Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

mercoledì 25 maggio 2011

Biblioteca di mare e di costa



Le nuvole “Vanno / vengono / ogni tanto si fermano / e quando si fermano / sono nere come il corvo / sembra che ti guardano con malocchio / Certe volte sono bianche / e corrono / e prendono la forma dell’airone / o della pecora / o di qualche altra bestia / ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri”, recita una trasognata voce femminile, in apertura di una bellissima canzone di Fabrizio De André.
Noi che abitiamo in riva al mare le nuvole le possiamo vedere alte nel cielo o basse sull'orizzonte, meteore che sorgono dall'acqua. La stessa che allo stato puro, o quasi, le compone, quell'acqua senza la quale non potremmo vivere, anche nell'accezione più specifica di chi ama navigare. Per chi va a vela, le nuvole sono come le onde, punteggiano il cielo come le acque. Ma le nuvole come le onde, sono anche utilissime a rivelare lo stato del tempo atmosferico o marino, permettendo di predirne l'evoluzione, secondo un'arte antica che va coltivata con costanza e passione, anche ai tempi di internet. Soprattutto in un mare come il Mediterraneo, stretto tra le montagne, parafrasando Fernand Braudel. Se le previsioni meteorologiche sono oggi molto affidabili sugli orizzonti atlantici, spesso si rivelano inesatte in alcuni stretti golfi, a ridosso di capricciose vette o di infidi canali. Qui il marinaio non può solo affidarsi ai bollettini radiofonici o elettronichi, qui la copertura previsionale dei satelliti e dei radar non è sempre sufficiente. Qui, più che altrove, bisogna ancora saper riconoscere un cirro da uno strato, un nembo da un cumulo, bisogna saper valutare l'altezza delle nuvole e i loro sviluppi. Non c'è niente di meglio dell'esperienza marinaresca per affinare le proprie capacità di osservazione del cielo, un esercizio quotidiano che negli anni permette di affinare conoscenze empiriche fondamentali, di maturare un utilissimo sesto senso meteorologico.
E proprio un viaggio in mare è stato l'occasione per Gilles Clement di scrivere “Le nuvole”, appena tradotto in italiano da DeriveApprodi (pagg. 128, € 14). Perché come scrive in apertura l'autore “Nuvole è un diario di bordo tenuto tra Le Havre e Valparaiso dal 18 settembre al 18 ottobre 2004”. Un libro inusuale per chi conosce “il giardiniere planetario” attraverso i suoi numerosi scritti e gli altrettanto numerosi parchi, che ci hanno aperto gli occhi sulle meraviglie quotidiane del “terzo paesaggio”, che ci hanno insegnato ad apprezzare anche quelle piante vagabonde che impreziosiscono i margini stradali e più in generale le nostre infinite periferie. In questo nuovo lavoro, con l'illuminante semplicità che caratterizza la sua scrittura, Clement ci ricorda subito che “Noi siamo dentro l'acqua. Pensiamo di respirare l'aria. Respiriamo l'acqua. L'acqua non ci resta a distanza. Ci avvolge, ci penetra come fa con ogni organismo vivente e ogni oggetto inerte”. E proprio alle molteplici interazioni che le nuvole sviluppano con gli organismi viventi e con microscopici ma fondamentali oggetti inerti, sono dedicate le pagine più affascinanti del libro. Riflettiamo così sul fatto che l'aria è un areosol, che contiene un microgrammo di materia a metro cubo. Da quantità e qualità di questo particolato non dipende solo l'esistenza o meno delle nuvole, ma anche gli effetti che le precipitazioni hanno sulla terra e sui viventi, uomo compreso. Se le PM10 sono diventate uno dei cancri di questo modello di sviluppo, oltre che l'incubo dei nostri amministratori, il particolato presente in atmosfera è indispensabile al ciclo dell'acqua e, direttamente o indirettamente, alla vita. In ogni goccia che arriva alla pianta e a noi, è nascosto “un messaggio di cui non sappiamo niente, se nutrimento o veleno, impurità volatile, plancton celeste o marino”. Oggi “Il meteo ci informa [anche in maniera esageratamente ossessiva] sul numero di millimetri caduti il tal giorno nel tal lasso di tempo. Ma non dice mai cosa c'è nell'acqua”.
I reconditi, misteriosi, rapporti tra le nuvole e i viventi erano stati intuiti già due secoli fa da Jean-Baptiste Lamarck, lo stesso naturalista che studiò l'evoluzione qualche decennio prima di Charles Darwin. Tutto il viaggio oceanico, celeste e ideale di Clement riassunto nel libro, si snoda intorno alla figura di Lamarck, “naturalista, scienziato, pensatore universale, il primo a osare catalogare le nuvole e dar loro un nome”.
In alcuni tratti di questa navigazione a bordo di un mercantile, Clement riveste in maniera esplicita i panni del giardiniere, un anomalo giardiniere di bordo che si preoccupa delle maltrattate piante, immaginando che “Si potrebbero scegliere delle specie abituate al sale e al carburante (per gli spruzzi d'acqua di mare delle alofite, per il resto c'è da cercare). Sul tetto superiore spunterebbe una selva. Si capirebbe perché la nave si chiama Monteverde”.
A mo' di doveroso omaggio, il libro si conclude con due pagine di Lamarck che ci invitano a rinnamorarci ogni giorno delle nuvole e del cielo, il miglior modo anche per motivare lo studio “dei suoi differenti stati nel corso dell'anno, dal tempo più cupo e più brutto a quello più luminoso e sereno; quello in una parola, di tutti gli oggetti particolari che ci offre questa bella e curiosa porzione di natura”. Un invito a percorrere le rive mediterranee o a prendere il largo, per riscoprire quotidianamente la magnificenza delle nuvole e del vento, che del cielo sono i figli più belli.

sabato 14 maggio 2011

Il nostro mare quotidiano

Lunedì 23 maggio 2011
"Il nostro mare quotidiano"
ritorna in edicola nell'inserto Aria del Corriere Romagna

Il cammino è la prima forma di viaggio dell'uomo. Il bambino che si alza in piedi e cammina, non solo va più lontano e veloce, non solo libera le mani, ma allarga anche il suo orizzonte, visuale e mentale. Ognuno di noi ha vissuto quest'esperienza, di cui ha memoria inconscia, a cui deve qualche volta ripensare. A maggior ragione in tempi come questi, in cui qualcuno vuole privatizzare le spiagge, sotto forma un “diritto di superficie avente durata di novanta anni”. Dobbiamo rimetterci in cammino lungo le rive, riscoprendo la spiaggia, il bene comune per eccellenza di una Penisola.
La pretesa di percorrere liberamente le rive del mare non ha solo una valenza ludica personale, di per sé comunque sufficiente. Significa interessarsi all’evoluzione continua degli spazi quotidiani, al rapporto odierno dei luoghi con il mare, al riflettersi di questo tratto forte di natura sui muri delle nostre città. Abitare significa condividere gli spazi, ed essere insieme partecipi delle trasformazioni.
...

lunedì 9 maggio 2011

Notizie

Jean-Claude Hocquet
“Un viaggio nella storia di ieri: le saline di Trieste”

Lunedì 16 maggio 2011 ore 18
Museo del Mare di Trieste
via Campo Marzio 5

Marino Vocci presenterà la lezione del grande storico francese, che lavora da quasi cinquant’anni alla storia del sale ed è stato professore nelle Università di Venezia e di Lille III della quale al momento è professore emerito. Autore di numerosissime pubblicazioni, nel 1978 ha pubblicato ”Il sale e la fortuna di Venezia” , un libro fondamentale per capire come il sale fu al centro del potere economico e politico della Repubblica della Serenissima.

venerdì 6 maggio 2011

Il nostro mare quotidiano


Sette giorni fa scrivevo che con una vittoria dei SI' ai referendum sull'acqua pubblica si contribuirà anche a rafforzare l'idea che il mare, le spiagge, le rive sono beni comuni. Con un tempismo inimmaginabile, anche ai più foschi profeti della privatizzazione, ieri il Governo ha anticipato che si procederà alla (s)vendita delle spiagge. Precisamente, all'articolo tre del Decreto Legge sullo Sviluppo, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, si legge: “Per incrementare l’efficienza del sistema turistico italiano, riqualificando e rilanciando l’offerta turistica, fermo restando, in assoluto, il diritto libero e gratuito di accesso e fruizione della battigia, anche ai fini di balneazione, è introdotto un diritto di superficie avente durata di novanta anni”.
Che cosa significa questo concretamente per gli italiani ce lo hanno spiegato subito tanti quotidiani, la maggior parte concordi nell'evidenziare che i privilegi concessi a pochi, andranno a discapito di molti. Nessun diritto sui beni comuni può essere alienato per un tempo così lungo, a maggior ragione per uno spazio mobile per definizione come le spiagge. Mobili da un punto di vista ambientale, in relazione ai normali fenomeni di avanzamento o regressione, e in egual misura economico e sociale. Si pensi solo a come è cambiato il loro uso nell'ultimo secolo, e di conseguenza il loro valore. Nessuno avrebbe mai immaginato che quei “relitti del mare” diventassero, nel volgere di pochi decenni, i più fruttuosi “stabilimenti” italiani.
Tornando al testo del decreto, lo stesso inciso “fermo restando ...”, rende ancora più inquietante il rischio del venir meno del diritto a poter accedere alle rive, di “offrirsi un bagno”, utilizzando le parole di Albert Camus. Noi quel bagno nelle acque delle nostre città non solo vogliano continuare a farlo, ma pretendiamo anche che nessuno imponga limiti di tempi e modi al nostro libero passeggiare, giocare, restare, lungo le spiagge.
Ancora una volta si cercano di legittimare i peggiori vizi italiani, nello specifico quello di appropriarsi indebitamente del primo bene comune ambientale di una Penisola. Cicerone, in una delle sue difese, si chiedeva: “Cosa vi è di così comune come il mare per coloro che navigano e le coste per quelli che vi vengono gettati dai flutti?”. Oggi siamo noi quelli gettati dai flutti, coloro che continueranno a battersi per la gratuità del mare e delle sue rive.