Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

martedì 3 aprile 2012

Biblioteca di mare e di costa



“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


Il viaggio è necessità, scoperta, piacere, curiosità, è un mettersi sulla via, terrestre o acquea da millenni, aerea da un secolo a questa parte. “Noi siamo i nostri cammini, non i nostri luoghi”, insegna E.J. Leed. Noi viaggiando lasciamo tracce non solo sulla Terra, ma anche in noi stessi. Il nostro immaginario è in continuo movimento, le nostre stesse radici sono mobili, con buona pace di ogni furore identitario. Paradossalmente solo viaggiando si riscoprono le proprie origini, solo negli occhi degli altri scopriamo noi stessi. Non a caso, che piaccia o meno, il discorso identitario si è rianimato nell'ultimo ventennio, quello della globalizzazione. Viaggio e identità sono le parole che forse, insieme a merci e denaro, possono meglio riassumere le pulsioni di questi ultimi anni. Soffermandoci sulle prime due, le cronache ci parlano quotidianamente di due soli tipi di viaggio, quelli dei migranti e quelli dei turisti, e di due soli tipi di identità, quella extra-comunitaria e quella comunitaria. Rigide dualità di impianto terragno, mentre il mare, e nello specifico l'Adriatico, insegnano a guardare e magari apprezzare la molteplicità, dei viaggi e delle identità.
Ai viaggi adriatici, e di conseguenza implicitamente alle identità, è dedicato l'ultimo libro di Marilena Giammarco, Il «verbo del mare». L'Adriatico nella letteratura II. Scrittori e viaggiatori (Palomar, Bari; pp 382, € 35). Un lavoro che preosegue e completa quello avviato qualche anno fa, dedicato ai miti, alle geografie, ai topoi marinareschi del periglioso Adriatico.
In questo secondo volume l'attenzione si rivolge ai nuovi viaggi adriatici, quelli che descrivono o ri-creano le coste, le acque, le genti, le storie e, non ultimo, l'immaginario di questo mare. Nuovi, perché si fanno partire idealmente dal XVIII secolo e, più precisamente, da quello di Alberto Fortis, uno dei fondatori moderni della geografia, il cui Viaggio in Dalmazia, pubblicato a Venezia nel 1774 divenne un bestseller europeo, tradotto in tedesco, francese e inglese.
Contemporanee e di altrettanto grande valore sono le Lettere campestri dell'abate riminese Aurelio de' Giorgi Bertola, interessantissime “per attestare la visione settecentesca del nostro mare”, riprendendo le parole della curatrice. Bertola nei suoi scritti, prima di Giacomo Leopardi, restituisce una “percezone estetico-simbolica di un'identità adriatica proiettata ... verso l'infinito”. Importantissimo, sempre per ricostruire la visione settecentesca dell'Adriatico, è il lavoro di un altro riminese illustre Giovanni Bianchi, meglio noto come Janus Planco. Medico, filosofo, malacologo, attivissimo promotore culturale che rilancerà anche la gloriosa Accademia dei Lincei. C'è poi l'Adriatico dei romantici e quello poetico di Giacomo Leopardi, Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli e Marino Moretti. Quest'ultimo particolarmente attento al mare anche nella sua opera in prosa, a cominciare dai romanzi L'Andreana e La vedova Fiorvanti, entrambi ambientati a Cesenatico. Al viaggio adriatico dedica pagine importanti Gabriele D'Annunzio. Nel 1887 pubblicò una prosa intitolata I Progetti, in cui tracciava la rotta del suo cutter “Don Juan”, dal famigliare porto di Ortona a Venezia e di lì a Trieste, Zara, Sebenico, Ragusa e Cattaro, “golfo sovrammirabile, dove l'aria è così soave che quasi pare opera d'un'incantagione e dove le acque hanno la purezza dei diamanti più puri!”. Ma il romanzo adriatico di D'Annunzio per eccellenza è Trionfo della Morte, dove lo sfondo naturale e ideale è un mare che “avendo perduto ogni materialità e ogni moto, si confondeva con i vapori vaghi delle lontananze: pallidissimo, senza respiro”. Il viaggio non si interrompe certo nell'ultimo secolo, anzi ricchissima è la produzione letteraria degli “Scrittori adriatici tra secondo e terzo millennio”, riprendendo il titolo di uno degli ultimi paragrafi del libro. Letterati in cammino, come gli abruzzesi, di frontiera, come triestini e giuliani, d'oltremare, come slavi e albanesi. Per finire Giammarco propone i “nuovi orizzonti adriatici”, di cui Giacomo Scotti può essere ritenuto un illuminato pioniere, capace di costruire ponti tra le due sponde o tra isole della stessa riva. Altrettanto importante è stato il lavoro di Sergio Anselmi, economista marchigiano capace anche di scrivere appassionanti storie minime di grande impatto emotivo, e di Raffaele Nigro, giornalista e scrittore per cui la scoperta dell'Adriatico sarà “destinata a incidere profondamente” la sua opera.
Marilena Giammarco, associando puntiglio filologico e concreta passione, costruisce un'intensa narrazione dell'Adriatico, riuscendo a comporre un luminoso mosaico fatto di tessere multicolori. Magari lontane, per tempi e modi, ma che opportunamente assemblate restituiscono un'unica immagine di questo profondo golfo mediterraneo.
“In fondo all'Adriatico selvaggio / si apriva il porto della mia infanzia. Navi / verso lontano partivano ... / Era un piccolo porto, era una porta / aperta ai sogni”, canta Umberto Saba1, una porta acquea che ogni giorno ognuno di noi può attraversare mettendo la prua verso il largo, cercando quella libertà che solo il mare può regalare.