Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

mercoledì 14 agosto 2013

Biblioteca di mare e di costa

"Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


Venezia è stata, e rimane, il miglior porto di partenza per l'Oriente mediterraneo, un “mare molto veneziano, dalle cittadine coloniali e le spiagge boscose della Dalmazia, dove la Repubblica ricavava il legname per le sue navi e i piloni per i suoi palazzi”, fino alle lontane Costantinopoli e Alessandria, da dove vengono le reliquie di San Marco.  Così s’avvia il diario di bordo di Göran Schildt, storico dell'arte e scrittore finlandese che, fin dalle prime pagine, si rivela anche come una acuta riflessione sulle vicende umane dell’immediato dopoguerra e antiche (Göran Schildt, 2012. Il mare di Icaro. Mursia, Milano; pp 280, € 17). Il libro racconta il lungo viaggio fatto negli anni Cinquanta del Novecento dall'autore, in compagnia della moglie, a bordo dell’amatissima Daphne, una barca a vela a due alberi di circa dieci metri di lunghezza dove trovava posto anche una lambretta, da Murano, l'isola delle “fornaci incandescenti” che fiammeggiano da un migliaio di anni “fin da quando i Dogi, saggiamente, proibirono l'attività nella stessa Venezia a causa del pericolo d'incendio”. Le pagine del libro restituiscono le atmosfere post belliche di quegli anni, l'arcaicità di un mondo distrutto dalla guerra, poverissimo e non ancora travolto dalla modernità e dal turismo, una delle sue industrie pesanti più invasive.
Vivissima è la testimonianza sulle profonde trasformazioni politiche dell'area adriatica, con alcune considerazioni di prima mano sull'evoluzione del diporto in quegli anni. Scrive infatti l'autore che prima della guerra, quando Istria e parte della Dalmazia erano italiane, c'erano molti diportisti, mentre poi ne rimasero pochissimi, anche perché “il clima della Jugoslavia di Tito non era salutare per gli italiani”.

Se quelle vicende sembrano oggi lontanissime nel tempo, sempre attuali sono le difficoltà della navigazione, a cominciare da quelle nel Golfo di Venezia. Prima tra tutte la Bora “il terribile vento settentrionale del Mar Adriatico”, che sorprende per la prima volta la barca finlandese alla fonda nell'Isola di Lussino, per poi spingerla felicemente nei giorni successivi tra le meravigliose isole foranee che si allungano verso sud per centinaia di miglia. Raggiunta Ragusa il viaggio prosegue verso Brindisi per ritornare a oriente nelle isole greche dello Ionio e, passato Corinto, ancora più a sudest in quel “mare di Icaro”, il cui tragico volo “non era un fatto fortuito, era un esempio: la sua audacia è parte integrante dell'atteggiamento dell'uomo occidentale nei confronti della vita”. Senza dimenticare che secondo il mito sempre Icaro e il padre Dedalo sono gli inventori della vela, la prima potentissima e pericolosissima macchina che ha permesso all'uomo di oltrepassare le Colonne d'Ercole.

Articolo pubblicato sul Corriere Romagna di lunedì 12 agosto 2013

mercoledì 7 agosto 2013

Adriatico, mare d'Europa

Dal primo di luglio la Croazia fa parte dell'Unione Europea. Finalmente, dopo secoli di divisioni e anni di guerra, l’Adriatico diventa un mare anche politicamente unito sotto un'unica bandiera, blu come il mare, in cui un marinaio potrebbe scambiare le stelle per isole, quelle splendide istro-dalmate. Non dimentichiamo che l'Adriatico è l’unico mediterraneo geograficamente europeo, a differenza di tutti gli altri sui quali s'affacciano diversi continenti. Se le prospettive invece sono altre, storiche, religiose, culturali, allora l'Adriatico “da solo e per analogia, pone tutti i problemi impliciti nello studio dell'intero Mediterraneo” continua a ricordarci Fernand Braudel. Un altro grandissimo narratore mediterraneo, Predrag Matvejević, ha scritto che “l'Atlantico e il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l'Adriatico il mare dell'intimità”. Per chi lo ha navigato in lungo e in largo l'Adriatico è un mare duplice, per un'infinità di caratteri, innanzitutto morfologici e geologici delle opposte sponde. Quasi completamente basse, sabbiose e antropizzate quelle occidentali, fino al promontorio del Gargano; rocciose, selvagge e semideserte quelle orientali. Duplice è anche la sua natura meteorologica, con inverni di nebbia, gelo e Bora come in un vero mare del nord ed estati di sole, siccità e Scirocco come in tutti i mediterranei. L'Adriatico è per antonomasia il luogo di scontro tra le opposte fazioni dei figli di Eolo, quelli settentrionali, capitanati proprio dalla gelida zarina siberiana e quelli meridionali, alla cui testa sta l'umido rais sahariano.
Per chi va a vela l’Adriatico rimane il Golfo di Venezia. Lunghissima la sua storia, indelebili le tracce architettoniche e culturali, intramontabile la grandiosa aura, malgrado i successivi tanti tragici errori commessi dalle genti delle due rive. Ogni anno centinaia di barche a vela provenienti dai porti dei cinque continenti risalgono il Golfo, non sempre spinte da favorevoli venti sud-orientali, ma comunque determinate a raggiungere dal mare la Serenissima. Perché come ha scritto Thomas Mann, arrivare a Venezia dalla terraferma è come “entrare in un palazzo dalla porta di servizio” e che solo per nave, dall'alto mare, bisogna “giungere nella più inverosimile città del mondo”. Lunghissima o breve che sia stata la navigazione, piccola o grande che sia la prua, insuperabile è l'emozione di bagnarla nelle acque sempre agitate del Canal Grande, vedendo sfilare davanti a sé le straordinarie architetture veneziane, testimoni della grandezza non solo economica della Repubblica. E ancor prima di tanta magnificenza, qualsiasi bocca di porto si sia scelto per entrare, già la Laguna e le sue numerosissime isole avranno regalato forti emozioni. Un paesaggio unico, per dimensioni e caratteristiche, in cui natura e cultura si sono nei millenni intimamente mescolate, come le acque dolci e salate a ogni cambio di marea.
I fatti del Novecento sono tristemente noti, ma non bisogna mai dimenticare che ad anni di guerra si sono alternati secoli di pace e per festeggiare la rinnovata fratellanza riporto le parole di due grandi marinai nati e cresciuti sulle rive adriatiche: Agostino Staulino e Carlo Sciarrelli. Il primo, nato a Lussinpiccolo nel 1914, diceva che l'isola dove era nato gli aveva insegnato ad amare il mare, “sentimento che bisogna coltivare per poter navigare”.
Di Carlo Sciarrelli, nato a Trieste nel 1934, oltre alle splendide barche, va ricordata non solo passione, competenza ed estro per la progettazione degli yacht, ma più in generale per la cultura del mare. Nell'introduzione al suo “Lo yacht. Origine ed evoluzione del veliero da diporto”, ormai un classico della letteratura marinaresca, Sciarrelli sollecita l'uso del “linguaggio del mestiere, dal quale non si può prescindere”, quel linguaggio che apprese ed affinò proprio navigando in Adriatico.
Ora che da Trieste a Otranto, da Capodistria (Koper) a Ragusa (Dubrovnik), l'Adriatico è un mare d'Europa sarà più semplice conoscersi e riconoscersi, certi che l'appartenenza adriatica è un fatto esperienziale che deve diventare anche culturale, basta semplicemente mollare gli ormeggi per avventurarsi in quel "mar grando" caro al poeta Biagio Marin.

L'articolo completo è pubblicato sull'ultimo numero del mensile Bolina (luglio-agosto 2013)