Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

giovedì 22 dicembre 2016

Venerdì di magro

Se state pensando al menù della Vigilia e non sapete che pesci prendere, mi permetto di suggerirvi l'ultimo post che ho pubblicato su "Venerdì di magro", il mio blog di pesci e pescatori per La Stampa online.

Ed eccoci ancora alle prese con il più rituale dei giorni di magro: la Vigilia di Natale. Cosa cucinare per rinnovare una tradizione italiana radicata non solo tra i credenti? Mettersi alla ricerca di capitoni, “che formano il cibo di rito” del popolo minuto di Napoli, riprendendo il titolo di una ricerca ottocentesca sull’alimentazione dei poveri?

Forse invece sarà più semplice attingere sempre alla tradizione napoletana ottocentesca, ma al più economico pesce mpasticcio, suggerito da Ippolito Cavalcanti, che comunque suggerisce anche l’arrusto de capitone. Comunque entrambi rientrano in “ tutto chello che se sole mancià all’uso nuosto de Napole”. Quindi limitandosi al più popolare pesce mpasticcio e proponendo una più facile e sintetica traduzione è necessario spinare e spellare merluzzi e cefali, dopo averli bolliti, quindi saltare in padella scarola con olio, olive, capperi, qualche alice salata, sale, pepe e pinoli. Poi pesce e preparato di scarola si mettono in strati su una base di pastafrolla, con cui si coprirà poi il tutto, prima di cuocere sotto il " tiesto" o, almeno per noi oggi, in forno. Una più dettagliata ricetta, con tutte le variazioni del caso, è facile trovarla in ricettari più recenti o in rete, mentre qualcosa di più possiamo dire sul pesce. Se dei cefali, al plurale perché si tratta di diverse specie di sapori molto differenti ho già scritto qualche mese fa, del nasello invece è necessario precisare qualcosa.

Continua sul blog Venerdì di magro, dove troverete anche tanti altri brevi racconti di pesci e pescatori.

domenica 18 dicembre 2016

L'avventura su Radio 3

Ieri sera su Radio 3 nella trasmissione "Consigli per i podcast", si è parlato di avventura. Sara Sanzi ed Elisabetta Parisi hanno proposto un binomio di marinai e scrittori d'eccezione: Joshua Slocum e Jack London. Alcune delle loro avventure sono state raccontate nelle scorse settimane proprio su Radio 3 e i podcast sono disponibili sul sito.

Buon vento e buon ascolto, tenendo a mente l'insegnamento di Slocum: "Qui posso solo dire che uno impara molto con la pratica, e che per gli amanti della vela, dopo l'esperienza, il buonsenso  è il miglio maestro".

Il racconto della vita di Joshua Slocum in podcast
Il racconto della vita di Jack London in podcast
"Martin Eden" di Jack London in podcast
"Il richiamo della foresta" di Jack London in podcast

venerdì 9 dicembre 2016

Storie di mosconi e pattini

E' in edicola BOLINA di dicembre, in cui troverete la storia del patí de vela o  patí català


I prodotti tipici sono un'indiscussa e apprezzata attrazione turistica, al pari di paesaggi, monumenti e mostre. Ma i prodotti tipici, alimentari e non solo, sono prima di tutto un piacere quotidiano per chi abita in un territorio.
Così è anche per el patí de vela, un piccolo, veloce e divertente catamarano tipico della Catalogna. Tanto che è anche chiamato patí català, una specie di pattino, o moscone che dir si voglia, a vela. A questa barchetta da spiaggia, ormai praticamente estinta in Italia (vedi BOLINA, Novembre 2008), l'accomuna il periodo storico d'origine, l'ambiente e l'uso. Entrambe derivano dal più antico pattino a remi che apparve sul finire dell'Ottocento sulle spiagge per soddisfare le voglie di chi voleva conoscere il mare. Il patí ha però delle caratteristiche tecniche che lo rendono molto diverso, non solo dal pattino, ma in generale da tutti i catamarani.
...
Nel 1974 viene invece pubblicato il primo libro interamente dedicato al patì, a firma di Guido Depoorter Lodewyckx. Il lavoro di un appassionato, che descrive tecnica e storia del patì e si apre con un invito “¡Hágase patinista a vela!”, diventa un patinista a vela! Un'incitazione ascoltata, a giudicare dal successo riscosso dal patí de vela in questi ultimi quarant'anni.

L'immagine che accompagna questo post è stata disegnata da François ChevalierNel suo blog troverete tanti altri bellissimi disegni, di barche di ieri e di oggi
http://chevaliertaglang.blogspot.it/

Per saperne di più sul patí de vela, sulla sua storia, sulle regate, sulla tecnica, suggerisco il sito dell'associazione ADIPAV e del Club Pati Vela Barcelona
http://www.adipav.org/
http://www.pativelabarcelona.com/

venerdì 2 dicembre 2016

Libri di mare e di costa

Domani, sabato 3 dicembre 2016, alle 18
presso la Libreria Mare di Carta di Venezia, in Fond. dei Tolentini 222

FRANCO MASIERO 
presenta
"Sulle rotte della Serenissima. Con il Vistona verso gli scali del Levante", edito da Mare di Carta.

Un libro che ci porta a vela da Venezia verso gli scali d'Oriente, sul Vistona una splendida barca timonata da Gian Marco Borea D'Olmo, un'icona della vela mediterranea del Novecento. Il Vistona, è un cutter aurico di 16 metri, ancora perfettamente navigante, che il prossimo anno compirà 80 anni, essendo stato costruito nel 1937.

giovedì 24 novembre 2016

Velabondismo

Bretagna del sud: Golfe du Morbihan e Golfe du  Quiberon

Randonneer è un verbo francese molto usato, che non ha una precisa traduzione in italiano. Questa osservazione credo sia già un primo indizio per cercare di capire la differente considerazione di cui gode il randonneur Oltralpe, rispetto al Belpaese. Randonneer significa fare randonnée, cioè escursionismo. A piedi, ma anche in tanti altri modi: cycliste, asine, équestre, en kayak, en planche a voile, cioè in windsurf,  o addirittura palmée, cioè con maschera e pinne. Il velabondismo si ascrive quindi al randonnée nautique o, più precisamente, al randonnée en deriveur. Questa cultura del viaggio en plein air può essere quindi un motivo in più per scegliere la Francia come meta di un velabondaggio estivo.
Così è stato per noi. Una volta caricata la deriva sul tetto dell'auto e valicate le Alpi, inevitabilmente abbiamo scelto la Bretagna che nel nostro immaginario è il paradiso della vela in Europa. Bretoni sono alcuni miti, a partire da Le Toumelin e Tabarly; bretoni sono alcune delle più affascinati canzoni e leggende di mare; bretoni sono i porti da cui partono importanti regate oceaniche; bretone è l'ambientazione e l'atmosfera de “La Mer”, libro culto di Jules Michelet. Poi, visto che comunque preferiamo climi temperati, ci siamo diretti verso il Golfe du Morbihan, il più mediterraneo dei luoghi bretoni, e il contiguo Golfe du Quiberon.

Dopo un lungo viaggio, di 1.500 chilometri, arriviamo in un soleggiato giorno d'agosto ad Arzon, sulla penisola di Rhuys che separa a sudovest l'oceano dal golfo di Morbihan, che assomiglia a una grande laguna. Per essere più precisi, le acque di Morbihan sono separate dalle vastità atlantiche da un altro ampio braccio di mare, delimitato da una mezzaluna di terre formata da: presqu'île du Quiberon, Belle-Île-en-Mer e presqu'île du Croisic. Questa grande insenatura atlantica, prende il nome di Golfe du Quiberon, altrettanto attraente. L'orografia, associata agli influssi benefici della Corrente del Golfo, rende il clima di questa zona, malgrado la latitudine settentrionale, abbastanza mite. Antico, ma sempre attuale, è il detto bretone che afferma “qu’il fait toujours beau dans le Golfe”, cioè che è sempre bello nel Golfo.
...

Il reportage completo è pubblicato su Bolina di novembre 2016.


lunedì 14 novembre 2016

Joshua Slocum, un racconto radiofonico












Per chi lo voglia ascoltare o riascoltare il racconto radiofonico di Joshua Slocum, andato in onda oggi, è già disponibile online su Wikiradio - Rai Radio Tre. Sempre sul sito della trasmissione è possibile scaricare il podcast e vedere la scaletta dettagliata dei brani musicali e dei materiali audio utilizzati.

Un mio sentito ringraziamento per il lavoro fatto va a Lorenzo Pavolini e a tutta la Redazione.

Buon vento e buon ascolto!


venerdì 11 novembre 2016

Joshua Slocum: le avventure su Wikiradio

















Il primo, il maestro di tutti i vagabondi del mare
Joshua Slocum
Raccontato da Fabio Fiori

WIKIRADIO - Rai Radio 3
Lunedì 14 novembre 2016 
ore 14:00 - 14:30


Radio FM - Online - Digitale Terrestre
Podcast Rai Radio 3 – WIKIRADIO

Ci siamo quasi, registrazione fatta, montaggio in corso! Lunedì in onda!!! E mai termine è più azzeccato, per parlare alla radio del Capitano Joshua Slocum.

A suo ricordo possiamo intonare la canzone che canta, a bordo dello Spray, il fantasma della Pinta:
Alte le onde, feroci, balenanti,
Alto il fragore della tempesta!
Alte le strida dell'uccello marino!
Alte le Azzorre!

Buon vento e buon ascolto.


lunedì 7 novembre 2016

Joshua Slocum, un racconto radiofonico


Il primo, il maestro di tutti i vagabondi del mare
Joshua Slocum
Raccontato da Fabio Fiori

WIKIRADIO - Rai Radio 3
Lunedì 14 novembre 2016 
ore 14:00 - 14:30

Radio FM - Online - Digitale Terrestre
Podcast Rai Radio 3 – WIKIRADIO

Dopo il racconto radiofonico di Bernard Moitessier, tra qualche giorno: Joshua Slocum, il primo, il maestro di tutti i vagabondi del mare.


E' partita ieri la Vendee Globe, la più impegnativa e avventurosa delle regate oceaniche. Da soli, su barche di 60 piedi, senza scalo, i concorrenti dovranno fare un giro del mondo, ripercorrendo la rotta dei mitici velisti che nel lontano 1968 parteciparono alla Golden Globe Race. Se il primo vincitore Robin Knox-Johnston impiegò 312 per completare il giro del mondo, l'ultimo François Gabart nel 2013 ne impiegò 78.

Tutti comunque hanno ripercorso la rotta del pioniere di queste avventure Joshua Slocum, un americano che tra il 1895 e il 1898 fece per primo il giro del mondo a vela in solitario. E tutti avranno letto, in toto o in parte, il suo libro più noto Sailing Alone Around the World, pubblicato nel 1900 e tradotto per la prima volta in italiano da Mursia nel 1969. Un traduzione fatta da un'altra icona della vela oceanica, Alex Carozzo, l'italiano che sempre negli anni Sessanta attraversò da solo a vela l'Oceano Pacifico, dal Giappone alla California. Carozzo fu anche l'unico italiano alla partenza della Golden Globe Race in Inghilterra nel 1968, al fianco di mostri sacri quali il vincitore Robin Knox-Johnston e Bernard Moitessier. Proprio in questa occasione Moitessier divenne anche un mito, perché in testa con ampio vantaggio decise di ritirarsi, mettendo la prua per la seconda volta verso est, raggiungendo Thaiti, dopo 303 giorni di navigazione in solitario senza scalo, in cui percorse 37.000 miglia cioè quasi 70.000 chilometri, doppiando due volte i capi di Buona Speranza e Leeuwin e una volta Capo Horn, il più terribile. Anche di questi straordinari velisti Slocum fu il maestro riconosciuto, a cui lo stesso Moitessier dedicherà la sua barca più nota, chiamandola Joshua.

Joshua Slocum partì per il giro del mondo in solitario il 24 aprile 1895, dalla costa orientale degli Stati Uniti, facendo rotta per le Azzorre e poi per Gibilterra, dove arrivò nell'agosto del 1895. Qui decise di cambiare itinerario, evitando di attraversare il Canale di Suez inaugurato qualche anno prima, per paura dei pirati che infestavano il Mar Rosso. Ma altri predoni lo inseguirono quando discese le coste del Marocco, per fortuna senza raggiungerlo, grazie alla velocità del suo Spray. Con questa straordinario sloop autocostruito attraversò lo Stretto di Magellano in un vero e proprio corpo a corpo con le tempeste australi. Di lì ritornò ai tropici, arrivando nell'Isola di Samoa nel luglio del 1896, dove conobbe la moglie e i figli dello scrittore Robert Louis Stevenson. Dall'Oceania andò in Australia, Tasmania, per poi proseguire nell'Oceano Indiano e arrivare a Durban, in  Sud Africa, nel novembre del 1897. Gli restava da doppiare Capo di Buona Speranza, che superò il mese successivo, per poi risalire l'Oceano Atlantico e ritornare a Newport. “Alle una del mattino del 27 giugno 1898, diedi fondo, dopo una crociera di più di quarantaseimila miglia intorno al mondo, della durata di tre anni, due mesi e due giorni”, scriverà nel suo libro più noto.
Ancora oggi, a oltre un secolo da questa epica impresa, rimane attualissima la lezione di Slocum e  il suo invito: “Ai giovani che pensano a un tale viaggio direi “andate””.
“Il racconto di Slocum dà al lettore una sensazione di libertà cui è difficile resistere”, ha scritto lo scrittore svedese Bjorn Larsson e io mi limito ad aggiungere solo che la libertà la si può trovare anche nel nostro mare quotidiano, quello che bagna le rive urbane del Mediterraneo.

Di questo e di tanto altro parlerò nel racconto radiofonico che verrà trasmesso lunedì 14 novembre 2016, alle ore 14, su Wikiradio - RAI Radio 3.

Il post è parte della pagina pubblicata oggi dal Corriere Romagna.




mercoledì 2 novembre 2016

Incontri

Respiro Mediterraneo 
Storie di venti e di acque, di vele e di genti

Un reading di Fabio Fiori, accompagnato dalla musica di Angelo Leonardo Pastorini


Sabato 5 novembre 2016, ore 17:30
Ferrara - Sala della Musica Chiostro San Paolo
via Boccaleone 19

PARLIAMO DI MARE
Un ciclo di incontri organizzati da Enrico Delpasso e Francesca Alvisi

Respiro Mediterraneo è il racconto di un lungo viaggio fatto nel più antico dei mari. Quel Mediterraneo che da millenni è spazio condiviso, di scambi e di scontri, tra le genti che popolano le sue rive. Fabio Fiori legge alcune pagine dei suoi due libri dedicati al Mediterraneo, in cui le storie dei venti e delle acque, delle vele e delle genti sono antichissime e sempre rinnovate, nel ciclico incedere delle stagioni.
Un racconto che ha i colori dei crepuscoli, che ha il profumo della salsedine, che ha il rumore delle onde, che ha il sapore dei pesci e che dà il piacere dell’immersione nel nostro mare quotidiano.

Ogni volta che issiamo una vela, entriamo a far parte, consapevolmente o inconsapevolmente, di un mondo antico. Rinnovando un rituale di comunione con il vento, entriamo nell’ánemos del Mediterraneo. (Fabio Fiori, 2012. Anemos. I venti del Mediterraneo. Mursia)

Thalassa è la parola che preferisco tra le tante che i greci avevano per indicare il mare. Perché thalassa è semplicemente acqua salata. Quella che bagna spiagge, scogliere e banchine delle nostre città, in cui amiamo immergerci, in cui vogliamo rifletterci. (Fabio Fiori, 2014. Thalassa. Le acque del Mediterraneo. Mursia)

lunedì 31 ottobre 2016

Joshua Slocum, il maestro dei velabondi

In queste settimane sto rileggendo i due libri di Joshua Slocum, pubblicati in Italia nel 1969 da Mursia, nella traduzione di un'altra figura leggendaria della vela: Alex Carozzo.
In omaggio a Slocum, ma anche all'editore e al traduttore italiano, pubblico la copertina della prima edizione e qualche riga della presentazione.

Il capitano Joshua Slocum è stato un precursore, un capostipite: il primo che, solo, in un'imbarcazione relativamente piccola, abbia compiuto il giro del mondo. ... E' un classico della letteratura marinaresca e, per i navigatori a vela, rappresenta una specie di Bibbia. ...
Alex Carozzo propone finalmente al pubblico italiano e specialmente agli appassionati del mare e della vela, una piena conoscenza delle fantastiche imprese di quel personaggio interessante, vivo e pieno di simpatia, che fu il capitano Slocum.

Aggiungo solo che rileggendo oggi i libri di Slocum ho potuto verificare che non sono solo degli ottimi reportage marinareschi, ma sono a tutti gli effetti ascrivibili alla outdoor literature, al pari di quelli del più noto Henry David Thoureau, il "maestro" di Walden.

ps
a breve vi racconterò anche il perché di questa rilettura!

venerdì 28 ottobre 2016

Insulomania

Si inaugura oggi, venerdì 28 ottobre 2016 alle ore 18.30, alla Libreria Internazionale Il Mare di Roma, in via del Vantaggio, 19, la mostra Arcipelago Toscano, un viaggio pittorico tra le sette, meravigliose isole che lo compongono. Negli spazi della storica libreria romana, saranno in mostra fino all'11 novembre 2016 gli acquarelli di Andrea Ambrogio, Lorenzo Dotti e Federico Gemma, i tre artisti che hanno potuto immergersi nelle atmosfere delle isole per restituire attraverso immagini e brevissimi testi tutto il fascino di queste isole. Ogni libro è perciò una graphic novel, in cui il protagonista principale è il paesaggio che, qui come nella maggior parte dei territori italiani, ha anche uno straordinario portato culturale.
La collana, voluta dal Parco Nazionale Arcipelago Toscano e realizzata con grande cura editoriale da EDT, è insieme un modello di cultura e sostenibilità, perché si tratta di materiali che associano qualità documentale e tutta la longevità dei libri ben fatti, a differenza di tanto materiale "usa e getta".

Nei prossimi mesi tornerò poi a parlare delle singole isole, attraverso alcuni degli acquarelli che compongono questo colorato ciclo pittorico insulare.

domenica 23 ottobre 2016

Grandi vele, grandi storie

E' in edicola BOLINA di ottobre, in cui troverete il racconto de "Il Nuovo Trionfo", uno dei pochi trabaccoli ancora naviganti, che proprio quest'anno compie novant'anni.

Non è facile vivere a lungo per una barca, soprattutto se era da lavoro e a vela, perché il mare e il vento sono implacabili. Inoltre nell’ultimo secolo, i materiali, le tecniche e le finalità sono cambiate rapidamente e così le barche non solo sono naufragate ma sono state anche abbandonate o demolite, complice in Italia una folle legge riguardante il ritiro delle licenze pescherecce.
Perciò assume ancora maggior valore, affettivo e testimoniale, il novantesimo compleanno del trabaccolo Il Nuovo Trionfo, che si festeggia quest’anno. Venne varato infatti nel 1926 a Cattolica, importante centro peschereccio tra le Marche e la Romagna, costruito nel cantiere di Ferdinando Ubalducci. Uno degli ultimi maestri di quell'arte di costruire barche che era “la continuazione e la conclusione … di una storia che iniziò orientativamente nel neolitico” e che vide una svolta decisiva nel Quattrocento, quando si consumò una “rivoluzione nautica”, rimasta per secoli alla base della tradizione adriatica, come scrisse Marco Bonino nel catalogo della mostra “Barche e genti dell'Adriatico. 1400-1900”, una pietra miliare per lo studio della cultura marinaresca.
...
Dal 2008 la barca è di proprietà della  “Compagnia della marineria tradizionale Il Nuovo Trionfo”  che ne ha curato subito un importante restauro e la valorizzazione storica e culturale. Anche in questi mesi la barca è in cantiere per poter felicemente veleggiare verso l'ambizioso traguardo dei 100 anni.


L'articolo completo è pubblicato sul mensile BOLINA di ottobre 2016.

lunedì 17 ottobre 2016

Incontri

Parole, note e opere pittoriche di onde e di venti, sabato scorso a Massa. Le parole erano quelle dei miei libri Anemos e Thalassa, lette con passione da Anna. Le note suggerite da Luca, Nicola e Antonio erano quelle delle loro canzoni, tratte dallo spettacolo Gocce. I quadri esposti erano di Mafalda Pegollo.
Un pomeriggio di luce e racconti, organizzato con passione dall'associazione Briciole a cui va il mio sentito ringraziamento.

mercoledì 12 ottobre 2016

Incontri









Sabato prossimo, 15 ottobre 2016 alle 17,30, sarò a Massa, invitato dal Circolo Briciole, nell'ambito del ciclo di incontri "Un libro da ... vivere", per presentare i miei due libri mediterranei: Anemos e Thalassa.
Dialogherà con me Antonio Bodini, un ecologo appassionato, e verranno presentate delle letture dai due libri, accompagnate da musiche dal vivo.

In omaggio agli amici tirrenici pubblico un breve racconto del più toscano dei venti, il Libeccio, oltre alla bellissima Libecciata di Giovanni Fattori che accompagna questo post.

Vengono da lontano le onde alzate dal Libeccio, che si frangono contro le scogliere di Portovenere, di Punta Mesco e di tutto il Levante ligure. Montano in un canale d’acqua sgombro da terre, di oltre seicento miglia, che si apre tra le grandi isole tirreniche e l’arcipelago delle Baleari.  Questo lunghissimo fetch, anomalo per i brevi spazi mediterranei, permette al Libeccio di alzare onde inusuali, di scatenare violente burrasche. Pericolose Libecciate, di cui ogni marinaio ha ascoltato il racconto o vissuto esperienza.
Libecciate magistralmente dipinte sulle rive toscane da Giovanni Fattori. In un suo celebre olio di piccolo formato, vediamo una spiaggia desolata con alberi e arbusti sferzati dal vento; sullo sfondo un mare in cui il blu ha lasciato il posto ai bianchi e ai grigi della burrasca. Le macchie di colore di Fattori restituiscono quelle di luce, portate al massimo contrasto dalle nuvole spinte dal Libeccio, nel paesaggio costiero livornese. Tutto nella tela, a cominciare dal formato orizzontale, restituisce la selvaggia forza ancestrale delle Libecciate. Nel primo Novecento agli occhi di Giacomo Balla, la furia dello stesso vento, con i suoi effetti sui cieli e sulle acque evoca una vera e propria Futurlibecciata, esplosione di onde, colori e forme.
Il Sudovest è poeticamente narrato da Eugenio Montale, che ne restituisce le tormentate inquietudini. Le vecchie mura de La casa dei doganieri sono battute dal Libeccio, sullo strapiombo della scogliera. Il vento scompiglia l’orientamento della bussola, il calcolo dei dadi, la banderuola del camino, il filo dei ricordi.

Tratto da Anemos. I venti del Mediterraneo (2012; Ed. Mursia)


venerdì 30 settembre 2016

Anemofilia


Nika Furlani - Burja 4


Il vento si può fotografare? Credo di sì, così come io provo a raccontarlo, penso che lo si possa fotografare, filmare e dipingere, ma aggiungerei anche scolpire, suonare e cantare. Perché se, come ci hanno insegnato i greci, il vento è anemos, allora anche la sua rappresentazione è dentro ognuno di noi.

A proposito di fotografia, a Trieste in questi giorni, dal 30 settembre  al 9 ottobre, è possibile vedere i lavori dedicati al vento di 40 fotografi italiani, invitati dagli organizzatori della Barcolana a raccontare il vento con alcuni dei loro scatti. Il catalogo è scaricabile online e le foto saranno battute all’asta alla fine della mostra. Il ricavato sarà devoluto in beneficenza all’Irccs Burlo Garofolo di Trieste, un dono in occasione dei 160 anni dell’ospedale materno-infantile del Friuli Venezia Giulia.

Per questo post, dal catalogo ho scelto due foto molto diverse, ma entrambe capaci di restituire l'incanto del quotidiano, sempre che si sia disposti a farsi distrarre dal vento, come da tutti gli altri accidenti atmosferici.

Buon vento e buona visione!


Isabella Balena - L'Aria, Milano. 2004

domenica 18 settembre 2016

Alieutica

Hanno un fascino antico i volti dei pescatori, anche quelli di oggi.
Italiani, albanesi o magrebini che siano, sono tutti accomunati da un mestiere duro che, in un tempo come il nostro in cui tutto sembra smaterializzarsi, è ancora in strettissimo rapporto con gli elementi naturali, con le onde e le correnti, con il sole e con la pioggia.
Venerdì scorso ne ha scritto Nicola Lagioia su Repubblica, prendendo spunto da un lavoro fotografico di Pietro Martinello che è in mostra in questi giorni al PhEST di Monopoli. Il reportage s’intitola “I Gladiatori di Nettuno”  ed è il risultato della sua residenza artistica nella città pugliese, dove  ha lavorato con la comunità dei pescatori che conserva alcuni elementi identitari più forti.

martedì 6 settembre 2016

Storie di mosconi e pattini

Di seguito trovate la mia lettera, pubblicata oggi sul Corriere Romagna, con una riflessione sul significato dell'appello "In difesa del moscone" e con una proposta concreta.

Con grande piacere e fiducia nei giorni scorsi ho letto le dichiarazioni del Comune di Rimini in risposta alla nostra lettera aperta “In difesa del moscone”. Ho colto con soddisfazione la consapevolezza che il moscone è un simbolo, permettendomi di precisare solo che lo è innanzitutto della cultura del mare e poi dell'offerta balneare. Una puntualizzazione necessaria, anzi il punto di partenza direi per avviare una discussione volta a trovare una soluzione al problema che veda in campo i rappresentanti economici, le istituzioni ma anche la società civile, che difende la libertà del mare e delle spiagge, beni comuni inalienabili. Perché la battaglia in difesa del moscone è parte di una più grande visione sull'uso non esclusivamente balneare delle coste. Convinti per altro che il futuro economico del turismo non potrebbe che beneficiare della valorizzazione di tutte le attività marinaresche: il nuoto, il surf, il remo (dall'antico moscone al moderno sup) e la vela (dalla battana alla deriva, dal windsurf al kite), senza dimenticare la pesca, professionale e ricreativa.
Ma per tornare alla concretezza, che è dei marinai, circa le soluzioni alla querelle mosconi, provo a sintetizzare alcune proposte. In primis credo si debba pensare non a una, due o tre aree dedicate, ma a una più diffusa presenza, se si concorda sul fatto che il moscone caratterizza la nostra spiaggia, al pari di tende, ombrelloni e lettini. La situazione sarebbe più ordinata e facilmente controllabile dalle autorità se fissassero in maniera chiara il numero dei posti e le zone dedicate, assegnando ai proprietari dei mosconi (e solo dei mosconi esclusivamente a remi) un numero di matricola, previa domanda scritta da farsi in Capitaneria, sulla falsa riga di quello che avviene già per la pesca ricreativa con le nasse o nella Laguna di Venezia con le “targhe” LV.
Questi sono ovviamente solo degli spunti per una più ampia riflessione, foriera di soluzioni già a partire dal prossimo anno, certi che come andiamo tranquillamente in piazza con la bici vogliamo andare altrettanto tranquillamente in spiaggia con il moscone, con sul cannone o sul prendisole una morosa, una moglie o una figlia.

sabato 3 settembre 2016

Storie di mosconi e pattini

Questa è una storia contemporanea, perché nei giorni scorsi a Rimini è partita una battaglia culturale "In difesa del moscone", una barchetta ecologica ed economica che ha fatto la storia della città e di tutte le spiagge italiane.

Proprietari e appassionati chiedono alle Autorità competenti di rivedere le Ordinanze Balneari, al fine di consentire l’uso, l’ormeggio e il rimessaggio dei mosconi e di tutti i piccoli natanti a remi.

Per chi volesse saperne di più e partecipare al dibattito c'è una pagina Facebook "In difesa del moscone".

Tra il serio e il faceto pubblico questo "Manifesto del mosconiere", che al pari del gondoliere a Venezia, è stato e vorrebbe continuare ad essere uno dei protagonisti della vita balneare italiana.

Manifesto del mosconiere

Premesso che il moscone è la barca più popolare della tradizione balneare:
1. Noi vogliamo remare liberamente in mare.
2. La voga è il nostro esercizio quotidiano.
3. Remando esaltiamo la relazione dell’uomo con il mare e il cielo, con le onde e i venti.
4. Andando al largo ritroviamo il piacere della solitudine e del silenzio, del tuffo e del nuoto.
5. Noi siamo insieme il passato, il presente e il futuro di un modo divertente ed ecologico di andar per mare.

lunedì 29 agosto 2016

Insulomania

Ci sono isole circolari o ellittiche, lineari o frastagliate. Alcune hanno forme bizzarre, di pesci, farfalle e altri cento animali fantastici. L'isola di Capraia è una mandorla di pietra, una forma che, come insegna il mito, è il frutto dell'intersezione di due mondi, quello spirituale e quello materiale, a cui si aggiunge l'altrettanto pertinente allegoria dell'eterna rinascita della natura.

CAPRAIA

Sono tante le isole legate indissolubilmente alla storia di un uomo o di una donna, di uno scrittore o di un condottiero. Legami mitici, come quelli delle dee isolane incontrate da Odisseo, il primo degli insulomani, legami letterari come quello tra Caprera e Giuseppe Garibaldi, tra Procida ed Elsa Morante, tra Montecristo e Alexandre Dumas, legami storici come quello tra Elba e Napoleone o tra Capraia e Dragut. Se sulla più grande delle isole dell'Arcipelago Toscano la vicenda napoleonica si svolse nell'arco di qualche mese, ed è molto nota, quella corsara sull'isola di Capraia durò solo qualche giorno, ed è meno conosciuta anche se le sue tracce non sono meno profonde. Innanzitutto il drammatico assedio del 1540, con decine di morti, seguito dalla cattura e dalla deportazione di gran parte della popolazione. Questi ultimi fortunatamente ritrovano la libertà dopo pochi giorni, per intervento dei genovesi che realizzarono poi imponenti fortificazioni, tra cui il Forte di San Giorgio, che ancora oggi mantiene vivissimo il ricordo di Dragut e del pericolo corsaro. Il Forte, realizzato sulle rovine del Castrum Capraie, segnò anche la definitiva conquista dell'isola da parte dei genovesi, che dopo secoli di contesa, in primis con Pisa, l'avevano presa nel 1506. In quel lontano 1540 la lenta storia dell'isola accelerò bruscamente, perché nel giugno si svolsero i tragici avvenimenti dell'assedio, dello sbarco, dei massacri, del rapimento e della successiva liberazione, avvenuta in Corsica per intervento di Giannetto Doria, che riuscì anche a catturare il luogotenente di Barbarossa, corsaro alleato dei Francesi. Poi, già a settembre dello stesso anno, i genovesi diedero inizio ai lavori di costruzione, a partire dal Bastione di Scirocco. Da quell'anno il forte divenne rifugio prezioso e simbolo, ben visibile dal mare. Ancora oggi, malgrado i crolli ottocenteschi, la sua forza rimane intatta ed è punto di riferimento per chi fa rotta sul porto.
...

L'articolo completo è pubblicato sul mensile BOLINA di maggio 2016

lunedì 8 agosto 2016

Venerdì di magro


In memoriam dello storione

Oggi la parola storione evoca un pesce esotico da cui si ricava la più raffinata e costosa delle ghiottonerie russe: il caviale. Ed effettivamente gli storioni, al plurale, perché numerose sono le specie, sono molto diffusi nei mari e nei fiumi dell’oriente europeo, dove esiste anche una consuetudine di pesca e cucina. Nell’Enciclopedia Treccani del 1936 si legge che “Gli storioni sono molto ricercati per le loro carni pregiate, per le uova con cui si confeziona il caviale, per la vescica natatoria che dà la colla di pesce o ittiocolla. Particolarmente ricca è la pesca di questi Ganoidi nei fiumi della Russia, principalmente in quelli che si versano nel Mar Nero e nel Caspio (Volga); in Russia si ha la maggiore produzione di caviale”.

La stessa prosegue evidenziando che “In Italia gli storioni sono ancora frequenti nel Bacino Padano e nei fiumi della Pianura Veneta. Mentre un tempo erano relativamente frequenti nel Tevere, ora vi compare qualche individuo soltanto eccezionalmente.”. Purtroppo anche in Adriatico e nei fiumi immissari sono quasi scomparsi e così gli storioni sono spariti dalle pescherie. In passato invece erano pesci comuni e prelibati. La loro abbondanza e qualità è testimoniata anche dalle innumerevoli ricette proposte nel Cinquecento dal libro di Giovanni Battista Rossetti, dove lo storione è di gran lunga il più citato dei pesci. Le carni si cucinavano fritte, stufate, in potaggio, arrosto, accarpionate, ma altrettanto deliziosi erano i piatti con fegato, uova e addirittura con il budello. Quello di Rossetti è un vero e proprio inno luculliano allo storione.

Continua sul mio blog Venerdì di magro su La Stampa - Mare

martedì 19 luglio 2016

Velabondismo

Tempo d'estate, tempo di velabondismo o campeggio nautico o yachting camping o dinghy cruising. Tante definizioni per un'unica passione: una piccola vela, per un grande orizzonte. La vela è quella di una deriva, l'orizzonte è quello marino, lagunare o lacustre. Tre alternative di cui è ricchissima la nostra amata Penisola.

Ma il campeggio nautico in Italia è praticato pochissimo per diversi motivi. Probabilmente innanzitutto perché manca una vera e propria cultura del mare, per una vela che non sia solo sportiva o per forza fatta con grosse barche. A ciò si aggiunge la privatizzazione delle coste, spesso a fini esclusivamente balneari. Su Bolina di giugno, raccogliendo le sollecitazioni di diversi lettori, ho provato a fare il punto della situazione, con un'idea molto concreta, a costo zero. Di seguito trovate una parte dell'articolo. Buon vento ... ovviamente con barca minima e rotta massima!

Il campeggio nautico è una nobile e nuova forma di nomadismo. Un nomadismo ludico, ma non per questo meno importante per rimetterci in stretto contatto con la natura. Ha comunque oltre un secolo di storia, anche considerando solo il viaggio di John MacGregor, narrato in “Un migliaio di miglia con la canoa Rob Roy”, pubblicato nel 1866. Senza dimenticare che il campeggio nautico è una rinnovata pratica di cabotaggio costiero, di cui l'Odissea è il più antico racconto.
Oggi il campeggio nautico, a vela o a remi, non è solo un'attività per romantici vagabondi o per impenitenti spartani, ma un'occasione concreta per diffondere una cultura marinaresca e per rilanciare una “altra economia” del mare. Così come la deriva non è solo una barca per regatanti, ma un piccolo-grande mezzo di viaggio, lento, faticoso, appassionante ed ecologico, al pari della bicicletta. Purtroppo però in Italia il campeggio nautico è fortemente osteggiato e dei piaceri della deriva, non esclusivamente agonistici, si è quasi persa memoria. Eppure anche in Italia è esistito un tempo in cui non solo le “spiagge erano piene di beccaccini, dinghy e mosconi”, come ci ha ricordato su queste pagine Cino Ricci, ma venivano pubblicati manuali dalle più importanti case editrici a firma di Franco Bechini e Antonio Fulvi. Nel 1972 addirittura il Touring Club Italiano lanciò un concorso con un milione di lire di premio, per una barca ideale per la crociera-campeggio. Certamente lontani sono quegli anni e quello spirito un po' hippy, ma immutate rimangono le potenzialità offerte dalle esperienze di velabondismo o yachting camping o dinghy cruising, come lo chiamano gli anglosassoni. Una deriva ha costi contenuti, di acquisto e gestione; enormi sono invece gli orizzonti acquei da esplorare, considerando anche la facilità con cui si può trasportare con una piccola auto. Perché con una deriva si può bordeggiare in mare e in lago anche a pochi metri dalla riva, senza dimenticare delta e lagune, luoghi meravigliosi e selvaggi. Se poi al piacere della veleggiata si aggiunge anche quello della scoperta a terra e della notte in tenda o all'addiaccio, allora siamo entrati nel meraviglioso mondo del campeggio nautico. Un'esperienza, quella della vita all'aria aperta che è in grande rilancio, a partire dal cicloturismo e dall'escursionismo, e muove anche un'importante “altra economia” turistica.
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Così come nei porti e nei marina ci dovrebbero essere il 10% dei posti riservati al transito, perché non ce ne dovrebbero essere altrettanti nelle centinaia di circoli e cantieri nautici che hanno aree in concessione demaniale lungo le spiagge? Una misura che potrebbe essere discussa prima con tutti i soggetti privati e pubblici coinvolti, per essere poi normata semplicemente all'interno delle ordinanze balneari emanate dalle regioni. Spazi e strutture minime ci sono già, andrebbero solo definite modalità ed eventuali costi, in linea con quelli dei servizi offerti dai campeggi. Per i circoli che aderissero a un progetto di rete sul campeggio nautico, si potrebbero prevedere anche degli sgravi fiscali sui canoni d'affitto delle concessioni demaniali o di altre tasse che comunque gravano sui loro bilanci.
Ma tralasciando possibili e necessari approfondimenti normativi, per iniziare questa prassi virtuosa d'ospitalità, basterebbe che i circoli mettessero volontariamente a disposizione anche solo 4 o 5 posti per derive in transito, con la possibilità di campeggiare in spiaggia e usufruire dei servizi igienici.
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Sempre su BOLINA di giugno 2016 troverete un'ampia panoramica sulle piccole derive che si possono facilmente caricare sul tetto di un'auto.




mercoledì 22 giugno 2016

Bernard Moitessier, la puntata di Wikiradio riascoltabile in podcast

Sul sito di Wikiradio è disponibile gratuitamente il podcast del racconto di Bernard Moitessier, lo “yogin di Capo Horn”, riprendendo le parole dell’amico e velista Alain Colas.

Di seguito trovate proprio un frammento del racconto relativo all'epico abbandono dalla prima regata in solitario intorno al mondo la Golden Globe Race, partita nell'agosto del 1968. Un abbandono che sarà per Moitessier una seconda partenza, per un altro mezzo giro del mondo e per un'esperienza ancora più lunga.

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Il francese, che aveva già una grande esperienza di navigazione oceanica e godeva di una certa notorietà, anche grazie a due suoi fortunati libri, aveva deciso di abbandonare il 1 marzo 1969. Aveva già doppiato Capo Horn, stava risalendo l'Oceano Atlantico ed era in testa alla regata con un grande vantaggio.
Abbandonò! rinunciando alla vittoria, alla fama e ai premi.
“Ho rimesso la prua verso il Pacifico. La notte scorsa è stata penosa; mi sentivo male, veramente, all'idea di rientrare in Europa. Ero fiaccato fisicamente da Capo Horn e la forza d'animo era scesa per la stessa china, quando avevo deciso di abbandonare.”
… e poi più avanti scrive...
“Il fatto di voler raggiungere Thaiti senza scalo è rischioso. Ma il rischio sarebbe molto maggiore verso nord. Più mi avvicinerò, peggio starò. Se non reggo … verso il Pacifico, ci sarà sempre un'isola, da qualche parte” .
Invece ci riuscì e quell'approdo fece scalpore, non solo in Inghilterra e in Francia, nazioni da sempre particolarmente attente alle vicende marinaresche, ma anche in Italia.
“A Tahiti dopo 300 giorni di navigazione solitaria” titola il Corriere della Sera del 23
giugno 1969.
“Il “francese solitario” è arrivato a Thaiti”, si legge negli stessi giorni su La Stampa.
Di Moitessier i quotidiani si erano già occupati nel marzo precedente, riportando la notizia del suo abbandono, anche con titoli allarmistici.
“La moglie del navigatore  teme che sia impazzito”, si legge sul Corriere della Sera del 21 marzo 1969.
Un titolo che comunque rispecchia l'inquietudine di Francoise, anche in relazione al fatto che il marito aveva rinunciato ad imbarcare la radio offerta gratuitamente dal Sunday Times.
Preferiva lanciare messaggi in tubetti d'alluminio con la sua fedele fionda , sui ponti delle navi che incontrava.
In quello più noto, comunicava al Sunday Times la sua decisione:
“Continuo senza scalo verso le isole del Pacifico perché in mare sono felice e forse anche per salvarmi l'anima”
 Francoise poteva immaginare questi pensieri, avendo condiviso con Bernard, qualche anno prima, una altrettanto lunghissima navigazione attraverso due oceani, doppiando Capo Horn, senza scali intermedi, su cui torneremo più avanti. Perciò Francoise conosceva bene anche il Bernard marinaio e la sua irresistibile attrazione per la bellezza dei Mari del Sud e per il misticismo dei tre grandi Capi .
Comunque sia, nel 1969, lo “yogin di Capo Horn”, come lo chiamava l'amico velista Alain Colas ,  ritroverà a Thaiti tutti i problemi, i conflitti, le contraddizioni dell'Europa a cui non aveva voluto fare ritorno.
Problemi a cui dedica le ultime pagine del suo terzo libro “La lunga rotta”, quando sveste i panni del marinaio per mettere quelli dello scalzacane, dell'hippy, del vagabondo, dell'ecologista che, riprendendo le parole di John Steinbeck, invita l'uomo a farsi carico delle sue responsabilità verso la Natura .
Moitessier il solitario, Moitessier il sognatore, Moitessier l'eterno ragazzo del maggio francese.
A Thaiti combatte le stesse battaglie ambientali degli Amici della Terra  di Parigi.
Per non idealizzare troppo l'uomo, ci vengono in aiuto le parole della moglie Francoise che durante la lunga rotta era rimasta a casa con i tre figli.

Bernard “aveva il tempo di immergersi in altri mondi, più “poetici”, nelle nuvole delle sue erbe … evidentemente, dopo aver vissuto tra il cielo e il mare per 303 giorni, in una solitudine e un'immensità assolute, lo si poteva capire: non era riuscito a tornare con i piedi per terra ...”

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lunedì 20 giugno 2016

Bernard Moitessier a Wikiradio

Domani, 21 giugno 2016, alle 14 su Wikiradio, la libera enciclopedia di Radio 3, la vita e le avventure di Bernard Moitessier, un racconto che parte proprio dalla data. Il 21 giugno 1969 Moitessier arrivò a Thaiti dopo 303 giorni di navigazione in solitario intorno al mondo. Una "lunga rotta" che divenne un libro culto per tutti coloro che innanzitutto guardano ancora il mare come uno spazio di libertà.


giovedì 16 giugno 2016

Bernard Moitessier, un racconto radiofonico

















Un mito della vela, un inguaribile sognatore, un poeta del mare 
Bernard Moitessier
Raccontato da Fabio Fiori

WIKIRADIO - Rai Radio 3
Martedì 21 giugno 2016 - ore 14:00 - 14:30

Radio FM - Online - Digitale Terrestre
Podcast Rai Radio 3 – WIKIRADIO

Il 21 giugno 1969 Bernard Moitessier arriva a Tahiti, dopo 303 giorni di navigazione in solitario senza scalo, in cui percorse 37.000 miglia cioè quasi 70.000 chilometri, doppiando due volte i capi di Buona Speranza e Leeuwin e una volta il mitico Horn.
A partire da questa data storica, non solo per la vela ma, più in generale, per l'avventura dell'uomo, si snoderà il racconto radiofonico di Fabio Fiori dedicato alla vita, alle navigazioni e ai libri di Bernard Moitessier, un mito della vela.
Il francese era partito il 22 agosto del 1968 da Plymouth nel sud dell'Inghilterra, per partecipare alla prima regata in solitario intorno al mondo, la Golden Globe Race, organizzata dal quotidiano britannico Sunday Times. Alla partenza della regata si presentarono in nove, tra cui l'inglese Robin Knox-Johnston, che alla fine fu il vincitore e l'unico a completare la circumnavigazione del Globo in 313 giorni. Ma altrettanto o forse ancor più eclatante fu la notizia dell'abbandono di Bernard Moitessier che il 1 marzo 1969, quando stava risalendo l'Oceano Atlantico in testa alla regata con un grande vantaggio, rinunciò alla vittoria, alla fama e ai premi. Rimise la prua verso il Pacifico per approdare infine a Thaiti. Una scelta esistenziale dolorosa ma necessaria che riassunse nel messaggio lanciato con la fionda sul ponte di una nave che incrociò: “Continuo senza scalo verso le isole del Pacifico perché in mare sono felice e forse anche per salvarmi l'anima”.

Quella di Moitessier è una storia appassionante che si avvia nel 1925 in Indocina, dove nasce e dove fa le prime esperienze di navigazione, partendo dal suo amato villaggio posto “tra il mare e la foresta”. Ed è da quel villaggio che parte con la sua prima giunca alla scoperta degli oceani.

Una “lunga rotta” che prosegue anche dopo la sua morte nel 1994, grazie ai suoi libri e alle sue idee che continuano ad essere attualissime. Una “lunga rotta” che Fabio Fiori ripercorre sulle onde della radio, per restituire tutto il fascino di un uomo che è diventato un guru della vela, uno yogi degli oceani.

lunedì 30 maggio 2016

Vado in riva al mare, ho voglia di sognare

Si è concluso ieri sera il Bellaria Film Festival #34, con la premiazione dei vincitori. Anche quest'anno un'edizione ricchissima, sia per la qualità dei lavori cinematografici in gara che per i tanti avvenimenti collaterali, tra cui la seconda edizione di "Camera con vista. Panorama del Radiodoc italiano".

"NICOLA COSTANTINO. LA ARTEFACTA" di Natalie Cristiani ha vinto il Premio Casa Rossa Art Doc.
"IL SOLENGO" di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, "MIA MADRE FA L'ATTRICE" di Mario Balsamo hanno vinto ex aequo il ‪‎Premio Italia Doc‬.
Di questi e degli altri premiati potete leggere sulla pagina Facebook del BFF #34.



Inaspettata è stata l'introduzione sonora a questa serata conclusiva.

Buio in sala e rumori d'onde, con la voce di una piccola bambina che canta una filastrocca dedicata al mare. E' un estratto di "Il nostro mare quotidiano", l'audio narrazione che ho fatto qualche anno fa con Marco Fagotti.

Un ascolto emozionante che per me è stato un premio, di cui ringrazio il Bellaria Film Festival.






giovedì 19 maggio 2016

Il nostro mare quotidiano


Questa settimana Tre Soldi, lo spazio dedicato agli audiodocumentari di Radio Tre, mette in onda il nuovo lavoro di Marcello Anselmo, Notturni. E' un viaggio sonoro, musicale e poetico, "nel mondo originario della notte, l’assenza di luce, quel mondo biologico abituato alla luce filtrata da dove l’umano viene escluso, e vi entra soltanto grazie alla temerarietà, alla caparbietà, alla tecnica". Un percorso anche acqueo, incentrato sul binomio "mare-notte". E cosa meglio del mare in amore riesce a rinnovare l'incanto della notte? Antiche leggende, come quelle raccolte alla fine dell'Ottocento da Maria Savi-Lopez, s'intrecciano con il nostro vissuto, per proseguire un'unica lunghissima rotta. Ritroverete anche queste storie in Notturni di Marcello Anselmo, scaricabili anche in podcast.

"Nelle notti di novilunio, con il mare in amore, la mia piccola barca è una stella cadente. Lascia a poppa una traccia fosforescente; effimera sull'acqua, indelebile nei ricordi"
Thalassa. Le acque del Mediterraneo

Ps
Nella foto che accompagna il post ci sono le "due Lune" di Vieste, il faro a sinistra e Selene a destra, in una notte d'inverno.

domenica 8 maggio 2016

Il nostro mare quotidiano



In questi giorni sto rileggendo con grande piacere i libri di Bernard Moitessier, un maestro per me, come per tutti quelli che vanno per mare innanzitutto per ascoltare "l'acqua scivolare lungo lo scafo", per ascoltare la musica del mare. Anche semplicemente nei mari di casa, al di qua delle Colonne d'Ercole. Con Moitessier da ragazzo ho sognato gli oceani, come infiniti spazi d'avventura, poi con gli anni ho capito che anche il nostro mare quotidiano riserva altrettante infinite emozioni. "Uno degli aspetti meravigliosi della vela d'altura è che ti dà il tempo di portare lo sguardo lontano", scrive Moitessier nella sua appassionante autobiografia, "Tamata e l'Alleanza". Oggi posso dire che anche la vela costiera, il velabondaggio mediterraneo, ti permette di guardare lontano, a patto che si sia disposti proprio ad ascoltare la musica del mare e ad aprire tutti i nostri sensi, per cercare solo l'incanto dell'onda e del vento. Di Moitessier tutti ricordano le sue barche più celebri, le due Marie-Therese, Joshua e Tamata, con le quali ha navigato su tutti gli oceani del mondo. Ma altrettanto importanti sono state le fragili piroghe con cui ha veleggiato da bambino che, al pari delle nostre derive, gli hanno permesso d'innamorarsi del mare. "Grandi bordi nel vento del largo in compagnia dei pescatori miei maestri che affrontano i draghi del mare e del cielo a mani nude". Gli stessi draghi abitano il nostro mare quotidiano e noi continuiamo ad affrontarli a mani nude, stringendo con la destra la scotta e con la sinistra il timone.

Ps
Sto rileggendo i libri di Moitessier per preparare un racconto originale sulla sue avventure e sulle sue idee, che hanno influenzato profondamente due generazioni di marinai, di quella particolare risma che lo stesso Moitessier ha definito vagabondi o velabondi, per usare un termine che mi è caro.

domenica 24 aprile 2016

Camminare lungo le rive

Il nuovo disco dei Mau Mau, in uscita il 6 maggio, s'intitola "8000 km", una lunghezza che è quella delle rive italiane, quelle rive urbane che sono il nostro più grande bene comune. Rive marine, lacustri e fluviali accomunate dalla magia dell'incontro tra acque, terre ed arie, che ogni giorno si rinnova. Un incanto antico e popolare, un abbaglio seducente e fecondo. Offerto gratuitamente dalle rive dei mari, dei laghi e dei fiumi, come quelle della confluenza del Mincio nel Po, fermate nel controluce della copertina del disco. Senza dimenticare che è proprio sulle rive che, da sempre, uomini e civiltà s'incontrano.

Invito quindi ad ascoltare Mais l'anteprima del disco, per poi incominciare o continuare a camminare lungo le coste della Penisola. Un gesto semplice, piacevole e poetico, ma anche politico. Perché camminando lungo le rive noi ne rivendichiamo la libertà d'accesso e gli infiniti piaceri.

Come ho scritto nell'ultima pagina di Thalassa, "Cammino scalzo lungo le rive del mare, ascoltando la voce delle onde, annusando l'odore del vento, guardando l'orizzonte infinito. Mi fermo a sentire il sapore salato dell'acqua. Qualche volta trovo parole utili ad aggiornare il grande racconto del Mediterraneo".


domenica 17 aprile 2016

Incontri

"Adriatico. Le stagioni del mare"
Giovedì 21 aprile 2016, alle ore 21
Coordinamento Protezione Civile Provincia di Rimini
Rimini, via Ungheria 1

Rispondendo all'invito del Coordinamento Protezione Civile Provincia di Rimini, giovedì prossimo racconterò le stagioni adriatiche, quelle dei venti e quelle  delle acque, quelle dei pesci e quelle degli uomini.
Come tutti i racconti naturali anche quelli marini hanno una cadenza stagionale. Fernand Braudel nel suo grande affresco del Mediterraneo ha scritto: "Le note innumerevoli che ci parlano della qualità e del colore del tempo possono essere classificate senza tener conto del millesimo dell'anno: soltanto i mesi importano ed è sempre, all'incirca, la stessa storia."
Ecco, proprio alcune di queste note mensili ho riportato nel mio "Un mare. Orizzonte adriatico", appunti da cui partirò anche giovedì sera per raccontare le stagioni del mare.

lunedì 11 aprile 2016

Storie di mosconi e pattini

Si parlerà anche di pattini e mosconi, nella sessione dedicata all'etnologia, al III Convegno Nazionale di Archeologia, Storia ed Etnologia Navale, promosso e organizzato dall’Istituto Italiano di Archeologia e Etnologia Navale (ISTIAEN) insieme al Museo della Marineria di Cesenatico, che lo ospiterà il 15 e 16 aprile 2016. Gli oltre 40 interventi sono stati suddivisi in tre temi riguardanti “l'archeologia navale”, “la storia navale, storia della navigazione e arte marinaresca”, “l'etnologia navale”.

Di seguito pubblico la prima parte dell'articolo uscito oggi sul Corriere Romagna.

Cosa offriva, e che cosa potrebbe offrire ancora, il moscone? Un modo semplice ed ecologico per scoprire il mare, anche partendo dalle gremite spiagge romagnole.
Fino agli anni Ottanta del Novecento, il moscone era, e potrebbe essere ancora, la più diffusa barchetta a remi della Romagna e delle spiagge italiane. Perché è economico e facile. Costa poco acquistarlo e mantenerlo, è semplice portarlo e gestirlo. Il moscone permetteva, e potrebbe  permettere ancora, la prima esperienza marinara ai bambini, regalandogli quella “gaiezza” di cui ci parlano non solo i ricordi, ma anche le cartoline degli anni Cinquanta. Sono immagini di spiagge già affollate, non solo da tende o ombrelloni, ma anche da barche a vela e da mosconi. Erano spiagge in cui l'abbronzatura non era la sola passione, ma da cui ci avventurava verso il largo, scoprendo il mare, a nuoto, a remi e a vela. Di barche ce n'erano decine, di mosconi migliaia in pochi chilometri, come dimostra, tra le tante, anche l'immagine scelta per pubblicizzare le “Spiagge di Romagna” nel 1957. Mosconi armati sulla battigia, pronti per prendere il mare alla ricerca di acque più limpide, di atmosfere più silenziose. Ancora nel 1998 c'erano solo a Rimini 56 mosconai che gestivano un centinaio di postazioni, ognuna con decine di mosconi da affittare, allora al modico prezzo di 10.000 lire all'ora, una tariffa probabilmente inferiore a quella chiesta per un'ora di gioco in una campo da tennis. Nel volgere di qualche decennio tutto è cambiato, gli unici testimoni di quest'illustre storia rimangono i rossi mosconi dei salvataggi, ancora insostituibili malgrado ricorrenti bizzarre idee di motorizzazione. I rari, sparuti mosconi di qualche romantico appassionato, sono addirittura fuorilegge, per le discutibili disposizioni dell'ordinanza balneare regionale. Un regolamento che andrebbe quanto meno pubblicamente ridiscusso, almeno nelle norme riguardanti i natanti a remi e a vela, per contrastare la montante desertificazione delle spiagge da ogni attività marinaresca. Senza dimenticare che nelle più moderne località balneari del nord Europa, al contrario, sono state rinnovate e potenziate le basi nautiche, luoghi fondamentali per promuovere la cultura del mare, di cui in questo Paese c'è un grande bisogno. Perché Rimini, alla ricerca di una rinnovata immagine di capitale delle vacanze green, non rilancia modi più raffinati ed ecologici di vivere il mare? Anche a partire proprio dal moscone, la sua storica icona. Attenzione, non musealizzandolo o, ancor peggio, facendone un feticcio da rotonda, ma incentivando il loro ritorno sulla spiaggia, riaccendendo innanzitutto nei bambini quella voglia mai sopita di avventurarsi in mare.
Fiduciosi che anche i mosconi, così come hanno saputo fare le bici in città, riconquisteranno le spiagge, continuiamo a remare e a tenerne viva la memoria attraverso il racconto. Su queste pagine abbiamo già ripercorso la sua storia o per meglio dire alcune sue storie, visto che è giusto parlare al plurale di mosconi, pattini e patinos riprendendo le parole italiane e spagnole che lo hanno nominato al suo apparire alla fine dell'Ottocento. Ma ci era sfuggito il francese podoscaphe ritratto anche da Gastone Coubert addirittura nel 1865, quindi quasi trent'anni prima della prima apparizione della parola pattino, nel vocabolario di Policarpo Petrocchi. E' vero che la barchetta dipinta in “La Femme au podoscaphe”, come il patinos spagnolo, si differenzia dal nostro moscone per il remo a pagaia ma, per uso balneare e forma dello scafo, può essere considerato un suo predecessore. Bisogna attendere il 1916 perché il pittore Moses Levy ne ritragga uno sulla spiaggia di Viareggio, o il 1928 perché un'ospite illustre, Janos Vaszary, ne immortali uno a Rimini. Saranno poi tanti i pittori romagnoli e non che sceglieranno proprio il moscone, nei suoi molteplici usi, balneari, pescherecci o addirittura teatrali, come soggetto delle loro tele, come ci ha insegnato con competenza e passione Sergio Sermasi.

giovedì 7 aprile 2016

Velabondismo


Laguna di Grado e Marano

Se, come scrive Robert Maynard Pirsig, la montagna fisica è l'allegoria di “quella spirituale che si erge tra ogni anima e la sua meta”, allo stesso modo lo è il mare fisico, anche quello quotidiano. A patto che si sia disposti a vivere, almeno per qualche ora o magari per qualche giorno, in naturale armonia con esso. Un'armonia che non ha bisogno necessariamente dei grandi orizzonti oceanici, che si può sperimentare anche nell'esperienza minimalista del velabondaggio, fatta di piccole e grandi avversità. Avversità che invita ad affrontare il maestro de “Lo Zen e dell'arte della manutenzione della motocicletta”, per non fare come la maggior parte degli uomini che “sta a guardare le montagne spirituali per tutta la vita e non ci si avventura mai, accontentandosi di ascoltare quelli che ci sono stati”. Ma, con riferimento a una vela senza motore, di cosa stiamo parlando? Di attenzione ai venti innanzitutto, con cui dobbiamo trovare un equilibrio di rotte e tempi; di fatica ai remi, con cui occasionalmente supplire alle inevitabili bizzarrie di Eolo. Se poi si aggiungono le dolorose meraviglie delle notti sotto le stelle al fianco della barca e altri piccoli inaspettati grattacapi, ecco riassunte le avversità che chiede di affrontare un mare spirituale. Un mare di cui la laguna è il naturale prodromo, fin dalla notte dei tempi. In passato nelle lagune gli antichi si prepararono al mare; oggi nelle lagune i velabondi ritrovano spazi di inimmaginabile libertà.

Così è nella più settentrionale della lagune adriatiche, quella di Grado e Marano. Innanzitutto cerchiamo di dirimere una questione geografica. Si stratta di una o di due lagune limitrofe? Sui libri e sul web vengono tenute separate da bocca e canale di Porto Buso, che stanno circa nel mezzo di un unico spazio acqueo. Nella esperienza del marinaio è però difficile disgiungerle. Davanti alla nostra prua infatti c'è un unico labirinto terracqueo, separato dal mare da un lungo cordone sabbioso di una trentina di chilometri che va da Lignano a Grado, rispettivamente a ovest e a est, interrotto da quattro bocche maggiori segnalate da briccole. L'abitato di Marano è invece a nord di Lignano, sul margine lagunare interno. I geografi estendono l'ambiente lagunare anche alle aree limitrofe, che stanno tra la foce del Tagliamento a ovest e quella dell'Isonzo a est. Aree però inesplorabili, almeno a vela.
In questa veleggiata eravamo in due su una sola deriva a spigolo di quattro metri, varata nello squero comunale di Grado, da poco rinnovato, ampio e molto funzionale. Giorni di solstizio d'estate, quando la luce la fa da padrona.
...

Il reportage completo è pubblicato su Bolina di aprile 2016.

martedì 29 marzo 2016

Alieutica

La pesca del pesce spada, una storia millenaria

Per chi oggi naviga nelle agitate acque dello Stretto di Messina, se Scilla e Cariddi sono solo un’evocazione mitica, non mancano comunque forti emozioni, di venti e correnti, di navi e barche. Tra queste c’è l’incontro con le passarelle o più romanticamente feluche, che sono le più inimmaginabili delle barche da pesca del Mediterraneo. Se un tempo erano piccole e mosse dai remi, oggi sono grandi e motorizzate. Grande non solo lo scafo, che misura una quindicina di metri, ma soprattutto alte, altissime, sproporzionate sono l’albero d’avvistamento e il bompresso che è la passarella di lancio. Lancio di cosa? Dell’arpione per pesce spada e tonno o della fiocina per pesci più piccoli. Come? A mano da parte del lanzatore, u’ lanzaturi. All’arpione o alla fiocina è collegata una lunga cima di 300-500 metri che, una volta arpionata la preda, viene srotolata, per essere poi recuperata.
La storia della pesca del pesce spada con l’arpione è antichissima e sfruttava vedette poste su punti panoramici che informavano poi le barche da pesca che si lanciavano all’inseguimento. Secondo alcuni i bizantini usavano la galea, sostituita poi nel XIV secolo con il luntro, lungo 6-8 metri, mosso da 4-8 rematori, con un avvistatore che stava in piedi su un albero di circa 3 metri e un lanzatore a prua. Nel Cinquecento vennero introdotte le feluche, imbarcazioni ormeggiate, dotate di un alto albero per l’avvistamento. Infine nel Novecento furono le stesse feluche ad essere motorizzate e divennero le attuali passerelle.
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L'articolo completo è pubblicato sul mensile BOLINA di marzo 2016

PS
L'immagine che accompagna questo post è un fotogramma del prezioso e bellissimo documentario di Vittorio De Seta, “Lu tempu di li pisci spata”, girato negli anni Cinquanta del Novecento.

martedì 15 marzo 2016

Notizie

Sono alla XIV edizione gli Incontri del Mediterraneo, che entrano nel vivo da giovedì 17 a sabato 19 marzo, con un ricco programma di iniziative, che si svolgeranno a Riccione (RN).

Quest'anno l'attenzione ritorna sulla situazione politica, economica e culturale della sponda sud. Dopo cinque anni dalle rivolte che hanno acceso speranze in tante nazioni nordafricane, la realtà è alquanto complessa, con paesi che versano in condizioni drammatiche, a partire dalla Siria e dalla Libia. Senza dimenticare il più generale e tragico problema dei migranti. Gli organizzatori hanno così deciso di "riprendere il filo della Primavera araba, per chiederci dove siamo arrivati, soprattutto in termini di libertà, democrazia e diritti". Incontri, libri, documentari e tanta musica, per mantenere viva l'attenzione su questioni che ci riguardano da vicino, su una storia mediterranea sempre affascinante e problematica.

venerdì 11 marzo 2016

Incontri

Domenica 13 marzo 2016, alle ore 17, al Museo della Regina di Cattolica (RN), insieme a Stefano Medas, proporrò un breve percorso narrativo attraverso alcuni scrittori del Novecento che hanno raccontato il mare, da bordo. Non sono tanti, soprattutto in Italia, e questo è un  motivo in più per rileggere le loro pagine, evocative ma anche utili per la ricerca storica e antropologica, come ci spiegherà Stefano Medas.

Abbiamo scelto ovviamente Joseph Conrad, che rimane un imprescindibile riferimento, e tre italiani accomunati dall'aver navigato anche su barche da lavoro: il veneto Giovanni Comisso, il livornese Mario Tobino e il romagnolo, almeno d'adozione, Dino Brizzi.

Qui anticipo che rileggendo alcune pagine di Brizzi, ho ritrovato/ricordato una sua bellissima testimonianza legata alla relazione dei marinai con gli elementi naturali, in primis il vento. "Ci dà vento", che abbiamo scelto come titolo per l'incontro, è un modo di dire, bellissimo e antichissimo, che è e sarà sempre, almeno per me, anche un invito a prendere il mare.

ps
L'immagine di questo post è tratta dalla copertina del libro di Riccardo "Dino" Brizzi, "Vele al terzo. Attrezzatura, manovre, gente, battelli e vele dal Tavollo al Rubicone", pubblicato nel 2002 proprio dal Museo della Regina, che ci ospiterà domenica.


giovedì 3 marzo 2016

Incontri










"Ci dà vento. Racconti di mare da Conrad a Brizzi"
Domenica 13 marzo 2016, alle ore 17
Museo della Regina di Cattolica (RN)
Via Pascoli 21a
Fabio Fiori e Stefano Medas

sabato 20 febbraio 2016

Predrag Matvejevic - Candidatura al Nobel

Ho avuto la fortuna non solo di conoscere Predrag Matvejevic leggendo il suo libro capolavoro, Breviario mediterraneo; e questo sarebbe già sufficiente. Ma ho scambiato direttamente con lui, per quindici anni, idee e letture. Soprattutto non dimenticherò mai quella sua prima cartolina di Mostar che mi inviò da Roma. Triplo fu allora il mio stupore, in primis perché, avendo letto e apprezzato alcuni miei articoli sull'Adriatico, mi invitava a proseguire il lavoro. Ma anche quella doppia geografia che la cartolina riassumeva. Mostar, la città natale, e Roma, una delle città adottive, nel suo lungo asilo/esilio, riprendendo il titolo di un altro suo libro.

Oggi Predrag sta male e ha bisogno del nostro aiuto. Come? Innanzitutto sostenendo l'appello alla sua candidatura al Nobel, che ho scritto insieme ad altri amici ed estimatori, tra cui Pino Aprile e Nicolò Carnimeo. E' stata pubblicata questa mattina su diversi quotidiani, la Gazzetta del Mezzogiorno, il Corriere Romagna, il Secolo XIX.

Chi vuole sottoscrivere la lettera può scrivere una mail a nobelpermatvejevic@gmail.com indicando nome cognome e qualifica. Qualora lo si desideri si può aggiungere un pensiero che si farà recapitare allo scrittore.

LETTERA DI CANDIDATURA AL NOBEL DI PREDRAG MATVEJEVIC

Predrag Matvejevic è la sintesi dell'Europa, anche dell'Est, che si riconosce nel Mediterraneo e nella sua storia: nella sua vita, nella sua famiglia, nella sua opera letteraria e politico-letteraria, ai tempi della cortina di ferro, si ritrovano quasi tutte le etnie, le religioni, le nazionalità e le culture che oggi come ieri, qualcuno vuole trasformare in ragione di conflitto. Tutta l'opera di Matvejevic, ma in particolare il suo impareggiabile Breviario Mediterraneo, ripercorre quelle differenze presunte, mostrandone, come forse nessuno ha fatto, oltre lui e Braudel, quanto siano nostre, di tutti; mutandole, così, in ragioni di convivenza, arricchimento, scambio.
Ma, soprattutto, a Matvejevic si deve una concezione poetica altissima, che fonde la sua capacità di sentire con quella di capire i luoghi e le genti della sua Europa: egli ha elaborato la teoria della “geopoetica”, intendendo che sono i luoghi, sedimentando storia e sentimenti di tanti popoli, che emanano poesia; i poeti non la creano, quindi, ma semplicemente, con la loro maggiore sensibilità, la colgono e la “traducono” con i loro versi, mettendola a disposizione degli altri.
L'immensa modestia di Predrag ne nasconde il valore. La modestia è una grande virtù; portata all'esagerazione, è un delitto, perché danneggia il bene.
I fatti di questi giorni, e più in generale di questi anni, rendono tragicamente attuale l'ammonimento di Predrag Matvejević: “sono immense le incongruenze che hanno contrassegnato le diverse civiltà e culture del Mediterraneo, vecchie e nuove” e continua aggiungendo che “lo tradiamo accostandoci ad esso da punti di vista eurocentrici”. Perciò rimane di grande attualità, diremmo obbligatoria per tutti coloro che hanno a cuore una pacifica e fruttuosa convivenza mediterranea, la rilettura di Mediteranski Brevijar, pubblicato nel 1987 in serbo-croato e tradotto poi in francese, italiano e in tante altre lingue. In quei lontani anni Ottanta, gli occhi europei erano tutti rivolti a est, dimentichi del sud, che per l'Europa corrisponde con il Mediterraneo, “il mare della vicinanza”. Una vicinanza che per non rivelarsi conflittuale, deve praticare l'ascolto e accettare la convivenza nella diversità, storica, politica e religiosa. Questo è innanzitutto il primo insegnamento di Mediterraneo. Un nuovo breviario. Ma ancora dieci anni dopo, al Collège de France, malgrado la caduta del Muro, le tragedie balcaniche e l'esodo albanese, Matvejević ribadiva inascoltato che “L'immagine che ci offre il Mediterraneo non è affatto rassicurante”, invitando perciò tutti a conoscere e valorizzare “modi di essere e maniere di vivere comuni o avvicinabili, a dispetto delle scissioni e dei conflitti”.
Può essere sufficiente un libro per candidare al Nobel l'autore? Noi crediamo di sì.
Ma se ciò non bastasse, allora aggiungiamo il valore letterario e culturale, antropologico e storico, di tutti gli altri suoi libri, tra cui ci limitiamo a ricordare: Epistolario dell’altra Europa, Mondo Ex: confessioni, Tra asilo ed esilio. I titoli sono già sufficienti per riassume la tensione morale di Matvejević, volta alla comprensione dell'alterità culturale. In ultimo, Pane nostro, può essere letto anche come un manifesto della condivisione del più necessario e sacro degli alimenti dell'uomo.
Avanziamo perciò la candidatura al Premio Nobel per la Letteratura a Predrag Matvejević, nato a Mostar e cresciuto sulle rive del Mediterraneo che ha magistralmente narrato, guardando con grande attenzione e sensibilità genti e culture dei tre continenti che lo bagnano.