Racconti di isole, venti, vele, nuoto e remi, oltre a qualche idea sul nostro mare quotidiano - Fabio Fiori

venerdì 30 dicembre 2011

Il nostro mare quotidiano


Una parte de "Il nostro mare quotidiano. Rumori, suoni, voci" di Fabio Fiori e Marco Fagotti verrà ritrasmesso sabato 31 dicembre 2011 alle ore 19 all'interno della trasmissione "Il cantiere" di Radio Tre.
Buon ascolto e buon vento!

venerdì 23 dicembre 2011

Biblioteca di mare e di costa



E' in libreria la rivista Lettera Internazionale (n.109, 2011), completamente dedicata al Mare Adriatico.
Crocevia Adriatico: Botta, Cassano, Farinelli, Garzia, Godelli, Guagnini, Jančar, Kiš, Pressburger, Scianatico
Geopolitica delle emozioni: Andrić, Bavčar, Fiori, Matvejević, Pahor, Roić, Serino, Tomizza
Sguardi tra le sponde: Bazzocchi, Bruno, Culi, Gjurcinova, Heinichen, Martino, Romano, Roth


Tessere

Mollo gli ormeggi, della vela, della parola.
Le acque e le arie sono note, per quanto possano esserle quelle adriatiche, ai tempi di Google Earth. Sì, perché navigare e scrivere hanno molte difficoltà comuni, ma possono disvelare sempre infiniti orizzonti. Disvelare! eccola qua la prima affinità inaspettata, il primo annodarsi di vela e parola. Adesso non mi interessa seguirne a ritroso la rotta etimologica; devo pensare a cime, scotte e drizze, a randa, fiocco e timone. Anche perché a bordo non ho la connessione internet, sono libero almeno per qualche giorno, e il posto dei vocabolari è occupato dai portolani.
Lascio il porto di Ravenna sotto un cielo stellato d'agosto. Una leggera brezza di Scirocco riempie l'unica vela di prua aperta. Con la barca appena inclinata navigo tra le due lunghissime dighe foranee. Prolungano il canale Candiano fino al mare aperto, creando un cordone ombelicale che lega la città alla madre, alle materne acque adriatiche. Già a poche miglia dalla costa sono immerso in un buio antico, in cui la luce dei pianeti si riflette sulle acque mosse appena dalla bava. E' la stessa luccicante oscurità della notte di Galla Placidia; allo zenit della cupola imperiale splende da millenni una croce latina, sopra di noi il Triangolo estivo, segnato da: Vega, Deneb e Altair.
[...]
Intanto a poppa si intravede ancora il fiammeggiare delle raffinerie ravennati, prometeico emblema novecentesco. Il “Deserto rosso” appare molto più lontano delle quindici miglia che mi separano dalla terraferma, dei cinquant'anni trascorsi dall’Italia descritta da Michelangelo Antonioni. La forza incandescente di quel sogno industriale, un simbolo di quegli anni che apre la narrazione filmica, sembra oggi una fiammella cimiteriale, ricordo di un’età breve se commisurata sulla scala del tempo millenario adriatico.
Lo Scirocco rinforza, sull’acqua il primo spumeggiare delle onde dice che il vento supera dieci nodi. Riduco la randa; manovra complessa su una piccola barca quando si naviga da soli, ancor più di notte. La fatica vale la tranquillità che segue. I pensieri ritornano alla volta musiva e a quel leone di San Marco che immagino nell’angolo di sudest. Dovrò tornarci ancora nella scintillante grotta di Galla Placidia, per togliermi questa curiosità. Se il mare non è una frontiera ma un varco, uno spazio acqueo libero da confini economici e nazionali, allora in Adriatico la porta è una sola ed è aperta proprio a sudest. Di lì sono usciti romani, veneziani e austriaci, di lì sono entrati greci, bizantini, ottomani. L’ingresso si apre o si chiude a seconda di umori, interessi, circostanze della storia; lì rimane comunque, nel disegno più grande della natura.
Nella carta di bordo, dove ho disegnato la rotta per Parenzo, il segmento di graffite per 55° che attraversa il braccio di mare interseca decine di altre rotte, cancellature, punti e annotazioni; tracce di altrettante navigazioni. Settanta miglia separano Ravenna dalla penisola che sta dall’altra parte del mare.
[...]
Negli anni, per me, la traversata nautica o narrativa, sotto un cielo limpido estivo o nuvoloso autunnale, spinto da arie tiepide primaverili o pungenti invernali, è un rito laico, un’eterna celebrazione di scoperta.
Tessere rotte, sulle acque e sulle carte. Tessere racconti, delle rive e delle genti.
Solo i tempi lunghi, fatti di gestualità e fatica, l’immersione sensoriale vissuta nell’incedere delle stagioni, possono rivelare qualcosa di questo seno mediterraneo, insieme marino e materno.
[...]

martedì 6 dicembre 2011

Biblioteca di mare e di costa



“Tutte le tempestose passioni dell'umanità, ... sono trascorse come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare traccia sul misterioso volto del mare”
Joseph Conrad


Sidi, Khaled, Alaa Abdel, Wael, Ahmed, Nawara, non sono solo alcuni dei nomi dei ragazzi morti o che lottano per la libertà lungo la riva meridionale del Mediterraneo. Sono i nomi anche degli amici dei nostri figli, dei nostri compagni di lavoro, dei nostri alunni, anche qui in Italia. Grazie al loro lavoro le barche continuano a pescare, le campagne a produrre, i cantieri a lavorare, mentre nelle scuole ogni giorno si sperimentano incontri e integrazione tra le giovani generazioni, tra gli italiani di domani. Certo, come ogni fenomeno migratorio di grandi dimensioni, le dinamiche sono complesse e problematiche, ma tutti dovremmo interrogarci sulle vicende mediterranee, che ci riguardano da vicinissimo.
“Siamo tutti Khaled Said”, urlavano solo qualche mese fa i ragazzi di Piazza Tahrir al Cairo. Parte dai nomi, dalle biografie e dalle storie dei giovani protagonisti della rivolta tunisina, egiziana e libica, il racconto di Franco Rizzi. Professore ordinario di Storia dell'Europa e del Mediterraneo presso l'Università di Roma Tre, autore di “Mediterraneo in rivolta” (Castelvecchi, pp, 249, € 15), che ha innanzitutto il pregio di aiutarci a guardare dentro fatti recentissimi, ancora in corso e dall'esito incerto. L'unica certezza è che non possiamo diventare vittime della nostra ignoranza, ossia del rifiuto di ascoltare, riflettere e capire quello che sta accadendo, come ci evidenzia Lucio Caracciolo nella prefazione. Lo stesso avverte subito il lettore che Rizzi non è neutrale, prendendo le parti dei rivoluzionari, ma lo fa con argomenti credibili e originali, attraverso un'analisi storica, sociologica ed economica. Per Rizzi quelle che stanno attraversando il mondo arabo sono scosse di assestamento violente, di quel gigantesco terremoto che fu la colonizzazione europea del XIX e XX secolo. C'è un filo rosso che unisce passato e presente, antiche politiche di sfruttamento rinnovatesi grazie a governi composti da “vecchie cariatidi diventate nel tempo sentinelle e guardiani degli interessi dell'Occidente”. Ristrette oligarchie si sono arricchite per oltre mezzo secolo a discapito di masse sempre più povere, anche se la spinta economica non è stata l'unica causa della rivolta. Non a caso tanti protagonisti hanno evidenziato come quella tunisina non sia stata una “rivolta del pane”. Stereotipi e semplificazioni non aiutano a comprendere le motivazioni e le aspettative dei rivoltosi, così come è necessario non riunire in un'unica analisi tutte le vicende, molto diverse tra loro, sia per trascorsi storici che per situazioni attuali. Le diverse città, che sono state e sono teatro delle sommosse, sono lontanissime tra loro, non solo geograficamente. Bisogna ricordare che Tunisi è molto più vicina a Roma che al Cairo, Damasco ad Atene che a Tripoli. Perciò Rizzi affronta le singole vicende singolarmente, con particolare riguardo a Tunisia, Libia ed Egitto. Una lontananza che è stata ridotta dalle giovanissime generazioni grazie all'uso sapiente delle nuove tecnologie, veicolate attraverso la rete. Inaspettatamente, almeno per i precedenti governi, gli attivisti arabi hanno saputo abilmente utilizzare il web, aggirando i media tradizionali, che erano al servizio o oscurati dai vecchi tiranni.
Visto che il libro si chiude con l'analisi dei fatti del marzo scorso, ci auguriamo che Franco Rizzi riesca ad aggiornarci sui recenti, tumultuosi sviluppi delle vicende, dalla caduta di Gheddafi alle elezioni in Tunisia ed Egitto, fino alla tragica repressione in Siria. Un ulteriore approfondimento per conoscere meglio i nostri vicini di casa, per capire le loro ansie e difficoltà che, per certi aspetti, non sono molto diverse dalle nostre.