E' di queste ore la notizia che nel passaggio alla Camera, il Governo ha eliminato dal “decreto sviluppo”, la norma sui diritti di superficie delle spiagge, che in un primo momento dovevano essere di 90 anni, poi ridotti a 20. In entrambi i casi una sciagura per chi crede che il mare e le sue rive siano un bene comune, quindi inalienabile, neanche in forma indiretta.
Sarà una concomitanza casuale, ma ciò non toglie che la (speriamo) positiva decisione, la si relazioni alla vittoria dei due SI' al referendum sull'acqua. Di quanto questi fossero strettamente legati alle idee, e alle conseguenti politiche, riguardanti i beni comuni, e le coste in particolare per un paese come l'Italia, avevo già scritto nell'aprile scorso, quando ancora nulla faceva presagire questo “salto di vento”. Senza enfatizzare troppo il risultato referendario, ma fieri per l'obiettivo raggiunto, mi permetto di rilanciare un monito di Franco Cassano, da decenni illuminato difensore dei beni comuni. “Laddove il bene comune non interessa più i singoli, il suo curatore è un despota che non viene più controllato”. In queste prime settimane di stagione balneare, l'invito è quindi quello di interessarsi di quel bene comune chiamato mare. Il meraviglioso Mediterraneo che circonda la Penisola, regalandoci aria salmastra da respirare, acqua salata in cui nuotare, rive libere lungo cui passeggiare o incontrare l'Homo civicus, colui che vuole ritrovare “la comunità senza perdere la libertà”.
Nessun commento:
Posta un commento