che cosa potrebbe offrire ancora, il moscone? Un modo semplice ed ecologico per scoprire il mare, anche partendo dalle gremite spiagge romagnole.
Fino agli anni Ottanta del Novecento, il moscone era, e potrebbe essere ancora, la più diffusa barchetta a remi della Romagna e delle spiagge italiane. Perché è economico e facile. Costa poco acquistarlo e mantenerlo, è semplice portarlo e gestirlo. Il moscone permetteva, e potrebbe  permettere ancora, la prima esperienza marinara ai bambini, regalandogli quella “gaiezza” di cui ci parlano non solo i ricordi, ma anche le cartoline degli anni Cinquanta. Sono immagini di spiagge già affollate, non solo da tende o ombrelloni, ma anche da barche a vela e da mosconi. Erano spiagge in cui l'abbronzatura non era la sola passione, ma da cui ci avventurava verso il largo, scoprendo il mare, a nuoto, a remi e a vela. Di barche ce n'erano decine, di mosconi migliaia in pochi chilometri, come dimostra, tra le tante, anche l'immagine scelta per pubblicizzare le “Spiagge di Romagna” nel 1957. Mosconi armati sulla battigia, pronti per prendere il mare alla ricerca di acque più limpide, di atmosfere più silenziose. Ancora nel 1998 c'erano solo a Rimini 56 mosconai che gestivano un centinaio di postazioni, ognuna con decine di mosconi da affittare, allora al modico prezzo di 10.000 lire all'ora, una tariffa probabilmente inferiore a quella chiesta per un'ora di gioco in una campo da tennis. Nel volgere di qualche decennio tutto è cambiato, gli unici testimoni di quest'illustre storia rimangono i rossi mosconi dei salvataggi, ancora insostituibili malgrado ricorrenti bizzarre idee di motorizzazione. I rari, sparuti mosconi di qualche romantico appassionato, sono addirittura fuorilegge, per le discutibili disposizioni dell'ordinanza balneare regionale. Un regolamento che andrebbe quanto meno pubblicamente ridiscusso, almeno nelle norme riguardanti i natanti a remi e a vela, per contrastare la montante desertificazione delle spiagge da ogni attività marinaresca. Senza dimenticare che nelle più moderne località balneari del nord Europa, al contrario, sono state rinnovate e potenziate le basi nautiche, luoghi fondamentali per promuovere la cultura del mare, di cui in questo Paese c'è un grande bisogno. Perché Rimini, alla ricerca di una rinnovata immagine di capitale delle vacanze green, non rilancia modi più raffinati ed ecologici di vivere il mare? Anche a partire proprio dal moscone, la sua storica icona. Attenzione, non musealizzandolo o, ancor peggio, facendone un feticcio da rotonda, ma incentivando il loro ritorno sulla spiaggia, riaccendendo innanzitutto nei bambini quella voglia mai sopita di avventurarsi in mare.
Fiduciosi che anche i mosconi, così come hanno saputo fare le bici in città, riconquisteranno le spiagge, continuiamo a remare e a tenerne viva la memoria attraverso il racconto. Su queste pagine abbiamo già ripercorso la sua storia o per meglio dire alcune sue storie, visto che è giusto parlare al plurale di mosconi, pattini e patinos riprendendo le parole italiane e spagnole che lo hanno nominato al suo apparire alla fine dell'Ottocento. Ma ci era sfuggito il francese podoscaphe ritratto anche da Gastone Coubert addirittura nel 1865, quindi quasi trent'anni prima della prima apparizione della parola pattino, nel vocabolario di Policarpo Petrocchi. E' vero che la barchetta dipinta in “La Femme au podoscaphe”, come il patinos spagnolo, si differenzia dal nostro moscone per il remo a pagaia ma, per uso balneare e forma dello scafo, può essere considerato un suo predecessore. Bisogna attendere il 1916 perché il pittore Moses Levy ne ritragga uno sulla spiaggia di Viareggio, o il 1928 perché un'ospite illustre, Janos Vaszary, ne immortali uno a Rimini. Saranno poi tanti i pittori romagnoli e non che sceglieranno proprio il moscone, nei suoi molteplici usi, balneari, pescherecci o addirittura teatrali, come soggetto delle loro tele, come ci ha insegnato con competenza e passione Sergio Sermasi.