Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

venerdì 30 gennaio 2015

Velabondismo


Che cosa serve veramente per vivere un'esperienza di mare unica, a bordo di una deriva o di un piccolissimo cabinato?
A cominciare da oggi, e aggiornando alcune pagine del mio Vela libre uscito tre anni fa per i tipi di Stampa Alternativa, vi proporrò alcuni brevi post filosofici e tecnici su come "armare e partire", con una sola certezza "barca minima, rotta massima".

Cercando di soddisfare la curiosità di chi sogna una barca tutta per sé, provo a quantificare economicamente la spesa necessaria per concretizzare due sogni: una deriva e un piccolo cabinato, cioè una barca non pontata di circa quattro metri e una con cabina di circa sei metri. Con la prima oltre ad uscite giornaliere si può fare campeggio nautico, indicativamente per una settimana (ma vi assicuro per esperienza anche per molto più tempo, con gran soddisfazione), mentre con la seconda si possono fare delle crociere costiere, che ipotizzerò di un mese.
Bastano 6-700 euro per acquistare una deriva usata, con cui veleggiare instancabilmente per ore o per giorni, nelle acque di casa o verso spiagge meno battute, godendosi la magia di un'alba, un tramonto o una notte stellata sul mare. Con 2-3.000 euro invece si può avere un piccolo cabinato,  una barca di una ventina di anni. Con questo piccolo cabinato si potrà navigare lungocosta in piena autonomia e magari, tempo permettendo, avventurarsi anche in brevi traversate di qualche decina di miglia. Ciò significa che tutto il Mediterraneo, isole comprese, diventa a portata di vela, in completa autonomia di rotte e tempi.
Con cifre simili si possono anche acquistare i materiali necessari per autocostruirle.
Senza dimenticare poi che migliaia di piccole barche abbandonate attendono coraggiosi appassionati, capaci di riportarle al loro elemento vitale. Basta solo cercare con pazienza e determinazione, sapersi accontentare e lavorare, alla propria barca, realizzando il proprio sogno. Certi che la fortuna aiuta gli audaci, anche in queste circostanze. Così è stato per un'infinità di navigatori, a cominciare dai giganti degli oceani come testimoniano le storie di Joshua Slocum, Bernard Moitessier e Alex Carozzo (insuperabile testimonianza di audacia e pauperismo è riassunta nel libro Zentime Atlantico, ristampato da Nutrimenti) o come ci insegnano i sognatori che continuano a popolare banchine e anfratti portuali, dove in ogni stagione smerigli e pennelli rinnovano vecchi scafi.
Tenete presente che se il campeggio nautico e la crociera sono attività relativamente recenti, diffusesi soprattutto nella seconda metà del Novecento, la navigazione diurna su brevi rotte costiere è invece antichissima in Mediterraneo. Andando a vela di spiaggia in spiaggia, o di baia in baia,  doppiando capi, circumnavigando promontori, raggiungendo isole, ripercorriamo millenarie rotte fenice e greche, spostandoci come hanno fatto per secoli pescatori e marinai impegnati nel piccolo cabotaggio. Manterremo viva quella micro circolazione di genti e culture che è tratto fondante della storia mediterranea.
La vela, praticata con derive e piccoli cabinati, è anche un modo piacevole, economico ed ecologico per visitare lagune e laghi. Ambienti circoscritti ma di grande fascino storico e naturalistico, e in qualche caso meno battuti dal turismo nautico. Queste navigazioni in acque protette sono il miglior modo per fare esperienza in sicurezza, per saggiare difficoltà e piaceri della vela, entrambi numerosi.

mercoledì 14 gennaio 2015

Storie di mosconi e pattini

Come ben sa chi mi conosce, sono da sempre innamorato del moscone!
Sarà forse perché è stata la mia prima barca? o perché continua a sembrarmi una fantastica micro-isola? o più semplicemente perché d'estate rimane il modo più semplice per scappare dalle rumorose spiagge sovraffolate e ritrovare silenziose acque solitarie. Concedendosi ovviamente anche indimenticabili tuffi.
Comunque sia questo piccolo catamarano a remi è, al pari della bicicletta con cui condivide l'origine ottocentesca e la fortuna novecentesca, un mezzo ecologico e divertente, che permette una libertà marinaresca alla portata di tutti. In questi giorni ho riordinato qualche appunto raccolto negli anni, stimolato da uno Simone Nudi, un giovane amico livornese iscritto a Disegno Industriale all'Università di Firenze, che mi ha chiesto qualche informazione. Provo a riassumerle di seguito, nella speranza magari di raccoglierne altre.
La storia del moscone o pattino che dir si voglia non è ancora stata scritta, come testimoniano anche le poche righe dedicate a questa barca tanto diffusa, soprattutto in passato, sia da Wikipedia che dalla Enciclopedia Treccani. Mentre numerose sono foto e cartoline che ne documentano la diffusione già dalla fine dell'Ottocento su tante spiagge italiane, rarissime sono le "attenzioni" letterarie. Nei vocabolari la parola pattino appare per la prima volta nel 1891. E' Policarpo Petrocchi che la inserisce nel suo "Novo dizionario universale della lingua italiana", dove si legge: "PATTINO, s.m. T. mar. Due travi con un panchettino sopra che serve per andarci come in barchetta (P.)". Sarà invece lo scrittore Alfredo Panzini, che trascorreva le vacanze a Bellaria, a sdoganare il termine adriatico moscone nel suo "Dizionario moderno", nella edizione del 1923, definendolo "galleggiante da spiaggia". Più articolata la descrizione data nell'edizione del 1950: "Moscone: Chiamano così sul litorale adriatico una specie di piccola imbarcazione per diporto, da spiaggia e per bagno. E' formato di due galleggianti su cui poggiano uno o due sedili". Definizione che si completa con una domanda e relativa risposta: "Perché mosconi? Per analogia di aspetto, come ditteri, mosche chiare sull'azzurro del mare".
Per il momento mi fermo qua, ma scriverò ancora, di forme e dimensioni, di personaggi ed episodi, di emozioni e avventure,confidando di ricevere foto e informazioni da altri appassionati lungo le spiagge italiane.