Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

venerdì 7 gennaio 2011

Biblioteca di mare e di costa


“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


Tutti quelli che guardano con ammirazione l'andare e venire delle grandi navi dai porti o che incrociano d'estate al largo le direttrici di grande traffico mercantile, troveranno finalmente un’approfondita e attualissima narrazione nel libro di Sergio Bologna: “Le multinazionali del mare. Letture sul sistema marittimo portuale” (Egea: pp. 326, € 28). Un testo insieme documentato, utile per gli addetti ai lavoro, e comprensibile anche per chi più in generale è interessato al mare e alle sue molteplici economie. Per questi ultimi fin dall'introduzione si chiarisce il ruolo attuale della portualità mediterranea che, se “per lungo tempo è stata relegata in una posizione periferica”, nell'ultimo decennio del Novecento “si è venuta a trovare di nuovo in posizione centrale”. Ma il sogno, o l'incubo secondo forse una più ecologica ed equilibrata visione, “che il Mediterraneo potesse tornare a essere in qualche misura il centro del mondo purtroppo è durato poco”. Qui la storia lascia il campo alla cronaca, quella di una crisi finanziaria che ha fatto risentire i suoi effetti pesantemente sui traffici marittimi, testimoniati anche dai drastici cali di movimento nei porti italiani, registrati negli ultimi anni.
Il lavoro di Sergio Bologna si avvia con una breve analisi sulle origini della portualità moderna, con due storie parallele: Genova e Trieste. Le fortune di quest'ultima sono legate all'apertura del Canale di Suez e non a caso la prima nave che nel 1869 lo attraversò fu uno steamship triestino: il “Primo”. Ma già nel 1876 Genova riconquisterà “quel primato, tra i porti italiani, che mantiene tutt'oggi”.
Il libro prosegue poi con l'analisi delle cinque fasi della storia portuale, dalla metà dell'Ottocento ad oggi: fondazione, industrializzazione, ricostruzione, deindustrializzazione, globalizzazione. Quest'ultima, segnata dal successo straordinario del container, divenuto il simbolo stesso della globalizzazione, ha visto la trasformazione radicale dei porti in “terminal container”. Ma come ci ricorda l'autore, “Non si vive di solo container”, anzi rimane attualissima la centralità delle “merci alla rinfusa”, liquide o solide, ossia petrolio, gas, cereali, carbone, minerali, fertilizzanti, ecc. Navi che sono spesso dei gioielli di tecnica, anche se nel “cargo convenzionale sono ancora in servizio fior di carrette”. Enormi a riguardo sono i rischi ambientali, soprattutto per mari chiusi e poco profondi come l'alto Adriatico, tanto che da più parti si valuta la possibilità di richiedere il riconoscimento di “Area Marina Particolarmente Sensibile”, internazionalmente definita PSSA, «Particularly Sensitive Sea Area». Una fragilità ambientale che, seppur nelle spiccate differenze, lo accomuna a tante altre aree sensibili, quali ad esempio le Bocche di Bonifacio, lo Stretto di Messina, il Canale di Otranto.
Un altro elemento dirompente dell'ultimo decennio è il “gigantismo navale”, che ha portato alle
realizzazione di navi full container di 400 metri di lunghezza, 50 di larghezza, con pescaggio di 14 metri e velocità di crociera di 23-25 nodi. Ma questi ULCS, acronimo internazionale che definisce questo genere di navi, necessitano di porti adeguati, con caratteristiche spesso antitetiche a quelle di tante realtà italiane. Basterà qui ricordare che lungo la costa occidentale dell'Alto Adriatico la batimetrica dei 15 metri la si ritrova oltre le 5 miglia dalla riva! O ancora quanto sia necessario stravolgere i delicatissimi equilibri ambientali della Laguna di Venezia per consentire l’approdo a Marghera di enormi mercantili o delle altrettanto gigantesche navi da crociera a Venezia.
Comunque la si pensi, e a riguardo le visioni ambientaliste e liberiste sono spesso inconciliabili, il libro di Sergio Bologna è uno strumento indispensabile per cercare di comprendere la complessità economica che attraversa i mari italiani, che riguarda i suoi porti, che dovrebbe interessare un paese con ottomila chilometri di coste.

Nessun commento:

Posta un commento