Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

martedì 19 luglio 2011

Il nostro mare quotidiano


Qual è il colore del mare? Il blu è il più comune o quello che in maniera più semplice gli si associa. Blu è l’alto mare, tanta parte del Mediterraneo e degli oceani. Sottocosta è invece spesso grigio, verde, marrone o rossastro. Nei giorni di tempesta, comune alle acque di terra come a quelle del largo, è la punteggiatura bianca dei frangenti.
Dall'approdo di Castiglione della Pescaia, con scirocco teso il blu tirrenico lo si raggiunge attraversando due fasce di colore: sabbia e cerulea. Nel pelago ionico il mare diventa color del vino, come da odissiaca memoria; lì le acque sono talmente profonde che sembrano inghiottire anche la luce più vivida. Attraversando la bocca di Malamocco, che collega la laguna veneta al mare, si incontra un Adriatico che ha per miglia e miglia le mille sfumature del verde, variabile a seconda della stagione, delle nuvole e del vento. Navigando tra le isole Egadi si rimane incantati guardando il blu dell'occidente mediterraneo mescolarsi con quello d'oriente. Nelle acque dell'isola della Giraglia il mare è verde ofiolite, riflettendo la luce delle pietre.

Senz’alcuna pretesa di rigore storico o lessicale, allo scopo di restituire una suggestione, si può associare la varietà e l’incertezza dei termini con cui i latini indicavano i blu all’infinita e indefinibile varietà cromatica delle acque mediterranee. Caerulĕatus, caeruleus, caelĕs, cyaneus, caesius, glaucus, lividus, venetus, aerius, aggettivi che rimandano a una serie di sfumature: color mare, ceruleo, celeste, ciano, cesio, glauco, livido, veneto, aereo. Una polisemia cromatica che per alcuni riflette anche lo scarso interesse del mondo romano e medievale cristiano per il blu. Nei secoli successivi i latini, coloro che specchiandosi nel Mediterraneo lo definirono Mare Nostrum, mutuarono dalle lingue germaniche e arabe, rispettivamente il blavus da blau e azureus da lazaward. Sul Mediterraneo si dovettero affacciare genti nuove, per trasformare la percezione cromatica delle acque, per arricchire la tavolozza latina di due parole oggi imprescindibili per narrare il mare: blu e azzurro.
Guardando ogni giorno dalla riva l’inesausta mutevolezza dei colori marini, osservando le mille sfumature riflesse sulla bianca prua della barca diretta al largo, ho capito come la magnificenza del blu sia comunque insufficiente a descrivere le acque mediterranee, le sue mutevoli epifanie cromatiche. Quelle di un mare fatto d’acque limpide, blu o azzurre a seconda della profondità, capace poi di tingersi dei colori di continenti e penisole, in cui si specchia il verde scuro della macchia o quello argentato degli oliveti, il giallo estivo dei campi di grano o degli incolti; in cui si mescolano rossi, grigi, neri, bianchi sedimenti delle spiagge o quelli portati da fiumi, fiumare e torrenti. Le acque riflettono poi i colori del cielo: quelli caldi dei crepuscoli, cupi della notte, luminosi dei mezzogiorni sereni; le stesse ne restituiscono i grigiori: tenui delle ore di foschia, plumbei in quelle di pioggia. C’è un mare meridionale di luce e di riverberi, uno settentrionale di nebbia e di neve, favolose eccezioni mediterranee.
Vogliamo ogni giorno affacciarci al nostro mare quotidiano, anche per scoprirne i colori e le infinite sfumature.