Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

lunedì 29 agosto 2016

Insulomania

Ci sono isole circolari o ellittiche, lineari o frastagliate. Alcune hanno forme bizzarre, di pesci, farfalle e altri cento animali fantastici. L'isola di Capraia è una mandorla di pietra, una forma che, come insegna il mito, è il frutto dell'intersezione di due mondi, quello spirituale e quello materiale, a cui si aggiunge l'altrettanto pertinente allegoria dell'eterna rinascita della natura.

CAPRAIA

Sono tante le isole legate indissolubilmente alla storia di un uomo o di una donna, di uno scrittore o di un condottiero. Legami mitici, come quelli delle dee isolane incontrate da Odisseo, il primo degli insulomani, legami letterari come quello tra Caprera e Giuseppe Garibaldi, tra Procida ed Elsa Morante, tra Montecristo e Alexandre Dumas, legami storici come quello tra Elba e Napoleone o tra Capraia e Dragut. Se sulla più grande delle isole dell'Arcipelago Toscano la vicenda napoleonica si svolse nell'arco di qualche mese, ed è molto nota, quella corsara sull'isola di Capraia durò solo qualche giorno, ed è meno conosciuta anche se le sue tracce non sono meno profonde. Innanzitutto il drammatico assedio del 1540, con decine di morti, seguito dalla cattura e dalla deportazione di gran parte della popolazione. Questi ultimi fortunatamente ritrovano la libertà dopo pochi giorni, per intervento dei genovesi che realizzarono poi imponenti fortificazioni, tra cui il Forte di San Giorgio, che ancora oggi mantiene vivissimo il ricordo di Dragut e del pericolo corsaro. Il Forte, realizzato sulle rovine del Castrum Capraie, segnò anche la definitiva conquista dell'isola da parte dei genovesi, che dopo secoli di contesa, in primis con Pisa, l'avevano presa nel 1506. In quel lontano 1540 la lenta storia dell'isola accelerò bruscamente, perché nel giugno si svolsero i tragici avvenimenti dell'assedio, dello sbarco, dei massacri, del rapimento e della successiva liberazione, avvenuta in Corsica per intervento di Giannetto Doria, che riuscì anche a catturare il luogotenente di Barbarossa, corsaro alleato dei Francesi. Poi, già a settembre dello stesso anno, i genovesi diedero inizio ai lavori di costruzione, a partire dal Bastione di Scirocco. Da quell'anno il forte divenne rifugio prezioso e simbolo, ben visibile dal mare. Ancora oggi, malgrado i crolli ottocenteschi, la sua forza rimane intatta ed è punto di riferimento per chi fa rotta sul porto.
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L'articolo completo è pubblicato sul mensile BOLINA di maggio 2016

lunedì 8 agosto 2016

Venerdì di magro


In memoriam dello storione

Oggi la parola storione evoca un pesce esotico da cui si ricava la più raffinata e costosa delle ghiottonerie russe: il caviale. Ed effettivamente gli storioni, al plurale, perché numerose sono le specie, sono molto diffusi nei mari e nei fiumi dell’oriente europeo, dove esiste anche una consuetudine di pesca e cucina. Nell’Enciclopedia Treccani del 1936 si legge che “Gli storioni sono molto ricercati per le loro carni pregiate, per le uova con cui si confeziona il caviale, per la vescica natatoria che dà la colla di pesce o ittiocolla. Particolarmente ricca è la pesca di questi Ganoidi nei fiumi della Russia, principalmente in quelli che si versano nel Mar Nero e nel Caspio (Volga); in Russia si ha la maggiore produzione di caviale”.

La stessa prosegue evidenziando che “In Italia gli storioni sono ancora frequenti nel Bacino Padano e nei fiumi della Pianura Veneta. Mentre un tempo erano relativamente frequenti nel Tevere, ora vi compare qualche individuo soltanto eccezionalmente.”. Purtroppo anche in Adriatico e nei fiumi immissari sono quasi scomparsi e così gli storioni sono spariti dalle pescherie. In passato invece erano pesci comuni e prelibati. La loro abbondanza e qualità è testimoniata anche dalle innumerevoli ricette proposte nel Cinquecento dal libro di Giovanni Battista Rossetti, dove lo storione è di gran lunga il più citato dei pesci. Le carni si cucinavano fritte, stufate, in potaggio, arrosto, accarpionate, ma altrettanto deliziosi erano i piatti con fegato, uova e addirittura con il budello. Quello di Rossetti è un vero e proprio inno luculliano allo storione.

Continua sul mio blog Venerdì di magro su La Stampa - Mare