Come anguilla “che risale in profondo, sotto la piena avversa”,
riprendendo un verso di Eugenio Montale, anche noi risaliamo
controcorrente le vie d’acqua che portano dall’Adriatico al Po.
Possiamo farlo a piedi o a pedali o a remi, magari partendo da
Ravenna, la più orientale delle città lambite da uno degli infiniti
rami, passati e presenti, del grande Fiume.
In tutti e tre i casi possiamo farlo con l'aiuto del nuovo,
prezioso, portolano fluviale di Paolo Rumiz che del lento viaggiare
ha fatto ragione e racconto di vita. E’ uscito infatti nella
primavera scorsa “Morimondo” (Feltrinelli, pp. 315; € 18),
diario di un viaggio fatto da Rumiz lungo il Po, dalle dolci rapide
di Staffarda, qualche decina di chilometri a valle delle sorgenti del
Monviso, alla selvaggia quiete del Delta e di lì a Sansego,
idealmente la più orientale delle Isole Elettridi. Isole
leggendarie, come tutte le storie che Rumiz è andato cercando lungo
il Po, il “grande monosillabo” a cui non serve l'articolo, perché
non è un luogo ma un Dio che si fa carico da decenni di tutte le
nostre immondizie, colpe ed errori, e, malgrado tutto, è ancora
capace di cantare. Più prosaicamente avendolo disceso a remi e a
vela, gli unici modi che consentono un ascolto attento, Po è prima
di tutto “l'ultimo spazio d'avventura d'Italia”. Settecento
chilometri, compresi i rami deltizi, che diventano millequattrocento
di rive libere e selvagge.
Dopo pochi giorni dalla partenza Rumiz capisce che il suo
obiettivo non sarà elencare, spiegare o citare, la vasta letteratura
umanistica e scientifica, ma sarà quello di entrare nella leggenda.
Un compito assai arduo perché l'acqua, dolce o salata che sia, è
infinitamente più difficile da decifrare della terra. Difficoltà
legate ai segni che sono labili come le rotte, alla scrittura che
diventa tremolante come le onde, ai pensieri che svaporano come le
acque. Così il taccuino dell'autore rimane vuoto per giorni, il
Fiume non si disvela facilmente, è “acqua in ostaggio” come i
rarissimi uomini che la abitano, nel senso pieno del termine. A ciò
si aggiungono gli imprevisti, tra cui il ribaltamento con tutte le
conseguenze del caso. Anche Rumiz sperimenta la perfidia dell'acqua,
quando inaspettatamente punisce una sua distrazione, facendolo
ribaltare e cancellando le poche parole appuntate nei giorni
precedenti. Ma, malgrado tutto, miglio dopo miglio, vogata dopo
vogata, Rumiz scopre che l'unico vero modo per conoscere un fiume è
navigarlo, vivendo “una grandiosa avventura. Oltre ogni speranza,
ogni immaginazione”.
Non manca comunque una precisa geografia fatta innanzitutto di
toponimi di antichissima ascendenza, una dettagliata narrazione di
suggestivi incontri, una minuziosa riscoperta di storie fluviali
dimenticate. Tutte queste annotazioni hanno allungato
all'inverosimile anche la mappa del Fiume, facendone una vera e
propria Tabula Rumiziana lunga tre metri, larga sessanta
centimetri, redatta minuziosamente a mano e continuamente aggiornata,
che trovava la sua perfetta collocazione la sera sui tavoli delle
osterie. Già, le osterie “favolose stazioni del pellegrino
fluviale!”, di quello di ieri come di quello di oggi, che se
apparentemente sconta il venir meno di paesaggi e dialetti, ritrova
comunque nella strepitosa varietà e gustosità dei cibi, l'ultimo
rifugio delle identità locali.
Perché poi un libro dedicato a Po si chiami “Morimondo”,
titolo che evoca il realismo magico di Gabriel García Márquez, un
altro grande narratore fluviale, lo scoprirà solo il lettore più
attento, quello che, con la stessa pazienza richiesta da ogni
viaggio, saprà attendere il preciso momento in cui l'autore lo
rivela, facendolo finalmente salire a bordo.