Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

venerdì 19 novembre 2010

Notizie


IN RIVA AL LAGO SI STUDIA IL MARE
Giornata sulla didattica della scienza il 29 novembre a Villa Brunati

L'Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Desenzano, in collaborazione con
il Cinsa - Consorzio interuniversitario nazionale scienze ambientali - e la
cooperativa City Service di Brescia, promuove lunedì 29 novembre dalle 9 alle
17.30 nella sala delle Muse di Villa Brunati una giornata dedicata alla
didattica delle scienze naturali, rivolta in particolare al tema dell'acqua,
del mare e del nostro lago.
Nell'ambito di questa iniziativa proporrò una relazione sulla scrittura di viaggio intitolata: "Scrivere sul mare".

lunedì 15 novembre 2010

Biblioteca di mare e di costa


“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


Con la precisione e la sintesi di un esperto marinaio associata all'attenzione dello storico, Davide Gnola ci restituisce in poco più di cento pagine le gesta di Garibaldi, uomo di mare, come titola il primo capitolo del suo nuovo libro “Diario di bordo del capitano Giuseppe Garibaldi” (Mursia, Milano pp. 208; € 17). Quella del Generale è infatti fin dalla nascita a Nizza il 4 luglio 1807 “in una casa affacciata al porto vecchio”, la storia di un bambino che decide di farsi mozzo, per poi diventare capitano e corsaro, tralasciando le sue altre numerosissime vicende personali, rivoluzionarie e politiche. Mozzo lo diventò per scelta, ribellandosi al padre, padrone marittimo, che avrebbe preferito non vederlo salire a bordo. Il brigantino Costanza fu il suo primo ponte, da cui guardava innamorato la “snella tua alberatura, la spaziosa tua tolda e sino al pettoruto busto di donna”, con riferimento all'immancabile polena. Le ricerche portate avanti da Gnola nella smisurata bibliografia dedicata all'eroe, nel poco frequentato Archivio di Stato di Palermo e in altre sedi, hanno consentito per la prima volta di ordinare le vicende marinaresche di Garibaldi, come evidenzia Mino Milani nella postfazione. Il libro pagina dopo pagina, o sarebbe meglio dire miglia dopo miglia, trasporta il lettore lontano, dal Mediterraneo al Mar Nero e poi oltre lo stretto di Gibilterra verso gli smisurati orizzonti oceanici, in un continuo avvicendarsi di storie e avventure, di “uomini ( marinai, capitani, armatori, mercanti, avventurieri e così via) e navi (a vela, a vapore, a elica, a pale, clipper e di nuovo così via), riprendendo le parole di Milani.
L'apparato iconografico ci restituisce oltre alla più stereotipata immagine delle gesta eroiche del Generale, anche quella meno conosciuta di pescatore e le sempre imaginifiche carte nautiche di mari lontani, navigati e combattuti dall'uomo Garibaldi. Proprio a questa dimensione personale è da ascrivere un episodio dell'età senile, quando nel settembre del 1867 riesce a sfuggire agli arresti domiciliari a Caprera, a bordo di un piccolo “beccaccino” con cui raggiungerà una paranza che lo porterà sulla costa toscana.
Il libro si completa con la trascrizione del Giornale di bordo del bastimento Georgia del brigantino Carmen ecc., per la maggior parte autografo di Garibaldi, che oltre ad essere un utile strumento di approfondimento delle vicende, restituisce nei suoi errori ortografici il “particolare “colore” dell'originale”.

giovedì 4 novembre 2010

Il nostro mare quotidiano

Le rive del mare: da spazi pubblici a labirinti del consumo, parafrasando Franco La Cecla.
Potrebbe essere questa in estrema sintesi la descrizione dell'ultimo orizzonte paesaggistico delle coste italiane?
L'antropologo siciliano, già apprezzato autore tra gli altri di “Perdersi. L'uomo senza ambiente” (Laterza, 1998 ) e “Contro l'architettura” (Bollati Boringhieri, 2008), ci propone sul Venerdì di Repubblica del 29 ottobre 2010, una breve disamina delle opposte idee occidentali di spazio pubblico. C'è chi vorrebbe controllare, commercialmente e poliziescamente, ogni luogo e chi invece ritiene che la libertà sia un concetto da applicare, nelle sue imprevedibili e anarchiche soluzioni, almeno agli spazi pubblici. E' superfluo aggiungere che i primi cercano in ogni modo di sostituire i consumatori ai cittadini, mentre i secondi si trovano ormai sul barricate di resistenza civile. Questa disamina, che prende spunto dalla nuova stazione di Milano per allargare lo sguardo su spazi pubblici (o commerciali?) di altre metropoli, è purtroppo sempre più calzante anche per le rive del mare, che siano spiagge libere occupate da stabilimenti balneari, selvagge falesie lottizzate in residence o, altrettanto pericolosamente, accessibili banchine portuali recintate per essere trasformate in esclusivi marina. Basta fare, o spesso cercare di fare!, una passeggiata nei porti liguri per rendersi conto di quanto la logica della maxi-nautica da diporto stia schiacciando ogni altra forma di passione marinaresca, o provare ad avvicinarsi a tante spiagge laziali, senza alcuna intenzione di pagare il biglietto d'ingresso o comunque pedaggio in altra forma.
Se come ci ricorda sempre Franco La Cecla “La piazza è un invenzione italiana”, le rive del mare sono una naturale, costitutiva qualità del paesaggio peninsulare. Non dimentichiamo poi che negli ultimi cinquant'anni la maggior parte delle coste sono state trasformate in rive urbane, declinazione marina delle “campagne urbane” comuni ormai a tanta parte d'Europa. Di queste rive urbane, il mare rimane l'unico orizzonte di libertà, per questo ogni affaccio, che si tratti di spiagge o coste scoscese, strade o larghi, va difeso dall'assalto privatistico, va inteso come bene comune, o pubblico demanio, per usare una definizione ottocentesca che andrebbe aggiornata.
Non mi stancherò di dire e di scrivere che le singole rivendicazioni di gratuità del mare, come tante piccole onde che sovrapponendosi prendono forza, possono trasformarsi in una insopprimibile necessità collettiva di riappropriarsi del Mediterraneo.

lunedì 1 novembre 2010

Biblioteca di mare e di costa


“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare.”
Joseph Conrad


Ho riletto in questi giorni un breve racconto di Ernesto Franco, “Usodimare. Un racconto per voce sola”, pubblicato nel 2007 da Il Melangolo, ritrovando la stessa affascinate e inusuale aria di mare respirata nella prima lettura. Dico inusuale perché sono pochissimi i romanzieri italiani che hanno saputo restituire il respiro del mare e le atmosfere di bordo. Differenti sono le cause di questa rara, quando riuscita, frequentazione marinaresca, a cominciare proprio dalla scarsa conoscenza di un mondo storicamente lontano da quello di terra e ancor più da quello intellettuale. Parafrasando proprio la voce narrante del libro, la navigazione “è retta da leggi autonome, da leggi della natura, indipendenti dalla volontà degli uomini”.
Il protagonista, o per meglio dire la sua ombra, è Pepe Usodimare, solitario e misterioso comandante che zoppica, non solo fisicamente, come il più celebre dei comandanti ottocenteschi. Ne seguiamo le ultime settimane di navigazione a bordo del Bahia Inutil, un vecchio cargo diretto in Bangladesh per la demolizione. In un tempo sospeso, scandito dall'incrocio con una flotta di catamarani fantasma portati da un unico macaco, da giorni di pioggia torrenziale, dall'arrembaggio di moderni e feroci piratas, che rimandano alle epiche gesta di Long John Silver e a quelle concretissime dei moderni pirati. Questi, come appunta Usodimare, “hanno in comune con quelli di ieri la strategia di apparire dal nulla e dal nulla svanire e la tattica di non fare mai ostaggi”. Una parte dell'equipaggio del Bahia, per fortuna o per la grazia di un invisibile clandestino, sopravvive all'attacco e porta a termine l'ultimo viaggio verso “l'infinita spiaggia di fango di Chittagong”. Ma la vera ossessione di Usodimare, che diventa quella di ogni imbarcato, è legata alla ricerca di “qualcosa”, lasciato da Nené, una donna a cui Pepe è “legato da una serie di disincontri. ... l'incontro che sarebbe potuto avvenire. Anzi che sarebbe dovuto avvenire”. Una disperata ricerca, che vede impegnati anche i demolitori, fino all'ultimo rottame, fino a lasciare solo quel “chiodo di Dio” che rimane piantato nel maleodorante fango di questo moderno cimitero marino.