Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

venerdì 6 maggio 2011

Il nostro mare quotidiano


Sette giorni fa scrivevo che con una vittoria dei SI' ai referendum sull'acqua pubblica si contribuirà anche a rafforzare l'idea che il mare, le spiagge, le rive sono beni comuni. Con un tempismo inimmaginabile, anche ai più foschi profeti della privatizzazione, ieri il Governo ha anticipato che si procederà alla (s)vendita delle spiagge. Precisamente, all'articolo tre del Decreto Legge sullo Sviluppo, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, si legge: “Per incrementare l’efficienza del sistema turistico italiano, riqualificando e rilanciando l’offerta turistica, fermo restando, in assoluto, il diritto libero e gratuito di accesso e fruizione della battigia, anche ai fini di balneazione, è introdotto un diritto di superficie avente durata di novanta anni”.
Che cosa significa questo concretamente per gli italiani ce lo hanno spiegato subito tanti quotidiani, la maggior parte concordi nell'evidenziare che i privilegi concessi a pochi, andranno a discapito di molti. Nessun diritto sui beni comuni può essere alienato per un tempo così lungo, a maggior ragione per uno spazio mobile per definizione come le spiagge. Mobili da un punto di vista ambientale, in relazione ai normali fenomeni di avanzamento o regressione, e in egual misura economico e sociale. Si pensi solo a come è cambiato il loro uso nell'ultimo secolo, e di conseguenza il loro valore. Nessuno avrebbe mai immaginato che quei “relitti del mare” diventassero, nel volgere di pochi decenni, i più fruttuosi “stabilimenti” italiani.
Tornando al testo del decreto, lo stesso inciso “fermo restando ...”, rende ancora più inquietante il rischio del venir meno del diritto a poter accedere alle rive, di “offrirsi un bagno”, utilizzando le parole di Albert Camus. Noi quel bagno nelle acque delle nostre città non solo vogliano continuare a farlo, ma pretendiamo anche che nessuno imponga limiti di tempi e modi al nostro libero passeggiare, giocare, restare, lungo le spiagge.
Ancora una volta si cercano di legittimare i peggiori vizi italiani, nello specifico quello di appropriarsi indebitamente del primo bene comune ambientale di una Penisola. Cicerone, in una delle sue difese, si chiedeva: “Cosa vi è di così comune come il mare per coloro che navigano e le coste per quelli che vi vengono gettati dai flutti?”. Oggi siamo noi quelli gettati dai flutti, coloro che continueranno a battersi per la gratuità del mare e delle sue rive.

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