Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

sabato 15 maggio 2010

Il nostro mare quotidiano

La stagione balneare è alle porte e, come ogni anno, aumenta la spinta a privatizzare le coste. La riscoperta estiva, consumistica e mediatica del mare o per meglio dire della spiaggia, è gravida di conseguenze nefaste (sarà un caso che in queste settimane le spiagge riordinate e preparate con i paletti per gli ombrelloni assomiglino tanto a campi cimiteriali?) per chi le rive le frequenta tutto l'anno, immerse nelle silenziose atmosfere autunnali, battute dalle gelide tramontane d'inverno, stemperate dal respiro africano dello scirocco, come in questa meravigliosa, bizzarra, primavera.
Perciò tutti quelli che non riducono il mare a consumo, devono reclamare, difendere, praticare il mare come bene comune. Non uno qualsiasi, ma il primo bene comune di una Penisola, una quasi isola, una pāene īnsula di cui le acque salate sono vitale liquido amniotico che insieme aggrazia, protegge, alimenta. Un'urgenza originaria, nel senso più intimo come in quello più condiviso, che ci fa ripercorrere rotte battute da altri e ne apre di nuove. Una rotta iniziatica verso solitarie veleggiate, lunghe passeggiate, rinfrancanti nuotate; esperienze capaci di ridestare un’appartenenza mediterranea che si nutre di racconti e romanzi, di cultura materiale e scientifica. Un invito a sperimentare il proprio personale modo di guardare, ascoltare, assaporare e annusare, di immergersi nel mare vicino, in quello prossimo alle nostre case. Sì, proprio in quello che bagna le nostre città, perché non possiamo rinunciare a un mare in cui immergerci quotidianamente. Certi che le singole rivendicazioni di gratuità, come tante piccole onde che sovrapponendosi prendono forza, si trasformino in una insopprimibile necessità collettiva di riappropriarsi del Mediterraneo. Aspettative eccessive, forse un abbaglio. Ma è risaputo che l’orizzonte marino stimola la fantasia, così come l'audacia. Un desiderio intenso, capace di far riaffiorare dalle secche della virtualità contemporanea, le infinite, reali, ricchezze del mare. Se, come ci ha insegnato Predrag Matvejević, sul Mediterraneo è stata concepita, nell'accezione ideale e materna della parola, l'Europa, credo che proprio lungo le rive di questo mare si possa ri-concepire il significato, i significati molteplici e sinergici, di bene comune, facendone una qualità fondante dell'Unione. Il paesaggio europeo e italiano in particolare non può trasformarsi in valore condiviso e perseguito senza una rivalutazione del mare, inteso innanzitutto come bene comune.

2 commenti:

  1. Beh, ci tenevo a essere il primo! Complimenti e auguri per la nuova impresa. Un lettore sicuro lo hai già... catturato nella rete.
    Marco

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  2. "Più ti allontani dal mare e più trovi gente naufragata: il mio paese è una nave in un mare di vento". Dallo Zibaldone di Franco Arminio ("vento forte tra Lacedonia e Candela; Laterza, 2009). Tutto il mare è paese, forse; perché è necessario, hai ragione, "immergersi nel mare vicino, in quello prossimo alle nostre case. Sì, proprio in quello che bagna le nostre città, perché non possiamo rinunciare a un mare in cui immergerci quotidianamente". Un caro saluto. Simone Bruscia

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