Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

martedì 15 febbraio 2011

Biblioteca di mare e di costa




“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


Malgrado da secoli si dica, e sia stato scritto anche sul Palazzo della Civiltà Italiana dell'EUR di Roma, che siamo un popolo di navigatori, il nostro Paese è al contrario molto lontano dal mare, sempre che non lo si confonda con la spiaggia. Questa lontananza riguarda innanzitutto la cultura e, nello specifico, la letteratura. E' quindi doppiamente benvenuta l'antologia, o, per rimanere in tema, il vascello cartaceo costruito da Giorgio Bertone, professore di Letteratura Italiana all'Università di Genova. “Racconti di vento e di mare” (2010; Einaudi, Tonino, pp. 578; € 22) è una grande nave, nelle cui stive il curatore ha caricato alcune delle più belle e utili pagine di mare, a partire dai racconti mitici, fino ad arrivare a quelli del Novecento. Diciamo subito che nell'antologia gli autori italiani sono una minoranza, con l'unica eccezione del capitolo intitolato “Il mare di chi non ha mai visto il mare”, che raccoglie tra gli altri i racconti di Eugenio Montale, Cesare Pavese ed Edmondo De Amicis. Italiano è comunque uno dei due autori di riferimento di Bertone, quell'Antonio Guglielmotti sacerdote domenicano e autore del preziosissimo “Vocabolario marino e militare” del 1889. Non un semplice dizionario ma un vero e proprio insuperato compendio sull'arte del navigare. Se il Guglielmotti attraverso le sue voci ha “scritto racconti virtuali, quelli che l'Italia sui mari mai scrisse”, Herman Melville è l'inarrivabile gigante dell'epopea marinaresca oceanica. Il suo “Moby Dick o la Balena Bianca”, è “un' «opera mondo», paragonabile alla grande epica classica”. E' proprio Melville a informarci che “Più esatta, concreta e precisa è la terminologia più diventa utile anche per nutrire l'immaginazione e la leggenda”.
La smisurata grandezza degli oceani di ieri e di oggi è raccontata magistralmente da Joseph Conrad, Jack London, Robert Luis Stevenson o dai “vagabondi” solitari Joshua Slocum e Bernard Moitessier. Un spazio è dedicato anche alle vicende corsare di Giuseppe Garibaldi, ambientate lungo le coste dell'America del Sud. “Corsaro! lanciato sull'Oceano con dodici compagni a bordo di una garopera, si sfidava un impero, e si facea sventolare per i primi, in quelle meridionali coste, una bandiera d'emancipazione! La bandiera repubblicana del Rio-Grande!”, scrive il Generale. Esperienze fondamentali per poter maturare poi i successi militari utili alla causa italiana, dalla tragica fuga verso Venezia, fino alla vittoriosa navigazione dei Mille.
Molto suggestive sono anche le “Voci sparse” raccolte all'inizio da Bertone, una specie di micro-zibaldone che unisce idealmente tutte le genti di mare, quelle che secondo una adagio inglese attendono “il primo giro d'elica” per pagare tutti i debiti. In chiusura “Ultimi avvisi” fornisce una piccola ma ragionata bibliografia, utile a chi partendo dall'antologia voglia proseguire la sua rotta per i vastissimi, spesso incerti, orizzonti della conoscenza. Se l'autore ha sentito come un compito ascoltare le voci “più alte e nobili che siano mai levate a raccontarci dell'esperienza umana di vento e di mare”, così ogni italiano per dirsi abitante di una penisola mediterranea, dovrebbe aver letto almeno un paio di questi emozionanti racconti.

sabato 5 febbraio 2011

Il nostro mare quotidiano








Domenica scorsa Gianfranco Ravasi sulle pagine di Domenica de Il Sole 24 ore ha ricordato che “Una società sbrigativa e superficiale che ingurgita cibi a caso in un fast food, che ignora lo spreco alimentare, ... ha perso non solo la dimensione simbolica del cibo ma anche la spiritualità che in quel segno è celata”.
Considerazione non solo condivisibile, ma declinabile alle idee di un mare inteso come bene comune. Sì, perché anche attraverso i suoi più autentici sapori possiamo riappropriarci del mare. Tutto ciò senza alcuna preclusione alle contaminazioni, che da sempre sono il principale ingrediente della miglior cucina, capace di diventare tradizione nel significato più interessante e concreto. Per intendersi, preferisco mille volte di più un cuscus cucinato da amici pescatori tunisini con piccoli, “poveri”, pesci adriatici, agli spiedini industriali “romagnoli” fatti con calamari dell'Atlantico e gamberetti del Pacifico.
Ma ritornando all'orizzonte culturale magistralmente riassunto da Gianfranco Ravasi, con riferimento al pane e al vino, vorrei altrettanto brevemente accennare ad alcuni antichissimi significati di un altro cibo mediterraneo per eccellenza, il pesce, riprendendo alcuni frammenti del mio Abbecedario Adriatico.
L'antichissima ascendenza di ittico dalla parola greca ichthŷs e la potente forza anagrammatica, che nella simbologia cristiana delle origini lega il vocabolo greco al nome di Iesus Christos Theu Yios Soter, Gesù Cristo figlio di Dio, eleva il lemma ittico a paradigma del lessico peschereccio. Perciò la descrizione dell'aggettivo ittico è molto di più di una semplice questione di zoologia o di economia, di una minuziosa elencazione faunistica o patrimoniale.
Il fascino del pesce sta anche nell'archetipica associazione ai prodotti alimentari mediterranei per eccellenza: pane, olio e vino. Una triade che il pesce integra e completa, apportando ai frutti della terra la carne stessa del mare. Così tanta letteratura e iconografia, antica e medievale, in cui sono rappresentate tavole sacre apparecchiate con una bianca tovaglia, su cui stanno oltre al pane e al vino, l'olio e il pesce, assumono almeno visivamente anche un significato antropologico. Immagini insieme semplici, potenti, evocative, che restituiscono il legame spirituale e alimentare delle popolazioni mediterranee con il mare. E ancora ricollegandoci all'immagine che rafforza l'articolo di Ravasi, ci sarà stato di certo anche tanto pesce sulle tavole imbandite di “Le nozze di Cana”, capolavoro assoluto di Paolo Veronese, che tante volte si sarà probabilmente recato anche al mercato ittico di Rialto a Venezia, un altro capolavoro che si rinnova ancora ogni giorno.