Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

martedì 26 ottobre 2010

Notizie


Si terrà domenica 31 ottobre, nella zona pedonale di piazza Anco Marzio ad Ostia lido, la prima manifestazione del coordinamento per la tutela del litorale romano, spiaggia bene comune.
http://www.spiaggiabenecomune.org/

venerdì 22 ottobre 2010

Il nostro mare quotidiano

A partire da lunedì 25 ottobre 2010, “Il nostro mare quotidiano” sarà anche una rubrica quindicinale pubblicata sull'inserto “Aria di Mare” del Corriere Romagna. Anticipo di seguito l'incipit del primo articolo.

L'inizio dell'autunno in Romagna è uno dei periodi più belli per chi crede che il mare sia innanzitutto sinonimo di libertà. Si svuotano le spiagge e le banchine, si spengono le insegne e gli amplificatori, insomma con lo stemperarsi delle calure estive si allenta anche l'assedio balneare. Lungo la costa romagnola il mare ritorna prepotentemente a rivelarsi nella sua immensità, geografica e sensoriale.
In una stagione in cui le acque e le arie sono ancora tiepide, il mare ci regala, gratuitamente, tutti i suoi infiniti doni. E la riscoperta sensoriale è la prima tappa di quella lunga rotta che, se da un lato è un viaggio di piacere individuale, dall'altro potrebbe, anzi dovrebbe, diventare un viaggio politico collettivo, volto a rivendicare la gratuità del mare.
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sabato 16 ottobre 2010

Il nostro mare quotidiano

E' stata presentata ieri a Roma l'iniziativa “Paesaggi sensibili 2010: ecco le 50 coste da salvare”, promossa da Italia Nostra. In occasione della Settimana nazionale dei paesaggi sensibili, dal 19 al 24 ottobre 2010, Italia Nostra ha puntato quest'anno l'attenzione sulle coste. Il più “lungo” dei paesaggi italiani, uno dei più estesi e, soprattutto, il più assediato. Da oltre un secolo l'assalto alle rive ha assunto infatti i tratti non solo di un saccheggio ambientale senza precedenti, ma anche di un vero e proprio sconvolgimento urbanistico e sociologico. Gli italiani nel volgere di un secolo hanno abbandonato montagne e campagne per inurbarsi innanzitutto lungo le coste, in lunghissimi iper-paesi costieri. Se a ciò si aggiungono sempre nuovi appetiti immobiliari e un consumo balneare forsennato, quello che rimane è un'infinita, anonima, periferia costiera, ormai per molta parte impresentabile anche dalle più abili agenzie turistiche. Come ha sottolineato Italia Nostra, ““Il mare d’inverno” in molti casi vuol dire degrado e incuria, stabilimenti balneari chiusi e lasciati in pessime condizioni, ma ciò che è ancora più grave, con sbarramenti o lucchetti che impediscono il passaggio alle persone, violando uno dei diritti del nostro Paese, il libero accesso al mare.”. Ed è proprio quest'ultima affermazione il cuore del problema: la privatizzazione delle coste. Perché se come denuncia l'associazione i quattro mali “più gravi alla base dei problemi che stanno deturpando il volto del paesaggio costiero italiano [sono]: infrastrutture portuali e stradali; costruzioni sui litorali; erosioni (causate spesso da porti e costruzioni); abusivismo”, la causa prima rimane la privatizzazione di un bene comune: il mare e le sue coste.
Partecipando a una delle tante e interessanti iniziative programmate dalle sedi locali di Italia Nostra, o semplicemente pretendendo di poter accedere in ogni stagione alle rive e alle acque di casa nostra, si testimonierà la propria determinazione nel richiedere a gran voce lo status di bene comune per il più vasto dei paesaggi italiani: il mare. Una rivendicazione fondata su tre principi: inalienabilità da parte dello Stato, libertà e gratuità di accesso per ogni cittadino. Principi validi a maggior ragione oggi che affollatissime sono le rive urbane, in cui l'orizzonte marino rimane l'unico ambiente in cui poter quotidianamente immergersi, con infinito, libero e gratuito piacere.

giovedì 7 ottobre 2010

Il nostro mare quotidiano

La fatica, piccola o grande, di issare una vela è da millenni il sacrificio che l’uomo rende alla Natura per ingraziarsi i venti.

Anche quest'anno, come da oltre quarant'anni, a Trieste si rinnova la grande festa della vela, chiamata Barcolana.
Le banchine di questa splendida città che si specchia nell'Adriatico, diventano per una settimana il libero proscenio di migliaia di vele, di decine di migliaia di marinai di lungo corso o solo per un giorno. Per tutti la regata domenicale è l'occasione per ritrovarsi, confrontarsi, chiacchierare sulla comune, grande passione della vela.
Nel gergo marinaresco vela sta per nave, “piegar le vele” significa finire una navigazione come qualsiasi altro lavoro, “far vela” equivale a partire, con un più intenso significato malinconico. “Andare a gonfie vele” è ancora in uso, a oltre mezzo secolo dalla definitiva sostituzione della vela con il motore sulle barche da lavoro, a testimonianza dell’efficacia figurativa di questo modo di dire. Sono caduti in oblio invece la maggior parte dei quasi trenta verbi legati al sostantivo. Se issare o ammainare sono abbastanza noti, orzare o poggiare sono termini da velisti, mentre inferire, relingare, murare, cappeggiare, bracciare, sono ormai sconosciuti anche a chi va a vela.
Quadra era la forma della prima vela, forse di foglie di canne intrecciate, poi di fibra di lino, seguita dalla canapa e dal cotone. All'evolversi dei materiali si affiancò quello delle forme geometriche, triangolari o trapezoidali, ognuna con caratteristiche proprie, con prestazioni sempre migliori. Quadre, latine, auriche, al terzo, è solo la più semplice della ripartizione delle differenti vele che venivano armate sulle barche, più o meno antiche. Randa marconi e fiocco, quelle più comuni oggi. Maestra, trinchetta, volante, gabbia, velacci, flocco, controflocco, coltellaccio, belvedere, e altre decine di nomi ancora, erano in uso sulle ultime, grandi e veloci, navi da trasporto. Quella della vela è una storia plurimillenaria, una costante evoluzione di forme, tessuti, tecniche, un viaggio lavorativo interrotto dal motore una cinquantina di anni fa, ma che forse riprenderà in un futuro neanche tanto lontano.
L'enciclopedica complessità di forme e tecniche, di avventure e storie, ancora oggi dissolve felicemente nel semplice, silenzioso, piacere di farsi portare dalla vela da un porto a un altro, di correre il mare in completa armonia con la natura, come uccelli nel vento. La vela si alza con la prua al vento, si drizza prima con forza, si cazza poi a segno a seconda della rotta che si vuol tenere, vento e mare permettendo. La barca come per incanto prende la giusta inclinazione e comincia a muoversi, il timone da appendice morta diventa viva, sensibile, indispensabile. Quando poi il vento supera una certa intensità, il marinaio sa che è opportuno ridurre la tela: terzarolandola o sostituendola con una più piccola. Le vele si issano e si ammainano; i garocci del fiocco scivolano sullo strallo, la relinga della randa segue l'inferitura, la trozza della vela al terzo scorre sull'albero. In antica armonia, come ali di uccelli, le vele coniugano al meglio le istanze della nave con le leggi del vento, portando lontano uomini e merci, sogni e idee.