Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

giovedì 26 settembre 2013

Biblioteca di mare e di costa

“L'arte dei remèri. I 700 anni dello statuto dei costruttori di remi” (Aa. vv. - a cura di Giovanni Caniato, Cierre Ed., Verona; pp 276, € 23,00) è una vera e propria summa della storia di remi, rematori e remèri di Venezia, una delle più durature e illustri capitali mediterranee del remo. Il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 2007, proprio in occasione dei 700 anni dello statuto della Mariegola dei Remèri, cioè della confraternita dei costruttori di remi, che venne ratificato il 15 settembre 1307. Un approfondito excursus storico e tecnico su questo strumento, per secoli indispensabile, perciò oggetto di attenzione e addirittura di venerazione, insieme al suo fondamentale complemento: la forcola. Forcole che a Venezia, a bordo delle gondole, sono diventate oggetti d'arte di straordinaria bellezza. Non a caso il libro è dedicato a Giuseppe Carli (1915-1999), “maestro ineguagliabile e artefice del riscatto dei remèri ottenuto elevando la fórcola a oggetto ricercato per le sue qualità plastiche oltre che funzionali”. Nel libro vengono affrontati tutti gli argomenti legati alla storia, alle caratteristiche e alla produzione di remi e forcole, dall'età dell'oro medievale fino alle creazioni dell'ultima “generazione di remèri”, tra cui quelle di Saverio Pastor che alla metà degli anni Settanta del Novecento impararò il mestiere andando a bottega proprio da Giuseppe Carli. Per secoli il legname necessario alla costruzione veniva dai boschi alpini e balcanici. Importantissimo è quello del Cansiglio che tra Cinquecento e Seicento riforniva di ottimo faggio la Serenissima. Da qui provenivano stele da remo  per ogni tipo di imbarcazioni, dalla grande galeazza che aveva remi lunghi 15 metri al piccolo copano, armato con remi di 6 metri. Grande attenzione è posta anche all'evoluzione recente dei materiali di costruzione, cioè dalle stèle de faghèr ai remi in lamellare. Da una cinquantina d'anni il faggio è sostituito con il ramino, essenza orientale, più rigida e leggera. Luigi Divari invece propone un testo dedicato alla voga sulle barche da pesca, corredato da suoi suggestivi acquarelli.
Il libro si chiude con un dettagliato elenco ragionato dei luoghi della memoria,ossia di tutte quelle istituzioni che a vario titolo, in tutta Italia, conservano oggetti, immagini, memorie dei remi e delle barche su cui erano armati.

Articolo pubblicato sul Corriere Romagna di lunedì 22 settembre 2013

giovedì 12 settembre 2013

Insulomania

FAVIGNANA

Se nella fortunata allegoria cartografica di Tiziano Scarpa, Venezia è genericamente un pesce unito alla terraferma da quella sottile lenza che è il Ponte della Libertà, Favignana è precisamente un tonno libero nel Canale di Sicilia. Precisamente se non si considera la forma, che normalmente viene paragonata a una farfalla, ma la storia. Infatti, benché tante isole mediterranee siano legate a questo straordinario pesce, nessuna lo è stata per secoli in maniera quasi esclusiva e fortemente pervasiva come Favignana. Ma prima di dilungarsi necessariamente sul tonno, non dimentichiamo la corografia. Favignana è l'isola principale dell'arcipelago delle Egadi che si completa con Levanzo, Marettimo e gli scogli di Formica e Maraone.
L'isola offre anche tanto altro, prodotti e storie, di ieri e di oggi. Di grande suggestione è Cala Rossa, un'insenatura “cubista”, realizzata nel corso dei millenni con gigantesche fatiche umane. Lì i cavatori, tagliando blocchi di tufo, hanno trasformato le curve linee della natura in geometriche spezzate. Straordinari sono anche gli antichissimi graffiti, e le successive figure nere, della Grotta del Genovese di Levanzo. Scoperti  alla metà del Novecento, risalenti a circa 10.000 anni fa, ritraggono figure di animali e uomini. Più numerosi e variegati i primi; specie bovine, cervine ed equine, che nella apparente semplicità del tratto restituiscono la primitiva potenza animale e la conseguente venerazione umana. Una preghiera che, sempre nelle rappresentazioni rupestri, si recita con una danza tribale.

Un rituale che l'insulomane rinnova bordeggiando sull'acqua, disegnando evanescenti graffiti, cancellati inesorabilmente dall'onda e dal vento.

L'articolo completo è pubblicato sul numero di settembre 2013 di BOLINA