Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

giovedì 27 marzo 2014

Insulomania

Ecco una nuova pagina del mio isolario, in cui racconto storie di isole reali, visitate o sognate, e di isole fantastiche, mie o altrui. Il portolano di un inguaribile insulomane.
Buon vento!

BARBANA

Nel vocabolario dell'insulomane non dovrebbe mancare “barena”, cioè un affioramento lagunare di sabbia o fango, insomma un'isola incipiente. Se pochissimi possono vantare d'aver assistito alla nascita di un'isola marina, ogni insulomane potrebbe togliersi la soddisfazione di assistere all'apparizione di un'isola lagunare. E dove meglio che nelle lagune settentrionali dell'Adriatico? Lì le barene sono in continuo divenire e alcune diventano isole vere e proprie nel corso dei secoli, magari con l'aiuto dell'uomo. Tra queste Barbana, nella laguna di Grado, ospita un importante santuario che, secondo la tradizione, risale al VI secolo. Di Barbana ha scritto anche uno dei più illustri geografi del XVII secolo, Vincenzo Maria Coronelli. Il Cosmografo della Serenissima oltre al bellissimo e documentato Isolario, in cui descrive le isole lagunari e d'oltremare, lavorò anche a una delle prime enciclopedie, intitolata Biblioteca universale, in cui si parla di Barbana,  “isoletta nelle vicinanze di Grado … e benché il suo circuito non si estenda, che poco più di mezzo miglio, i miracoli però che opera in essa la Gran regina degli Angeli, la rendono cospicua, e riguardevole”. Un isola fatta di terra miracolosa, “antidoto possente contra i morsi de'serpenti, e d'animali velenosi”.
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Nella Laguna di Grado e Marano, le isole con nome proprio sono una quindicina e Barbana è quella più famosa, almeno per le vicende mariane. La fondazione del Santuario presente sull'isola risale al VI secolo e, secondo la leggenda, è legata al ritrovamento miracoloso di un immagine della Madonna, in seguito a una devastante mareggiata che mise in pericolo anche la città di Grado. Il Santuario ospita una comunità di frati francescani ed è meta da secoli di un suggestivo pellegrinaggio nautico, nella prima domenica di luglio. Una numerosa flotta di barche, piccole e grandi, addobbate a festa, celebra ogni anno il Perdòn di Barbana, con cui la comunità gradese ricorda la grazia ricevuta dalla Madonna in occasione della peste del 1237. Un ex-voto animato, in cui viene imbarcata la Madonna degli Angeli per un pellegrinaggio acqueo, dalla Basilica di Sant'Eufemia all'Isola di Barbana.
Della Laguna era innamorato anche Pier Paolo Pasolini, che vi girò alcune scene di Medea, interpretata da Maria Callas. Di Grado scrisse: “Il grigio-azzurro del suo cielo e il verde dei suoi alberi friulani, il vermiglio e il cobalto attutiti del suo porticciolo, e l'oro dei capelli della sua gioventù, ne fanno un luogo dell'anima”.
Un incantato silenzio mistico è il regalo più grande che l'Isola di Barbana continua ad offrire da secoli all'insulomane.


L'articolo completo è pubblicato sul numero di MARZO 2014 di BOLINA

domenica 23 marzo 2014

Incontri

Il cambiamento climatico e i suoi effetti nel Mediterraneo
con Luca Mercalli, meteorologo e climatologo.
Incontri del Mediterraneo 2013/2014 XII edizione
Lunedì 24 marzo 2014 alle 21
Sala del Giudizio del Museo della Città di Rimini

Introduzione di Sara Visentin, Assessore all'Ambiente, Energie e Politiche per lo Sviluppo sostenibile del Comune di Rimini.
Conduce Fabio Fiori, scrittore e blogger di "Mare Gratis: il mare come bene comune" - www.maregratis.blogspot.it

L’ingresso è libero

giovedì 13 marzo 2014

Biblioteca di mare e di costa

Franco Arminio sta alla poesia come Michelangelo Pistoletto all'arte. Con la differenza che se le opere di uno dei padri dell'Arte Povera sono entrate nei musei, nei manuali di storia dell'arte e da poco anche nei programmi televisivi del sabato sera, gli scritti di Franco Arminio rimangono una gioia per pochi, perciò ancora più intima. Un piacere rinnovatosi con l’ultimo libro, “Geografia commossa dell’Italia interna” (2013; Bruno Mondadori, Milano; pp 132; 14 €).

Il parallelo con l'Arte Povera credo sia pertinente, se si considera che Franco Arminio sa magistralmente accostare “la poesia alla desolazione, la desolazione alla poesia”. Entrambi sono lavori tesi “alla registrazione “dell’irrepetibilità di ogni istante””, riprendendo le parole di Germano Celant che a sua volta citava proprio Pistoletto.
Arminio lo fa innanzitutto descrivendo i suoi vagabondaggi, quelli di un “flâneur della desolazione” che da anni va di paese in paese, non quelli delle bandiere arancioni o blu, ma quelli che hanno alzato la bandiera bianca della resa, a una modernità a sua volta sfinita. Luoghi che non sono “uno sfondo dove sfiliamo con le nostre ombre. Sono terra e carne, vento, respiro, luce, storia che non si è mai fermata e mai si fermerà”. Franco Arminio si definisce innanzitutto un paesologo, maestro di una disciplina indisciplinata, che “raccoglie le voci del mondo, sente quel che vuol sentire, dice quel che vuole dire”, con una attenzione particolare ai margini e alle periferie, urbane e umane.
Leggendolo, ma soprattutto ascoltandolo, vengono in mente antichi cantastorie o per meglio dire, nel suo caso, poetastorie. Perché, qualunque sia la cifra stilistica prescelta, in ogni sua storia c'è una vibrante tensione lirica. Che sia la poesia, nella forma breve dell'haiku o in quella lunga del poema, il racconto o l'aforisma, Arminio riesce sempre a far alzare in volo le parole. La poesia per Arminio “non è il fiore all'occhiello, è l'abito da indossare, ma prima di indossarlo dobbiamo cucirlo e prima di cucirlo dobbiamo procurarci la stoffa”. Una ricerca che dovrebbe vederci attivi non in patinati altrove vacanzieri, ma nelle opache periferie quotidiane. Perché, anche passeggiando sul lungomare della infinita riva urbana mediterranea, c'è sempre una voce di bambino o di vecchio da ascoltare, un grigio del cielo o del mare da ricordare, un'increspatura del mare o della spiaggia da vedere. Abitiamo luoghi che chiedono attenzione, fragili e sciupati, capaci comunque di regalare emozioni.  
In quest'ultima raccolta di testi, apparsi negli ultimi anni su giornali e riviste, ciò che sembra emergere con ancora maggior forza rispetto ai precedenti libri, è il parallelo tra lo stato del corpo e quello del paesaggio, tra la salute dell'autore e quella del Meridione. Quella che Arminio qui tratteggia è una vera e propria anatomo-geografia, una dissertazione che è innanzitutto dissezione, un'autopsia di strade e piazze, di parcheggi e cavalcavia, di nuove miserie e vecchie consuetudini. E', come riassume il titolo, la geografia commossa dell'Italia interna, uno sguardo comunque utile anche a chi voglia osservare criticamente anche l'altrettanto precaria Italia costiera.
Chiudo con un verso augurale, che apre quest'ultimo lavoro di Arminio: “Concedetevi una vacanza / intorno a un filo d'erba / dove non c'è il troppo di ogni cosa / dove il poco ancora ti festeggia”.