Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

martedì 10 agosto 2010

Il nostro mare quotidiano

Seicento miglia a vela, diverse decine di chilometri a piedi lungo le rive e poi il bus, la nave e il treno per chiudere un lungo viaggio sulle due coste e attraverso il Canale di Sicilia, spartiacque tra Occidente e Oriente mediterraneo. Un canale che collega l'Europa all'Africa, per chi del mare ha prima di ogni altra un'idea greca: di un mare inteso come pontos. Secondo il “pensiero meridiano” di Franco Cassano, le rotte “del Mediterraneo aprono alla possibilità di un rapporto, di un contatto, anche se esso può essere feroce e terribile”. Ancora una volta andando a vela ho verificato che le distanze mediterranee consentono, anzi obbligano a riflettere e sperimentare un rapporto tra le opposte rive.
Differenti rimangono lingue, culture e religioni, malgrado l'onda commerciale globalizzatrice degli ultimi vent'anni. Ma del resto quale mare può vantare una così lunga storia di incontri e scontri come il Mediterraneo? e in questa plurimillenaria avventura commerciale quale mare ha mantenuto una ostinata, affascinate pluralità di identità? Mi sono così ritornate in mente le parole di Fernand Braudel che, a Trapani, Sciacca, Siracusa, Malta, Tunisi, Palermo e negli altri approdi toccati, continuano a essere utilissime per cercare di capire cos'è questo Mediterraneo: “Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. E viaggiare nel Mediterraneo, prosegue sempre Braudel, “Significa sprofondare nell'abisso dei secoli, fino alle costruzioni megalitiche di Malta” e, aggiungo io, ai graffiti della grotta paleolitica dell'isola di Levanzo alle Egadi. Ma viaggiare nel Meditterraneo significa anche sprofondare in una rutilante, spesso mal digerita, modernità, in un gorgo sincretico pericoloso quanto lo Scilla e Cariddi odissiaco. Penso alle inutili urbanizzazioni balneari che accomunano la costa siciliana a tante altre del Mediterraneo o i più recenti faraonici porti turistici, o ancora i novecenteschi paesaggi industriali di Gela e Augusta. Differenti i pericoli, comuni le intemperie ambientali che continueranno ad affliggerci per anni (o per secoli?).

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