in occasione del Raduno delle Barche con Vele al Terzo al porto di Rimini, Piazzale Boscovich, leggerò alcune pagine del mio ultimo libro, “Anemos. I venti del Mediterraneo”, e quelle di altri autori che hanno raccontato i venti dell’Adriatico, tra cui Giovanni Comisso, Gabriele D’Annunzio, Giuseppe Giulietti, Dino Brizzi e Giulio Grimaldi.
L'iniziativa è organizzata dall'Associazione Vele al Terzo di Rimini.
Sugli stessi temi, anticipo di seguito una parte dell'articolo uscito lunedì scorso sul Corriere Romagna, il primo della rubrica estiva intitolata "Viva il vento", pubblicata ogni lunedì nell'inserto "Aria di mare".
Se, come dicevano un tempo i marinai, su ogni mare del mondo
il vento scrive, in Adriatico i suoi racconti sono imprevedibili e bizzarri,
fin dai tempi antichi. Non che le burrasche siano più violente, ma sono
difficilmente prevedibili, non che le bonacce siano più estenuanti, ma sono
quotidianamente ricorrenti. In Adriatico i venti sono mutevoli e umorali,
possono scatenarsi o placarsi con estrema rapidità. Spesso in ventiquattrore
spirano da ogni quadrante, con forza altrettanto variabile. Emblematici i
caratteri del Garbino, vento sud-occidentale, rafficato e volubile, con effetti
meteorologici e psicologici, assai noti in Romagna.
...
I venti erano per i marinai indispensabili compagni di
viaggio, temuti e venerati, come si conviene a
dei che hanno in mano il destino. In Adriatico agli otto venti
principali, che hanno tutti un nome proprio da scriversi rigorosamente con la
maiuscola come nei vecchi portolani, se ne aggiunge un nono: la Bora. La sua
tana è nascosta tra le selve balcaniche, da cui discende furiosa, mostrandosi
con due volti, chiaro o scuro, a seconda dello stato del cielo. Tutti quelli
che hanno navigato in Adriatico ne hanno fatto esperienza, anche durante
l'estate. Lo ricorda Giovanni Comisso in uno dei suoi racconti marinareschi,
intitolato “Rade di fortuna”. “Poi la bella estate, riserva sempre impensate
burrasche di Bora. Bora che, mascherata da temporale notturno, scende giù dagli
alti monti di Segna e rimane per qualche giorno ad agitare le acque”.
Malgrado l'Italia non abbia avuto un grande narratore
pelagico, come Joseph Conrad o Hermane Melville, diversi sono gli autori che
hanno prestato attenzione ai venti, favorevoli o avversi, comunque determinati
nelle vicende marinaresche. Nel romanzo adriatico _ “Maria Risorta” di Giulio
Grimaldi, scritto ai primi del Novecento, bonacce, brezze e burrasche
scandiscono il tempo delle partenze, del lavoro e dei ritorni. Momenti lieti,
quando “La Maria Risorta filava docile, con il trinchetto e la maestra gonfie
di un buon Maestrale, sopra un mare turchino e tutto leggermente ondulato che
si estendeva a perdita d'occhio, senz'altro rumore che uno sciaguattar lieve
contro i fianchi robusti e il cigolio sordo delle scotte dei ghindazzi”. Attese
trepidanti sui moli di donne e anziani. “Venne la notte; e molti poveri cuori
aspettavano ancora, mentre un soffio di disperazione passava sulle casupole del
piccolo porto, e continuava sui moli quella vedetta angosciosa, tra il sibilo del
vento e il boato del mare”.
Anche a noi che alziamo la vela per piacere, i venti
insegnano ogni giorno qualcosa: pazienza, determinazione e rispetto, prima di
tutto. Cazzando e lascando, alzando e ammainando, cerchiamo un'antica armonia
tra la vela e l'aria, indispensabile per portare la nostra barca e i nostri
sogni lontano.
Nessun commento:
Posta un commento