Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

martedì 28 febbraio 2017

Venerdì di magro

I doni della natura” (Vallardi; 2016; pp. 254 € 18,00) si intitola l’ultimo libro tradotto in italiano di Richard Mabey, giornalista, scrittore e naturalista inglese di fama internazionale. Si tratta di specie selvatiche commestibili, che tutti possono raccogliere gratuitamente e, non a caso, l’edizione inglese si intitola “Food for free”, il cibo gratuito. Specie vegetali terresti innanzitutto, ma anche funghi, alghe e molluschi. Parafrasando Mabey, quando ci si trova davanti agli scaffali di un moderno supermercato, è facile dimenticare che anche ogni cibo ittico può essere ancora liberamente pescato, facilmente da tutti, soprattutto per quanto riguarda i molluschi che si possono raccogliere nelle basse acque di riva: telline, cannolicchi, vongole, cuori, patelle, mitili e tanti altri. Molluschi che “dal punto di vista del raccoglitore, sono più simili a piante che ad animali: vivono più o meno in un posto, e non li si caccia, ma li si raccoglie”. Di telline, cannolicchi e mitili, tutti oggetto di pêche à pied, come scrivono e praticano i francesi, abbiamo già raccontato in precedenti post, così come delle poveracce, cioè delle vongole lupino, che sono un prodotto tradizionale della costa adriatica.
Nelle lagune dell’Adriatico, ma anche in quelle sarde e siciliane, si pescano invece sempre a piedi le vongole veraci. Nome fuorviante, perché fa riferimento a due specie, di cui una effettivamente autoctona, ma ormai molto rara e costosa, che si vende a 15/20 euro al kg. Un’altra invece è alloctona, cioè è stata introdotta in Italia alla metà degli anni Ottanta del Novecento, ed è nota anche con il nome di vongola filippina o, per dirla alla venziana, caparossolo filipino. Una specie che ha trovato condizioni ottimali, tanto da diffondersi anche naturalmente e abbondantemente in tutti gli ambienti lagunari mediterranei. La vongola filippina cresce in fretta, raggiungendo i 25 millimetri in meno di due anni, e ha alti rendimenti per metro quadrato. Ha perciò fatto la ricchezza di tante comunità pescherecce, a partire da quelle del Polesine e del Veneto.
E’ sempre Richard Mabey a ricordarci che “i molluschi sono una delle ancore di salvataggio cui gli abitanti della costa si aggrappano per salvaguardare la propria indipendenza economica”, ieri come oggi, antichi e nuovi “doni della natura”.

Pubblicato oggi sul blog Venerdì di magro, de La Stampa - Mare, dove troverete anche tanti altri brevi racconti di pesci e pescatori.

domenica 19 febbraio 2017

Libri di mare e di costa

"Agganciai il moschettone della cintura alla life-line e andai fino a prua. Un varco, sul lato sinistro dell'uscita, si iniziava pian piano a intuire, ma in proporzione agli iceberg era piuttosto stretto. Gli iceberg erano tre, giganteschi: uno massiccio e squadrato, gli altri più frastagliati, con un paio di vaste grotte azzurre. Mi chiesi cosa sarebbe accaduto se durante la notte quelle isole galleggianti avessero deciso di incastrarsi all'imbocco dell'insenatura, quanto avremmo aspettato prima di attaccarci alla radio e provare a chiedere aiuto, cosa avrebbero potuto fare per aiutarci."

E' questo una breve descrizione del paesaggio marino narrato da Pietro Grossi nel suo ultimo libro "Il passaggio" (2016, Feltrinelli; pp. 160, 15,00 €). La storia di un uomo che improvvisamente ritrova un padre dagli occhi "stralunati che mi terrorizzavano", a bordo di una barca con cui vorrebbe affrontare il mitico Passaggio a Nord Ovest, che premette di andare dall'Atlantico al Pacifico nelle estreme regioni artiche. Un ambientazione marinaresca contemporanea, del tutto inusuale nel panorama letterario italiano. Un libro in cui il "passaggio" non è però solo geografico, ma anche generazionale.

“E fu quello l'istante in cui capii tutto ciò che c'era da capire su mio padre. Si aprì come una fessura nel tempo, il mondo rallentò, e l'uomo che avevo davanti fu tagliato via da tutto il resto.”

mercoledì 8 febbraio 2017

Bruce Chatwin marinaio?

Bruce Chatwin, uno dei più grandi scrittori di viaggio del Novecento, è stato anche un marinaio? Se lo può chiedere anche chi non conosce la sua opera, ma ha visto solo per caso la copertina de L'alternativa nomade, il suo ultimo libro pubblicato in Italia, dove c'è una foto che lo ritrae nel 1964, all’età di 24 anni, a Cowes, in cerata al timone. Se poi a qualche appassionato di mare è capitato di leggere Anatomia dell’irrequitezza, indelebile è il ricordo di una sua affermazione: “Il primo libro adulto che lessi da cima a fondo fu Sailing Alone Around the World del capitano Joshua Slocum. Gli tennero dietro The Venturesome Voyages of Captain Voss di John C.Voss” e solo dopo Melvile e London. Questo racconta Chatwin nel 1983, parlando della sua formazione di scrittore,  quando è già affermato in tutto il mondo.
Insomma due indizi rilevanti, che sollecitano la domanda iniziale. Bruce Chatwin è morto nel 1989 e noi possiamo solo provare a cercare una risposta nei suoi libri, pubblicati in vita o postumi. A questi si aggiungono le biografie e gli scritti della moglie.
Nicholas Shakspeare, amico e biografo, conferma che Chatwin entrò giovanissimo in contatto con la letteratura marinaresca. Non solo perché il padre Charles era stato in marina ed era un appassionato di vela, ma anche perché i primi libri che acquistò “trattavano di navigazioni attorno al mondo: Sopranino, Blue Water and Shoals,  The Venturesome Voyages of Captain Voss”. Inoltre Chatwin ha frequentato la Old Hall School, a Wellington nel sudovest dell'Inghilterra, dove aveva studiato il padre di Shackleton e c'era “una biblioteca fornita di libri di Joshua Slocum, Richard Henry Dann, Jack London, Lucas Bridges”. Sarà lo stesso Chatwin a raccontare di aver “preso un libro dalla biblioteca intitolato We didn't mean to go sea che dice come guidare [traduzione italiana di “to sail” …] un cutter di 5 tonnellate”, da cui sperava di imparare qualcosa.

L'articolo completo è pubblicato sul mensile BOLINA di febbraio 2017.

venerdì 3 febbraio 2017

In ricordo di Predrag Matvejević

“Il brodo di pietra è antico come la miseria sul Mediterraneo”, ha scritto un grande cantore del mare, Predrag Matvejević, che è morto ieri. Predrag è stato maestro e amico, per questo vogliamo ricordarlo a tavola, al nostro fianco mentre con noi divide il pane, il “pane nostro” che ha poeticamente narrato nel suo ultimo libro, e il brodo di pietre, che non dimenticheremo di preparare, per fare delle acque mediterranee la nostra stessa carne. “Si prendono da un posto fino al quale non giunga la bassa marea due o tre pietre, né troppo grandi né troppo piccole, inscurite dalla lunga giacenza sul fondo del mare; si cuociono a lungo nell'acqua piovana, fino a che non esca tutto ciò che si trova nei loro pori; si aggiungono alcune foglie di alloro e tino, infine, un cucchiaio d'olio d'oliva e di aceto di vino”. Questa è la ricetta, tramandata da Matvejević nel suo straordinario “Mediteranski Brevijar”, pubblicato nel 1987 a Zagabria e tradotto poi in tutto il Mondo. Un brodo di pietre che era noto nel mar Tirreno e in tutte le isole dello Jonio e dell'Adriatico, in quel labirintico arcipelago che Predrag, nato a Mostrar nel 1932, amava e conosceva meglio di ogni altro angolo del Mediterraneo. Il brodo di pietra lo cucinavano gli Illiri, i Greci, i Liburni e probabilmente già i Fenici e gli Etruschi. Di certo continueremo a preparalo noi, anche per ricordare Matvejević che ci ha insegnato che “il mare non lo scopriamo da soli e non lo guardiamo solo con i nostri occhi. Lo vediamo anche come lo hanno guardato gli altri, nelle immagini e nei racconti che ci hanno lasciato: veniamo a conoscerlo e lo riconosciamo al tempo stesso”. In oriente i maestri del tè mettevano dei pezzetti di ferro nel bricco per farlo cantare armoniosamente, noi innamorati del mare mettiamo dei sassolini in una variante del brodo di pietre fatta solo con acqua marina, aglio, olio e odori della macchia mediterranea, così che mentre lo prepariamo sentiamo anche il rumore della risacca.
Grazie, hvala Predrag.