Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

mercoledì 29 dicembre 2010

Il nostro mare quotidiano

Giorni di festa, del pagano Sol invictus o del cristiano Natale. Giorni d'inverno, di freddo, di pioggia, di neve, di sole o di vento. Giorni comunque disponibili per riprendere il cammino lungo le nostre stuprate e comunque amate rive urbane. Spiagge libere dall'occupazione balneare, banchine sgombre dalle flotte di glamour-yacht. Il mare d'inverno rimane ancora un ambiente per solitari esploratori. Lungo le coste si allenta il controllo, diventa più facile attraversare zone vietate, affacciarsi su spazi privati, per riscoprire il nostro bene comune. Il nostro mare quotidiano, che ogni giorno di più cerca di esserci precluso, lottizzato, venduto e recintato.
Nell'ottobre scorso il rapporto “Paesaggi di costa” di Italia Nostra ha rilanciato il dibattito sul degrado costiero italiano. Su “Il Giornale dell'Architettura” di Novembre hanno articolato il confronto, con due loro scritti, Aimaro Isola e Rosario Pavia. Quest'ultimo con pragmatica sensibilità ci ricorda che “La linea di costa è tra le reti quella che maggiormente realizza l’incontro tra natura e artificio, è una rete ambientale e infrastrutturale. Lo è da sempre, ma oggi con maggiore intensità”. Una considerazione preliminare, necessaria per chiarire che il nodo irrisolto dello scempio fatto delle coste sta nel poco e male affrontato problema della loro duplicità, del loro “essere rete ambientale e nello stesso tempo indispensabile rete infrastrutturale”.
Se Pavia chiede a tutti noi un necessario sforzo per andare oltre la pur doverosa denuncia dello sfascio ambientale delle coste, Aimaro Isola con altrettanta lucidità afferma che per approcciare i problemi: “Occorre koiné, ma anche philìa: amicizia verso i luoghi, soprattutto verso quelli che stanno soffrendo. Dobbiamo aver cura e raccogliere, prendere in mano ogni frammento di un mondo lacerato, (de)costruirlo, (ri)costruirlo, (ri)conoscerlo: réconnaissance, cioè essere riconoscenti. Per questo occorre metter in campo i propri saperi e le proprie esperienze, aggiornarli con il dubbio ma anche con il coraggio”.
Riprendendo il titolo dell'articolo di Isola, “Riviere. Abbiamo paura, ci vuole coraggio”, vorrei soffermarmi su cosa può significare oggi avere coraggio, per affrontare l'innegabile situazione di degrado ambientale, urbanistico e, in alcuni casi, economico, in cui versa la maggior parte delle coste italiane. Se il coraggio del dopoguerra si è manifestato attraverso la ricostruzione, degenerando poi spesso nella stra-costruzione, oggi in questo dopoguerra liberista bisogna innanzitutto avere il coraggio di restituire l'originario e imprescindibile libero accesso al mare. Solo attraverso una collettiva riappropriazione del mare che bagna le rive urbane si potrà ridare a questi ambienti duratura e condivisa qualità. Certi che si possa raggiungere un moderno equilibrio tra necessità infrastrutturali, abitative, ambientali ed economiche solo riscoprendo e aggiornando l'autentico valore della “misura”, di cui in tempi recenti ci ha parlato Franco Cassano nel libro “Il pensiero meridiano”. Non potrà esserci progetto di riqualificazione urbana e ambientale senza avere il coraggio di mettere in discussione il dogma dell'infinita crescita economica. Non potrà esserci progetto di miglioramento abitativo o infrastrutturale senza avere il coraggio di uscire dalla frenesia consumistica. Con coraggio dobbiamo batterci per rivendicare il mare come bene comune, certi che partendo da questo principio generale si possano poi discutere, condividere e realizzare i migliori interventi per ridare dignità al paesaggio costiero.

martedì 14 dicembre 2010

Biblioteca di mare e di costa


“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


Nella scelta fatta da Marilena Giammarco di mettere “I dioscuri” di Giorgio de Chirico, nella copertina del suo nuovo libro (“Il «verbo del mare». L'Adriatico nella letteratura I. Antichi prodormi, riletture moderne”; 2009. Palomar, Bari; pp 208, € 20), emerge in maniera chiara lo strettissimo legame tra la cultura greca classica e l'Adriatico. Ma “Castore e Polluce, luce e ombra”, sono anche una perfetta metafora della duplicità adriatica, dell'opposizione tra Oriente e Occidente, tra settentrione e meridione, tra continentalità europea e marinità mediterranea, tra nebbia e sole, tra sabbie e rocce, tra bora e garbino. Il libro è pubblicato nella Collana Odeporica, diretta da Giovanna Scianatico, strumento editoriale del Centro Interuniversitario Internazionale di Studi sul Viaggio Adriatico ( www.viaggioadriatico.it ).
Ritornando alla dimensione storica riassunta dall'autrice, Spina, Pharos sull'isola di Lissa e Ancona sono solo i più famosi degli scali greci presenti in Adriatico, punti d'arrivo per quei coloni che trovarono lungo le sponde di questo mare un sicuro e proficuo approdo. Ma quegli empori divennero anche snodi fondamentali per la diffusione della cultura greca in Occidente.
Questo della Giammarco è il primo volume di un'opera dedicata alla riscrittura di “un'altra storia” dell'Adriatico, a partire dalla letteratura. A riguardo è necessario evidenziare come questo Mare Superum latino che poi per secoli sarà il Golfo di Venezia, abbia ispirato centinaia di autori, di culture e provenienze differenti che, con i loro testi, hanno lentamente contribuito a costruire una delle più ricche letterature se non proprio marinaresche comunque d'ambiente marino. Questo lavoro partendo dalla natura e dai miti dell'Adriatico, tra cui quelli delle misteriose isole Elettridi e delle bellissime isole Tremiti, ricostruisce una geografia “Per acque e per terre”, articolata in pelago e rive, laghi e lagune, fiumi, montagne e isole, per concludersi infine con le narrazioni di “Tempeste e naufragi”, dall'età classica alla seicentesca “Dodicesima notte” di Shakespeare, ambientata in un'imprecisata città dell'Illiria. Un libro che oltre ad essere una preziosa antologia adriatica restituisce “l'infinità varietà delle forme che lo compongono”, utilissime anche a dimostrare la sua “irriducibile sovranazionalità”, senza dimenticare che “L'Adriatico non è solo il mare di D'Annunzio”.

sabato 4 dicembre 2010

Il nostro mare quotidiano

“Salvare il nostro paesaggio è un dovere civile”, ha detto Salvatore Settis in una lunga intervista pubblicata ieri da La Repubblica, in occasione dell'uscita del suo nuovo libro: ”Paesaggio, Costituzione, Cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile” (Einaudi; pp. 326, € 19). Per tutelare il paesaggio dai continui, feroci, assalti edilizi a margine dell'articolo viene fornito un decalogo, utile a tutti coloro, singoli o associazioni, che continuano a battersi contro gli scempi, spesso con incredibili sforzi a fronte di un'enorme disparità di mezzi tecno-economici. Un decalogo che mi permetto di scrivere manca di un punto 0, imprescindibile: “Abitare il paesaggio è un diritto-dovere”, a partire da quei paesaggi che circondano le nostre case e le nostre strade, ma anche i nostri centri commerciali e i nostri capannoni, quella diffusa periferia che è oggi l'Italia. Abitare nel più profondo e quotidiano dei significati, abitare con piacere. Quello che dovrebbe regalare il camminare e il pedalare, il nuotare e il remare, le pratiche del gioco e del lavoro di ogni giorno. Solo una ostinata frequentazione ci permetterà di rompere l'unico deleterio, addirittura criminale, imperativo consumistico, capace di trasformare il territorio in una merce che “vale non perché possiamo viverlo, ma solo in quanto può essere occupato, prezzato, cannibalizzato”. Senza esperienza materiale e frequentazione abituale, credo che qualsiasi appello alla salvaguardia, per quanto condivisibile e allarmante, rischia di rimanere inascoltato. Senza una diffusa riappropriazione fisica del paesaggio, inteso come bene comune da condividere nei piaceri del vissuto quotidiano, non ci sarà alcun riscatto da questo degrado ambientale che è diventato “parte di un degrado che investe le regole del vivere comune”. Perciò, anche da insegnante , prendendo spunto dal terzo paradosso evidenziato da Salvatore Settis, mi sento di puntualizzare che prima ancora di portare la parola paesaggio dentro le scuole, dobbiamo portare la scuola, gli alunni, nel paesaggio. Non in quelli esotici che le agenzie vendono alle famiglie e forse neanche in quelli incontaminati protetti dai parchi e meta privilegiata delle gite scolastiche. Dobbiamo innanzitutto portarli a piedi e in bici o, perché no, a remi e a vela, nei paesaggi del quotidiano. I nostri figli, e più in generale gli italiani, per prendere coscienza dell'inestimabile valore del paesaggio più che di immagini hanno bisogno di chilometri, più che di leggere e ascoltare hanno necessità di camminare e pedalare.
Declinando le considerazioni di Salvatore Settis allo specifico di questo progetto, bisogna senza alcuna nostalgia prendere atto che è saltato l'equilibrio città-costa. Se la battaglia per la difesa di quei minuscoli frammenti di coste naturali va sostenuta con determinazione, non meno impegno dobbiamo dedicare al restauro, un restauro non conservativo di tutto ciò che per altro è irrimediabilmente perduto, ma un restauro ambientale che restituisca l'inalterata immensità del mare alla nostra riva-urbana, vissuta spesso come inospitale residenza.