Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

mercoledì 7 agosto 2013

Adriatico, mare d'Europa

Dal primo di luglio la Croazia fa parte dell'Unione Europea. Finalmente, dopo secoli di divisioni e anni di guerra, l’Adriatico diventa un mare anche politicamente unito sotto un'unica bandiera, blu come il mare, in cui un marinaio potrebbe scambiare le stelle per isole, quelle splendide istro-dalmate. Non dimentichiamo che l'Adriatico è l’unico mediterraneo geograficamente europeo, a differenza di tutti gli altri sui quali s'affacciano diversi continenti. Se le prospettive invece sono altre, storiche, religiose, culturali, allora l'Adriatico “da solo e per analogia, pone tutti i problemi impliciti nello studio dell'intero Mediterraneo” continua a ricordarci Fernand Braudel. Un altro grandissimo narratore mediterraneo, Predrag Matvejević, ha scritto che “l'Atlantico e il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l'Adriatico il mare dell'intimità”. Per chi lo ha navigato in lungo e in largo l'Adriatico è un mare duplice, per un'infinità di caratteri, innanzitutto morfologici e geologici delle opposte sponde. Quasi completamente basse, sabbiose e antropizzate quelle occidentali, fino al promontorio del Gargano; rocciose, selvagge e semideserte quelle orientali. Duplice è anche la sua natura meteorologica, con inverni di nebbia, gelo e Bora come in un vero mare del nord ed estati di sole, siccità e Scirocco come in tutti i mediterranei. L'Adriatico è per antonomasia il luogo di scontro tra le opposte fazioni dei figli di Eolo, quelli settentrionali, capitanati proprio dalla gelida zarina siberiana e quelli meridionali, alla cui testa sta l'umido rais sahariano.
Per chi va a vela l’Adriatico rimane il Golfo di Venezia. Lunghissima la sua storia, indelebili le tracce architettoniche e culturali, intramontabile la grandiosa aura, malgrado i successivi tanti tragici errori commessi dalle genti delle due rive. Ogni anno centinaia di barche a vela provenienti dai porti dei cinque continenti risalgono il Golfo, non sempre spinte da favorevoli venti sud-orientali, ma comunque determinate a raggiungere dal mare la Serenissima. Perché come ha scritto Thomas Mann, arrivare a Venezia dalla terraferma è come “entrare in un palazzo dalla porta di servizio” e che solo per nave, dall'alto mare, bisogna “giungere nella più inverosimile città del mondo”. Lunghissima o breve che sia stata la navigazione, piccola o grande che sia la prua, insuperabile è l'emozione di bagnarla nelle acque sempre agitate del Canal Grande, vedendo sfilare davanti a sé le straordinarie architetture veneziane, testimoni della grandezza non solo economica della Repubblica. E ancor prima di tanta magnificenza, qualsiasi bocca di porto si sia scelto per entrare, già la Laguna e le sue numerosissime isole avranno regalato forti emozioni. Un paesaggio unico, per dimensioni e caratteristiche, in cui natura e cultura si sono nei millenni intimamente mescolate, come le acque dolci e salate a ogni cambio di marea.
I fatti del Novecento sono tristemente noti, ma non bisogna mai dimenticare che ad anni di guerra si sono alternati secoli di pace e per festeggiare la rinnovata fratellanza riporto le parole di due grandi marinai nati e cresciuti sulle rive adriatiche: Agostino Staulino e Carlo Sciarrelli. Il primo, nato a Lussinpiccolo nel 1914, diceva che l'isola dove era nato gli aveva insegnato ad amare il mare, “sentimento che bisogna coltivare per poter navigare”.
Di Carlo Sciarrelli, nato a Trieste nel 1934, oltre alle splendide barche, va ricordata non solo passione, competenza ed estro per la progettazione degli yacht, ma più in generale per la cultura del mare. Nell'introduzione al suo “Lo yacht. Origine ed evoluzione del veliero da diporto”, ormai un classico della letteratura marinaresca, Sciarrelli sollecita l'uso del “linguaggio del mestiere, dal quale non si può prescindere”, quel linguaggio che apprese ed affinò proprio navigando in Adriatico.
Ora che da Trieste a Otranto, da Capodistria (Koper) a Ragusa (Dubrovnik), l'Adriatico è un mare d'Europa sarà più semplice conoscersi e riconoscersi, certi che l'appartenenza adriatica è un fatto esperienziale che deve diventare anche culturale, basta semplicemente mollare gli ormeggi per avventurarsi in quel "mar grando" caro al poeta Biagio Marin.

L'articolo completo è pubblicato sull'ultimo numero del mensile Bolina (luglio-agosto 2013)

Nessun commento:

Posta un commento